logoret2.gif (10079 byte)Rudolf Bratuz: storia di un internatowpe51729.gif (5171 byte)
"...eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerá nuovamente al bene,che ritorneranno l'ordine, la pace, la serenitá"Annalies Marie Frank
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Rudolf Bratuz (Bertossi Rodolfo)
internato presso il campo di Urbisaglia

di Betto Salvucci e Roberto Cruciani

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Il Sig. Rudolf Bratuz (Rodolfo Bertossi) ed il Commissario del Campo di concentramento dell'Abbadia di Fiastra.

 

Ai cortesi Lettori

Dopo la mia recente pubblicazione dal titolo "E VENNERO... 50 ANNI DI LIBERTA'" sull'Internamento nelle Marche, ho avuto l'opportunità di consultare la corrispondenza di un Internato sloveno, il Sig. BRATUZ Rudolf, nome italianizzato in BERTOSSI Rodolfo, presso il Campo di Concentramento di Urbisaglia Bonservizi, conservata dalla figlia Signora Damjana residente in Canadà. Trattasi di circa centoventi lettere, dal 26 aprile 1941 al 28 gennaio 1942, di una ventina di fotografie ed un libretto di poesie, che per espressa volontà della stessa figlia Damjana, propongo in sintesi in occasione della sua venuta per il CONCERTO, in onore del Padre Rudi e degli Internati, di domenica 8 novembre 1998 nei locali, gentilmente offerti, della Fondazione Giustiniani Bandini dell'Abbadia di Fiastra, sede del Campo di Concentramento. Un particolare ringraziamento va a Betto, Benedetto Salvucci, che ha collaborato nella realizzazione di questa pubblicazione.

Ins. Roberto Cruciani

In Canada Rudi Bratuz ricopiò l'elenco dei nomi che aveva redatto ad Urbisaglia. Vi aggiunse due commenti in tedesco e li mise in una busta con l'iscrizione, sempre in tedesco: "I tempi durante i quali in Italia i fascisti erano al potere, nell'anno 1941. Abbadia di Fiastra, Macerata." Da tener presente che Rudi Bratuz parlava fluentemente il tedesco essendo nato quando Gorizia apparteneva all'Austria (1898). Poteva così conversare con gli amici israeliti.

La camera di Rudi nel Campo in un disegno di Mosbach wpe56008.gif (44844 byte)

"Bertossi Rodolfo, figlio di fu Giacomo - condizione economica non abbiente - data di arrivo 29 Aprile 1941 - anno XIX dell'Era Fascista - Data di comunicazione della Direzione del Campo 30-4-1941-XIX - N. di prot. 37 - Eliminato il 31 gennaio 1942 perché trasferito a Gorizia"

Tutta la corrispondenza è stata dal Sig. Bertossi indirizzata alla moglie Maria chiamata anche Mija; alla figlia Damjana, paternamente chiamata Dami, Damja, Cioci ed alla figlia minore "Cici" (Bogdana) nominata anche con il suo secondo nome "Ada".

30 aprile 1941

Mia cara moglie, mia brava figlia Damjana!

Ora devi esser contenta, tuo babbo fa il gran signore; sono pensionato nella villa di un principe: abito in uno stanzino piccolo, forse era abitazione della servitù. Siamo in cinque.
Un piccolo finestrino, di notte lo teniamo chiuso perché c'è il pericolo che capiti qualche grosso topo. E' al secondo piano; il primo tutto occupato da altri signori. Di nazionalità slovena ce ne sono 43 e una sessantina gli ebrei di origine tedesca, tutti colti: ingegneri, dottori, professionisti, gente piena di rispetto.
Il piccolo corridoio ha altre tre stanzette ed un gabinetto con lavandino; andando giù per le scalette di cemento arrivi agli altri tre gabinetti con bagno... e quattro spine d'acqua per lavarsi. Da qui un lungo corridoio con belle stanze, saletta da pranzo e magnifiche sale di entrata. Ci sono diversi dipinti antichi a colori; poi nel sotto portico anche pitture di un giardino.
Il parco è un sogno. Gli uccellini che cantano, gli alberi di diverse qualità di vari profumi, piante, fiori, limoni nei grandi vasi, aranci; sugli alberi nidi di uccelli alla mia altezze e se ne possono vedere gli ovetti.
Attorno il parco un muro di cinta e in giro delle colonnette: è qualcosa di stupendo girare in questo parco. Anche una Chiesa. Nei tempi antichi era un convento. Dalla nostra stanza si vede il cortile della villa, tutto con sotto portici (1). Vicino al giardino c'è ancora un convento di piccoli frati (2) che pregano tutto il giorno. Nel giardino anche il gioco delle bocce: lo hanno fatto adesso.
Al giorno, tre volte l'appello: il primo alle ore dieci. Fino ad allora chi è poltrone può dormire e se ha un buon amico riceve caffè e latte nel letto; io mi alzo alle sette. Da domani farò ginnastica con Lupinc e con il Dr. Bednarik. Alle otto caffè e latte. A mezzogiorno appello e poi il pranzo. Oggi un leggero minestrone... e patate con olio e aceto.
Per il servizio, e la tavola viene coperta con tovaglioli ogni settimana lavati, pago lire 3,80 alla settimana. Separatamente noi ci facciamo un piccolo miglioramento di formaggio o altra cosa, insieme ad altri otto signori. Questo si combina ogni settimana tra noi.
Una struzzetta (3) di pane e vino a piacere: questo però bisogna pagarlo, così è limitato.
Alle sette e mezzo è cena e alle dieci di sera nuovamente l'appello. Concerto ogni sera nel parco; una fisarmonica ed un violino, poi i cori dei canti sloveni. Ieri anche io suonai il mio valzer e bebè la polka; oggi ho fatto una partita a bocce. Quando siamo nel letto viene un signore tedesco che offre un bicchiere di tè per 20 centesimi. Così anche nel pomeriggio. Ci sono tanti specialisti, così non manca niente.
A lavare si dà fuori: un fazzoletto fanno pagare 10 cent, camicia 70 cent, mutande 40 cent.
Come vedi, Damjana, il babbo è contento, però desidera la casa e lavorarvi per dare riposo alla povera mamma, alla Milena e a voi tutti.
In questo momento è entrato Bednarik nello stanzino e fa lezioni di lingua tedesca e sto ascoltando; sono in dieci che studiano.
Sei guarita Damjana? Ho spedito a Cici per il suo compleanno una piccola fisarmonica: vi raccomando di conservarla bene e non romperla. Il viaggio è andato bene; solamente a Civitanova delle Marche un fermo di due ore. E' una piccola cittadella; molto più bella è Macerata; solamente le strade strette. Bel monumento a Garibaldi e altro ai Caduti.
Baci a te e sorella Ada

Tuo babbo Rudi

Quanto sopra descritto da Bratuz, conferma la frase della relazione di Paul Pollak: "Nelle ore grigie ed oscure di Auschwitz abbiamo sempre visto davanti a noi, come un miraggio, il luminoso giardino dell'Abbadia di Fiastra (Urbisaglia), paese di sole e di buona gente " (4).

Mia buona Damjana!
Ti ringrazio per quello che hai fatto per me; per il servizio che mi portavi da mangiare (5) e per il tuo buon pensiero che avevi di consolarmi con il tuo "domani verrai a casa". Spero che quel domani si avveri. Aiuta a casa alla povera mamma e stai buona con tutti. Saluti a zio Pepi. Bacio.

Tuo babbo Rudi

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Ora una importante lettera scritta al Signor Mosbach

26.1.1941 Caro Mosbach!

E' l'inverno. Una delle quattro stagioni, però poco desiderata e poco piacevole. Fa freddo e nevica. Non si ode il canto degli uccellini; il sole non riscalda e mancano i fiori. Un silenzio strano regna in questo parco, deserto, dove pochi mesi fa era pieno di vita e di consolazione. Cantavano gli uccellini e gli internati... passeggiavano conversando, leggendo e fischiettando. Arrotolavano le bocce e la voce dei giocatori rimbombava dalla parte opposta del parco. Ora tutto tace, la fisarmonica, il violino e il canto; non si danno concerti. Fuggì l'autunno e fuggì l'allegria ed ora fuggono da questo campo solitario gli amici, abbandonandoci ed allontanandosi altrove. In tutte le parti fu spedita l'S.O.S.: si cercano amici per sostituire i mancanti. Ne verranno di uguali? Come i Pincherle e tanti altri e come il partente di oggi, il nostro poeta Sig. Mosbach? Piccolo di statura, direi quasi piccolissimo come il suo portafoglio, però di un cuore grande e cosciente era questo nostro Mosbach. La sua comprensione profonda per i suoi amici dei quali capì bene i dolori e le sofferenze dei suoi connazionali ed ha trovato il modo di divertirli e di distrarli. Cantò con la sua voce debole che però penetrava nei cuori dei presenti che lo ascoltavano e applaudivano. Erano le sue canzoni, le belle poesie del Campo, della boccia, degli amori piccini e grandi, di tutti noi, dei nostri bimbi e delle nostre mogli. Ci pareva di udire il piccolo Caruso e il neonato Gigli. Accompagnato dal violino zigano, della fisarmonica paesana e dal canto Divino degli uccellini, rappresentava un concertone di primo ordine con il mormorio dei suoi ascoltatori. Ognuno di noi dimenticò di essere internato ed infelice. Pur con tutta la sorveglianza i nostri cuori si distaccavano e fuggivano con tutta velocità verso le nostre case, i nostri cari, abbracciando i figlioli, le care mogli ed i fedeli conoscenti. Per queste ore di svago, di delizia e di piacere famigliare che in questo Campo godevamo, dobbiamo essere grati a questo piccolo uomo, di grande intelligenza e capacità, di insuperabile bontà di cuore. Io personalmente gli auguro buon viaggio ed una migliore fortuna. Come per me, desidero anche a lui di incontrarsi al più presto con la sua adorata mogliettina Maria e con il piccolo tesoro, sua perla, Lily. Mosbach, sii felice dove il destino ti condurrà; - ohrani nas v spomìnu, kot bodemo Tebe mi v nasih srcih (ricordati di noi come i nostri cuori si ricorderanno di te)

tuo Rudi

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LA DESCRIZIONE DEL PAESE DI URBISAGLIA

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wpe17481.gif (74126 byte)Ecco ora l'impressione suscitata in lui dalla sua prima visita al piccolo paese di Urbisaglia, accompagnato da un Carabiniere, così come descritta in una lettera inviata a sua figlia Damjana. Il nostro Rudi, nella bella poesia scritta poco prima di lasciare questo paese, e da Lei tradotta dallo Sloveno, così vede poeticamente Urbisaglia: "Urbisaglia, Urbisaglia... qui il cuore batte dolorosamente, si abbandona alla pena, alla nostalgia..." La pena per l'internamento e la nostalgia della casa... "Una stirpe a te straniera prende commiato, ti vuole dimenticare, eppure mantenere il ricordo". Nei versi c'è il dolore di una vita costretta in prigionia, il rimpianto per la propria terra, per la propria famiglia lontana, per gli affetti e gli amori abbandonati..., ma c'è anche il ringraziamento per la ospitalità che questo paese ha loro donato, anche per alleviare le loro sofferenze...

Cara Damjana, Oggi il mio compito è... su Urbisaglia

La distanza da Macerata a Villa Giustiniani (6) nel paese di Abbadia di Fiastra, è di 12 Km. Dalla Villa ad Urbisaglia, 4 Km. Davanti al nostro portone di entrata al giardino si ferma la corriera che arriva da Macerata. Qui saliamo e proseguiamo nella strada a destra per Urbisaglia. Oltrepassiamo un piccolo ponte (7) sul Fiume Fiastra e continuiamo per la bella strada. Guardando fuori dalla corriera, a destra e a sinistra, vediamo delle belle collinette (8) tutte fiorite, piene di grazie di Dio, per il nostro pane quotidiano.
Un disegno tutto a quadri e di molti colori, questi bei campi, su queste collinette; magnifici quadri per un pittore. Le case dei contadini, belline, vecchi uomini e donne coi ragazzetti, che lavorano in campagna; per il bestiame, molto porci che si pascolano e mangiano erba.
Arriviamo alla salita (9), verso il paese di Urbisaglia. Altezza del paese uguale a quella di Macerata: circa 310. Prima di entrare vedi qualche casa e poi oltre il portone (10), entri del nel paese. Qui, (questo paese) negli antichi tempi è stato un Castello dei Conti come a Gorizia (11). Accanto a questo vecchio e curioso Castello (12) c'è una bella Chiesa, internamente in giro rotondo, con alte colonne e sopra una cupola (13). Quattro bei altari, ma oggi era illuminato solo l'altare dedicato al "Cuore di Gesù".
A destra della chiesa c'è il monumento al martire fascista Bonservizi (14) che è stato ucciso in Francia dagli antifascisti. A sinistra, nella sua casa nativa, c'è una bella lapide in memoria. La piazzetta (15) davanti alla Chiesa è semplice, invece le vie strette del paese nel centro hanno il selciato di pietra. Paese pulito.
Siamo entrati in un cosiddetto caffè (16) e abbiamo bevuto tre caffè-latte con pane biscottato: cinque lire. Sono dei caffè-latte come i nostri cappuccini. I negozi sono piccoli e quando entri trovi già delle scalinate (dei gradini) in su o in giù. Però a sinistra del paese (17), verso una strada che conduce ad un antico Anfiteatro Romano, vi sono nuovi e bei fabbricati. Qui c'è la fabbrica di Calze (18) ed una filanda di seta : quando ci siamo passati vicino abbiamo sentito un odore come di una pescheria. Io pensai: povere donne, che qui lavorano. E poi ci lamentiamo se la seta è cara! Un mese fa è morto il vecchio Padrone (20) e si udiva, passando, come una donna con voce forte pregava il "Pater Noster" per il defunto Padrone durante il lavoro e tutte le altre donne rispondevano. Non so' se ogni giorno così pregano, però è caso raro e pieno di amore, di queste donne, che hanno ancora oggi, per il loro Padrone, dopo un mese della sua lontananza (morte).
Nel negozio Tabacchi trovi di tutto. Lo spirito per pulire il vestiario lo abbiamo trovato in farmacia.
Poi alle 9,30, dopo un giro per il paese, siamo entrati in una osteria (21). Abbiamo bevuto birra Dreher: bottiglie 6, Lire 3,75, fresca e buona. Vino da 18 gradi (22) e vecchio di 18 anni a Lire 10 al litro (come una dolce marsaletta). Se non si trova più (nelle osterie), dove lo vendono è a 300 Lire l'ettolitro. Le marmellate Cirio in vasetto, Lire 5. Poi a piedi siamo ritornati io, Pupuk e il Carabiniere. E' un internato, il Sig. Luzzatto, che ti saluta ed oggi in partenza per Torino, perciò ha fatto la sua firma. Al Sig. Golberli puoi contraccambiare i saluti, che gli mando io ed i suoi due cugini, Avvocato e Medico, Dr. Pincherle, anche la sua mamma è qui, viene ogni mese. Così sono contento di questa bella visita al paese di Urbisaglia, e non devo altro che ringraziare il nostro buon Commissario del campo per averne concesso il permesso. Lo vede che siamo buoni e lui si dà molto pensiero per noi, che andassimo a casa. Si meraviglia che Gorizia si interessa così poco per me.

Saluti tuo babbo Rudi

 

Io, Betto Salvucci, per essere cresciuto, anni fa ai margini della strada che dalla Statale 78 Picena, che allora attraversava l'Abbadia di Fiastra, conduce ad Urbisaglia, ho visto più volte passare, appiedato, un Internato del Campo di Concentramento dell'Abbadia accompagnato da un Carabiniere o altro Agente. Ricordo anche che la Guardia accompagnatrice portava spesso una bicicletta che spingeva con una sua mano sul manubrio. Uno di questi Internati sicuramente sarà stato il Sig. Rudi. Vedendo oggi le sue fotografie... la sua figura emerge nitida nella mia memoria. Ne sono felice anche per la testimonianza che oggi posso donare alla Signora Damjana Bratuz, figlia del Sig. Rudi, che in questi giorni ho avuto il compiacimento di conoscere ed apprezzare per la bontà, la cultura e la sua meravigliosa arte musicale.

 

Poesie di Rudi

Riportiamo 33 piccole poesie che il Babbo Rudi ha scritto... impersonando, come Autrice, sua figlia Cici, da lui chiamata anche con il secondo nome, Ada (Bogdana). Le raccolse in un piccolo volumetto , del quale pubblichiamo anche la copertina, dal titolo:

wpe94297.gif (40364 byte)"Il CUORE (in poesie) del tuo babbo Rudi"

Sono delle delicate espressioni d’amore per la propria famiglia, dalla quale Rudi deve restare lontano... senza potersene spiegare il perché: un continuo dialogo con se stesso per reprimere nel cuore il dolore del distacco. Rivolto alla figlia, che lui fa protagonista delle stesse poesie, dice: "Che il babbo non volevi, tante volte mi dicevi, ora sei così contenta, delle poesie che ti inventa". Le inventa a nome della figlia. Il suo sogno? Di ritornare a casa, presso i suoi affetti: "Di ritorno lo vogliamo... per ripetere la festa"... fa dire alla figlia. Per ritornare nell’eterno bello della propria famiglia.

1 - CICI, PREGA

Babbo mio adorato,
t’ho invano aspettato
ora prego a Maria
che tu torni a casa mia.
Qui per te ogni mattino
prego con la sorellina,
sei lontano, lo sappiamo,
con il cuore ti aspettiamo.

2 - IL CUSCINO DI PAPA’

Dopo tanto ho capito
che il tuo male è guarito
senza prender medicine
né sciroppi, né aspirine.
Mal di testa, mal di cuore,
mal di denti, di bruciore,
tutti i mali son passati,
sen’averli mai curati.
Quel segreto babbo mio
l’ho scoperto solo io
che guarisce i dolori
senza cure dei Dottori.
Tu lo trovi sul tuo letto,
questo medico perfetto,
è il "cuscino" babbo mio,
che ti ho donato io.

3 - LA CROCE DI GESU’

Che pensi babbo caro
alla Croce di Gesù?
Perché di te sognavo
che ce l’avevi tu.
In cima alla Chiesa
è la Croce di Gesù,
perché sarei offeso
se non la vedi più.
Perciò sto a pregare
alla Croce di Gesù,
che faccia ritornare
il babbo mio quassù.

4 - LA VERITA’

La verità conosci tu?
Tanti a conoscerla
non la vogliono più
A certa età lo credi tu?
Già al solo sentirla
non la vedono più.
La verità solo Gesù
insegnerà a comprenderla
a noi - lassù.

5 - L’OCCHIO DI PAPA’

Guardava, lacrimava
l’occhio di papà,
il treno lo portava
nella piccola città.
La bella Tolentino
l’occhio di papà,
vedeva da vicino
i bambini qua e là.
Cercò la bionda Cici,
l’occhio di papà,
e pianse come i piccini
non trovandola più là.

6 - BAMBOLA MIA

Bella Bambola, tu mia,
mia gioia, mia allegria,
te amavo da piccina,
da scolara, da bambina.
Se da piccola piangevo
solo te veder volevo,
le mie lacrime asciugavi,
il mio cuore carezzavi.
Come bimba birichina,
disturbavo la mammina.
Tu dal braccio mi scappavi
e con me tu non giocavi.
Ora brava, son scolara
della Via Santa Chiara,
ci studiavo, imparavo,
mai di te mi dimenticavo.
Tu sai farti ben volere,
i miei libri vuoi vedere,
se ti parlo tu mi ascolti
se ti guardo gli occhi volti.
Bambole come la mia
che danno gioia, allegria,
amore come noi piccine
tutti i cuori di mammine.

7 - LE BARCHETTE

Con me correte
a vedere, se volete,
nel parco di Bandini
le barchette pei bambini.
Però dovete sapere
che entrare non potete:
da fuori si permette
guardare le barchette.
Ohimé, vedete
sono anitre, ochette.
Che furbi eravamo
e il naso ci tocchiamo.

8 - I MIEI COMPAGNI

Di buon’ora al mattino
mi alzo dal lettino,
da me, proprio vicino,
mi dorme il gattino.
Appena son vestita
a svegliarlo corro dritta,
se a tavola mi siedo
il gattino è contento.
Davvero son piccini
i miei due cagnolini
con me qui a giocare
e non penso di fermare.
La carne non conoscono,
neppure le dure ossa,
mi prendono pane e latte
se la fame a loro batte.
Più bello e carino
è il mio canarino;
il ritornello mio
mi canta in addio:
"Lo voglio proprio io
che ritorni babbo mio,
perché a lung’andare
non sa più ritornare."
I miei compagni piccolini
e la tua bella Cici
ringrazieranno Iddio,
se tu ritorni babbo mio.

9 - IL VALZER DI PAPA’

Il piano solo sa
che cosa suono già,
un poco forse qua,
la mamma lo saprà.
Per scuola, lo so già
la polka, qua e là,
il meglio che mi va
è il valzer di papà.
E quando tornerà
suonarlo mi sentirà
se il piano sbaglierà
il babbo mi aiuterà.

10 - PANE NOSTRO

E’ il cibo preferito
di frumento garantito,
pane nostro quotidiano
che da bimbi lo amiamo.
Quando viene la raccolta
l’è bel tempo ogni volta,
e se il pane lo abbiamo
il buon Dio ringraziamo.
E perciò cari bambini
non sciupate i pezzettini,
del buon cibo preferito:
il pane nostro saporito.

11 - L’APPETITO

Hai sofferto dei dolori,
sopportato dei malori,
ma ciò che più hai patito...
di saziare l’appetito.
Più si mangia, più si cura,
questo male sempre dura,
quando tu sei ben nutrito,
puoi colmare l’appetito.
La ricetta più segreta,
di un vecchio buon profeta,
scrive molto, ha suggerito,
per cacciare l’appetito.

12 - SOLO PER TE, CICINA

Solo per te, Cicina,
canto la romanzina,
come il tuo bebè,
mangia da solo per tre.
Non lo sai tu piccina
che già chiama "mammina",
quando vuole il caffè
il bebè beve per tre.
Solo per te, Cicina,
canto la romanzina.
Ohimé, il tuo bebè
da solo sporca per tré.
Ora lo sai, piccina,
che croce ha la mammina,
per il solo tuo bebè
lavorar deve per tré.

13 - CICI SUONA

Suono l’armonica,
la fisarmonica;
perché lo so già
che Dami lo sa,
la mamma chissà?
Suono l’armonica,
la fisarmonica;
perché lo so già
che il babbo verrà
e qui resterà.
Suono l’armonica,
la fisarmonica:
perché lo so già
che mai accadrà
che scappi papà.

14 - IL BABBO DEI CANI

Ogni babbo ha un cuore
dolce come il cioccolato,
io so’ che dalle Suore
queste cose ho imparato.
Mi tremavano le manine
quando a scuola ho sbagliato,
che siamo tutte birichine
ha il babbo indovinato.
E’ un babbo qui invece
che gli battono due cuori,
e da Vienna, non da Lecce,
senza figli, senza bori (soldi).
Questo babbo ha dei bei cani,
raccoglie ossa ed avanzumi;
qui lui mangia già da anni
solo pasti di legumi.
Sono cani ammaestrati,
parlano con la voce dura,
rifiutando gli estratti,
vogliono solo carne pura.
Ora il babbo dei bei cani
non è stato mai capito;
per non fare dei malanni
vasi d’acqua ha riempito.

15 - CICI PARLA

Che il babbo non volevi,
tante volte mi dicevi;
ora sei così contenta
delle poesie che ti inventa.
Lo credevi tanto buffo,
come donna in camuffo,
dal disegno qui presente
non ti manca proprio niente.
Liscia liscia ha la pelle,
labbra rosse tanto belle;
un po’ misero di bori (soldi),
già a noi non ci occorri.
Di ritorno lo vogliamo,
a te mamma auguriamo,
per ripetere la festa,
come oggi, proprio questa.

6 - IL BABBO SOLDATO

Quando tu eri soldato
di fucile ben armato,
le stazioni sorvegliavi
sui confini Jugoslavi.
Sei venuto in permesso
molto grasso e ben messo,
non credevo neanche io
che tu fossi il babbo mio.
La migliore posizione
al Comando di Stazione,
a Gorizia tu l’avevi,
scritturale lì facevi.
Presto t’hanno nominato
"caporale" non soldato,
se a casa non tornavi
e il servizio continuavi.
Se ritorni, babbo mio,
al Comando vado io,
a chieder le stellette tue
e il servizio per noi due.

17 - LA CANZONE DI MAMMA

A me, alla Damjana
canto la ninna nana
da piccola piccina
con la voce di mammina.
Udendo il suo canto
cessò il suo pianto,
appena l’ha finito
abbiamo già dormito.
Al suo dolce cuore
recavano dolore,
le lacrime dorate
di bimbe adorate.
Or siamo noi scolare
capaci di cantare
la dolce melodia
di mamma, cara mia.
Le bamboline nostre
portiamo alle giostre,
udir la ninna nanna
canzone tanto sana.
Da noi devi venire
tu babbo a sentire,
la musica di mamma,
l’allegra ninna-nanna.
Vedrai, potrai dormire
senza dover capire
le sofferenze tue
di mamma e noi due.

18 - IL SOLE TUO

Da un mese, caro paci (papà)
che laggiù tu solo taci;
che accade?, Che succede?,
i tuoi brani non si vede.
Forse cerchi il tuo sole,
bianche rose, belle viole,
non lo sai, è l’inverno
molto freddo, un inferno.
Tu riposi, lo capisco
e perciò ti ubbidisco;
solo questo posso chiedere
quanto pensi farti vedere?
E’ un po’ troppo che t’aspetto,
non fai mica per dispetto?,
perché so’ dove trovarti
e condurti nelle mie parti.
Qui da me tu trovi il sole,
bianche rose, belle viole,
il sole tuo è la Cici,
le rose e le viole tuoi amici.

19 - LA CICI TELEFONISTA

Oltreciò che da barista,
sono qui telefonista,
ti attendo ogni giorno
quando mi dirai - ritorno.
Pronto, pronto, chi mi chiama,
son la Cici, non la mamma;
chi mi parla, chi volete?,
subito mi rispondete.
Se parlate chiaro e tondo
gentilmente vi rispondo.
Se volete poi scherzare,
faccio a meno d’ascoltare.
Babbo mio, tu non credi
se cogli occhi tuoi non vedi,
come qui all’apparecchio,
parlo e guardo me allo specchio.
Sai perché ho imparato
di parlar con l’apparato,
per poter qui udire
quando tu vorrai partire.
In attesa del segreto
se tu parti da Loreto,
al telefono sto io
se mi chiami, babbo mio.

20 - OGNISSANTI

Suonano, suonano le campane
delle Chiese goriziane,
da paesi più vicini,
dai lontani Appennini.
E’ il giorno d’Ognissanti,
di dolori e di pianti,
di tristezze, di passioni,
di ricordi, d’illusioni.
Tombe sacre inghirlandate,
dai fedeli visitate,
pure quelle abbandonate,
da parenti riaffiorate.
Ivi figli son sepolti,
madri, padri, bimbi molti,
numerosi i parenti,
altrettanti i conoscenti.
In ginocchio qui preghiamo,
per la Pace supplichiamo,
della quale sono privi
molti morti, molti vivi.
Esaudisca, oh Signore,
d’Ognissanti, d’ogni cuore,
di noi tutti le preghiere
pel migliore avvenire.
Fiori bianchi ho portati,
ai tuoi avi l’ho donati,
perché tu non sei presente,
il cuore mio è dolente.
Molti fiori ho posati
sulle tombe dei soldati,
per i nostri ho pregato
come tu m’hai imparato.

21 - OH SCUOLA MIA

Bella è la scuola mia;
oh, che grande allegria,
ha le porte già aperte,
il cuore mio si diverte.
Tutti, tutti ai giochi... via,
i libri ho in mano mia,
le palestre sono aperte,
imparando si diverte.
Sono figlia di Maria,
amo tè o scuola mia,
ho le mani già esperte,
scriver molto mi diverte.

22 - BEL TEMPO

A sua ora
e senza bora
"ritornerà l’aurora"
dei tempi d’allora.
A passo lento
e senza vento
"arriverà il bel tempo"
fra poco - a suo tempo.
A noi il sole
e alla nostra prole
"risplenderà il sole"
se Dio vuole.

23 - ATTENZIONE

Attenzione, attenzione,
leggi qui l’osservazione,
l’occhio tuo tieni in vista,
sul cavallo, sul ciclista.
Attenzione, attenzione,
senz’averne l’intenzione,
traversando tu sei morta,
alla moto poco importa.
Attenzione, attenzione,
quando esci dal portone,
l’auto fischia, se ne infischia
se tu muori nella mischia.

24 - WINTER A MILANO

Molte volte ho sognato
che dal campo è ritornato
il babbo mio adorato,
senza aver mai sparato.
A Milano, in permesso,
Emil è da noi adesso;
quant’è bello, fa figura,
di nessuno ha paura.
Son contento veramente
che il mio babbo è tenente,
senza prendere le taglie,
ha già vinto tre battaglie.
Tutto il mondo gli è grato
per l’onore acquistato,
specialmente i milanesi
per le "salsicce" viennesi.

25 - SII PRONTO, BABBO

Babbo ora noi scherziamo,
ma sul serio ti avvertiamo,
anche tu sei nella lista:
la partenza è in vista.
Venga vento, venga bora,
sìi tu pronto ogni ora
da momento in momento
te ne andrai da quel Convento..
Se ha perso la credenza
della prossima partenza,
non son cause di noi due
e nemmeno, babbo, tue.
Dio voglia non avvenga
che qualcuno ti trattenga;
sii pronto, babbo mio,
alla Fiastra dai l’addio.
Qui t’attendono già tanti,
tuoi amici d’armi e fanti
per cantar la melodia
"son da te, o Cici mia".

26 - L’ADDIO

Nel cielo dell’Abbadia di Fiastra
tu vedi la nube rosastra:
l’annuncio del lieto evento,
la fine del tuo tormento.
Saluta i tuoi mille cantori,
gli uccelli di vari colori,
gli amici del tuo destino,
la Chiesa di Sant’Agostino (1).
Il parco, le rose, le piante,
i paesi latini di Dante (2),
i monti col manto di neve (3)
e a quelli che il cuor tuo deve (4).
Ascolta, al tuo orecchio l’affido:
tu parti, ritorni nel nido;
per te, caro babbo, e tu sei mio,
è giorno di sole, di brio.

1. L'Autore chiama la Chiesa dell'Abbadia di Fiastra "di Sant'Agostino" perchè in quel tempo vi erano gli agostiniani.
2. Fa riferimento ai versi 73-78 della Divina Commedia con  i quali Dante ricorda Urbisaglia.
3. Indica di vicina monti sibillini.
4. A quelli ai quali tu devi riconoscenza.

27 - L’ARRIVO (A CASA)

Sei tornato a Gorizia
babbo mio, che delizia:
permettete che io descrivo
quella gioia dell’arrivo.
All’arrivo l’ho servito
con il pane imbottito,
con il vermut d’onore
abbracciandolo di cuore.
Io non so’ se ho pronunciato
quel discorso preparato,
poiché il mio caro "paci" (1)
non finiva di dar baci.
Questa sera è di gran festa,
la mattina si appresta
a metter fiori, molte piante,
mille dolci, lo spumante.
Dopo cena, dopo il pasto,
il programma è molto vasto,
splenderanno luci varie,
canteremo cento arie.
In onore dell’arrivo,
per il babbo sano e vivo,
canterà la Damj mia
di Gounod l’Ave Maria.
Or la luna è di fuori
sta guardando i nostri cuori,
controllando le bevute
e i bis delle battute.

1. Paci qui scritto per necessità di rima è "babbo".

28 - MAMMINA

Lontan lontano
sono io che ti chiamo,
il tuo sorriso
oggi di vedere bramo,
mammina mia,
cuore adorato,
è notte, buio,
sono abbandonato.
Seppure fossi
da bambino birichino,
mai sgridavi,
carezzavi il mio visino;
a scuola, poco bravo,
sempre giocavo,
però a casa te sola,
solo te amavo.
In cielo brillano
mille e mille stelle,
portarti qui vorrei
tante cose belle,
poterti chiamare,
o mammina ed abbracciarti,
ma ti cerco invano,
qui, da queste parti.
Per me qui prego,
come tu m’hai insegnato
che mi sia dall’Iddio
tutto perdonato;
la Croce tua porterò
mammina mia
e poi da te verrò
a cantar l’Ave Maria.

29 - IL TRAMONTO ALL’ABBADIA DI FIASTRA

Sole mio, che splendi tanto,
saluti portami, senza pianto,
dei bei uccellini, d’allegri canti
il cuore mio ama tutti quanti.
Sogni ideali di bimbe tante
fioriscono fiori, rose e piante,
qui aria buona e profumata,
io amo te’ Mia adorata.
Al bel tramonto dell’Abbadia
ammiro la nube tutta rosastra,
giardino suo, divino parco,
gli uccelli che gli fanno l’arco (1).
A ricantare la melodia,
vorrei tornare a casa mia (2),
dalle bambine, mie pupille,
il mio bacio d’arte giovanile.

1.Il Trionfo sta per arco di trionfo, per esaltarne il bello.
2.E' tanto bella l'armonia che dona il parfco dell'Abbadia... che vorrei riportarla a casa mia a Gorizia per le mie bambine.

 

30 - CICI SCAPPA

Il treno parte, è già lontano
e a casa non lo sanno
che la Cici è scappata
da Papà a Macerata.
La, nell’angolo sedeva,
non piangeva, ma rideva,
ogni tanto si alzava,
e di fuori la guardava.
Come il treno, tutto corri,
boschi, case, piante e fiori,
non arriva a guardare,
tanto meno a fermare.
Coi suoi occhi e il visino,
ha qui visto da vicino
il bel monte di Loreto
ove babbo è diretto.
Ogni tanto un po’ dormiva,
gli occhi su e giù apriva,
ascoltava un po’ distratta
se si chiamava Macerata.
Questo nome così strano
crede tanto più lontano
dove il babbo suo dorme
e da tempo non risponde.
Macerata, Macerata!
Oh, la Cici, che beata,
salta fuori dal vagone,
entra pronta in stazione.
Un autista aspettava
che gentilmente domandava:
cerchi me bambina cara,
vuoi andare dalla Mara?
Da Bandini, da Bandini,
in quel parco pei bambini,
veder voglio anche questo,
fate presto, fate presto.
Per la strada si correva
e nessuno si vedeva,
ecco l’auto si fermava
e la guardia salutava.
Chi tu cerchi, qui, bambina,
bella, piccola biondina?
Mio babbo che qui dorme
e da tempo non risponde.
Come chiami il tuo babbo
che per te è poco bravo?
E’ quel Rudi con i sandali,
forse biondo e con gli occhiali?
Come voi sapete questo
così presto, così presto?
Proprio lui è il mio babbo
che per me è sempre bravo!
Già da ieri è sparito
per Gorizia è partito.
Tanta strada tu hai fatto
e il tuo babbo non trovato.
Vero tutto le sembrava
che dal treno là guardava,
e dal parco di Bandini
son scappati gli uccellini.
Cici bella dorme ancora,
Franco già aspetta un’ora,
così bene ha sognato
che il suo "Paci" è tornato.

31 - CICI MAGISTA (maga)

Una folla aspettava
a gran voce acclamava
il teatro dei Bandini
i burloni birichini.
Che gran chiasso si faceva,
molte sedie si rompeva,
questi muli (bimbi) piccoletti
al balletto dei nanetti.
Poi finito sto programma,
una banda che suonava:
com’un lampo son’in piede
per vedere cosa succede.
Ora stanno tutti zitti,
su in piedi fermi e ritti,
occhi fissi e confusi,
molta gente, molti musi.
Qui sedette, qui sedette,
van gridando le marionette,
bravi i nostri saltimbanchi,
li vedrete tutti quanti.
Che magnifico programma
caldi tutti come fiamma,
anche quello è beato
che senz’un soldo è entrato.
Il varietà è già finito,
anche fuori l’han capito
chi la birra ha bevuto
e sta roba non veduto.
Si riposa un po’ troppo
per che scopo, per che scopo,
la Magista si prepara
per venire alla sbarra.
Si riapre il sipario,
tutto buio lo scenario,
la Magista è un fiore
che profuma le Signore.
Nelle mani ha un piatto,
nella scatola un gatto,
versa latte lentamente
e nel piatto resta niente.
Tutta gente come matta,
non ha visto quella gatta:
chi dal piatto ha bevuto
se il latte era tutto?
Prese poi un bel sapone
ne rosicchiò un gran boccone:
tutti battono le mani
al buon dolce di Silvani.
Poi mangiava dei bottoni
anche a piccoli bocconi;
sigarette poi mostrava
e anche quelle le mangiava.
Ha soffiato una balla,
centomila ne saltava,
altre sopra le teneva
e nessuno le vedeva.
Alla fine della festa
la più bella era questa:
nelle tasche son tornate
le entrate raddoppiate.
Quando fuori sono usciti
tutti i soldi sono spariti:
la Magista tanto brava
dalle tasche li rubava.
Ci son Magiste dappertutto,
come questa mai veduto.
E’ Magista vera e tonda,
la nostra Cici bella e bionda.
Anche qui a Macerata
e la sala è preparata:
i biglietti già venduti
per veder Magista tutti.

32 - CICI E NANNETTI (nanetti)

Da Salcano verso Plava
conduceva una strada
da sinistra fiume fondo
con un ponte mezzo tondo.
Questo fiume è l’Isonzo
con le fabbriche di bronzo
per cravatte tipo maglia
e i cappelli dalla paglia.
Sopra il monte Valentino
che lo vedi da vicino
c’è la guardia che sorveglia
alla notte e sta sveglia.
Alla cima sta un buco
sorvegliato da un lupo
e l’entrata alle scale
pitturate bianco gialle,
Quando l’una è di notte
e le scarpe non hai rotte
pian pianino vai in cima,
non voltarti mia piccina.
Come arrivi alla meta
butta via la berretta,
al saluto il lupo abbaia
a Nannetto fa la guardia.
Lui ti prende a braccetto:
vedrai è un angioletto,
ti aprirà il portone d’oro
conducendoti da loro.
Ora tutti sono in festa,
il lavoro fermo resta.
Cici Ada vi saluta,
i Nannetti i fiori butta.
Quanta gioia qui da loro
con cappelli tutti d’oro.
Sotto piccole ombrelle
cantano le canzoni belle.
Su di un piatto ben dorato
ho bevuto ed ho mangiato;
dopo tutta questa festa
mi girava già la testa.
Al lavoro!, chiama Nanno,
Vado e vedo dove vanno:
a lavorare i cappellini,
le cravatte, gli ombrellini.
Si lavora sull’Isonzo,
alle fabbriche di bronzo,
sono bravi sti Nannetti
fanno tutti lavoretti.
Poi mi mostrano le porte:
tutte d’argento sono fatte!
Solamente la mammina
può entrare qui, piccina.
Li si comprano i bambini,
i più piccoli, i più piccini;
poi li portano a casa,
nei lettini te li basa (1).
Tanto bella questa storia
la sapevi a memoria,
Quando eri tu piccina
raccontava la mammina.

1. si baciano.

33 - IL CORO DELLA CICI

Aspetto alla stazione
il gran lusso del vagone,
sono andati con la Cici
le amiche, gli amici.
Profumata di odori
con quel mazzolin di fiori
nostra Cici è contenta
e un discorso si inventa.
Per l’arrivo del vagone
in fila tutti or si dispone;
al bel treno che arriva
tutti gridano Evviva.
Questi piccoli cantori,
sono usciti tutti fuori,
nelle solite casette
che le chiamano gabbiette.
Hanno fatto un inchino
alla Cici da vicino
intonando la canzone:
oh che donne, oh che donne!
Han finito di cantare
e la Cici sta a parlare,
a Gorizia vi saluto
augurando il benvenuto.
Ad ognuno degli amici
pronta subito la Cici,
gli consegna la gabbietta
da portare in via Stretta (1).
Perché dorme la mammina
vanno tutti in cucina,
qui serviti con rispetto
poi si mettono al letto.
A mammina adorata,
che da tutti è amata,
a buon’ora di mattino
han cantato pian pianino.
Questo coro bel perfetto
dalla Cici è diretto,
tutta rossa d’allegria
è in questa compagnia.
Mazzo, mazzolin di fiori
A mammina gli onori.
Raggio nostro sei solare
I tuoi occhi fan sognare.
A boccuccia fa cantare.
Che contenta la mammina
e a tutti s’avvicina,
li carezza tutti quanti
e cantar li fa avanti.
Dappertutto in quel giorno
han portato tutt’intorno,
che il coro d’uccellini
e dal parco di Bandini.
Quanto brava è mammina
in Caffè (2) dalla mattina,
un po’ pensa con dolore
a quel povero amore.
Nostra Cici molto furba,
c’è nessuno che la burla:
mette il coro all’aperto
e il caffè gli ha offerto.
In caffè siamo venuti
lo vogliamo bere tutti,
tanta sete noi abbiamo,
alle otto già partiamo.
Molto brava la padrona
a far caffè è sempre buona,
ora sopra la scanzia
han cantato in armonia.
Dopo questa grande festa
nulla altro a noi ci resta...
che cantare il ritornello
che è quello, sempre quello.
Che onori alla Cici
ed a tutti i suoi amici,
ritornando il coro a Fiastra
ha spaccato una lastra.

1. Il nome della via della loro abitazione
2. Il "Caffè-Pasticceria" di Rudi a Gorizia era, dal 1923 al 1968, un ritrovo di cui i goriziani, non solo sloveni, ancora sentono la mancanza. Dopo la II guerra (1939-1945) vi si potevano leggere quotidiani e riviste in tre lingue (italiano, sloveno e tedesco), e rappresentava un locale di tipo viennese, che fu testimone di tutte le vicende e i cambiamenti politici di quella terra di confine. Nel maggio del 1945, durante l’occupazione di Gorizia da parte dei comunisti sloveni (i titini), nonostante tutte le persecuzioni subite durante il fascismo, per la sua religiosità e per il suo anticomunismo, Rudi venne deportato e subì tre mesi di carcere durissimo a Ljubljana. Nel dopoguerra ricoprì l’incarico di consigliere comunale e provinciale a Gorizia. Verso il 1965, poiché il Caffè era in affitto, non fu permesso a Rudi di cederlo e permettere ad altri di continuarne la tradizione. Il locale divenne così un negozio di jeans. Rudi preferì trasferirsi con la moglie, dalla figlia Damjana, in Canada, dove morì nel 1982.

DAMJANA BRATUZ

DAMJANA BRATUZ è Professore Emerito dell'Uni-versità del Western Ontario, dove dal 1967 ha guidato e formato un'intera generazione di pianisti canadesi. Dopo il suo brillante diploma al Conservatorio di Trieste, si valse dei consigli di Dario De Rosa, di Carlo Zecchi e Alfred Cortot, e una borsa di studio Fulbright la condusse poi negli Stati Uniti, dove nel 1967 all'Indiana University di Bloomington, fu la prima donna ad ottenere il Dottorato in Letteratura ed Esecuzione Pianistica. Ha svolto un'attività multiforme come pianista, insegnante, conferenziere; quale interprete è ammirata per programmi di grande originalità, ispirati - come ha scritto il Washington Post - "sia dall'immaginazione che dalla ricerca accademica", che "illuminano ed elevano l'ascoltatore" - mentre nel suo gioco pianistico "ogni suono è segnato da intensità e fantasia". Nelle sue ricerche, Damjana Bratuz esplora le convergenze tra la musica, la letteratura e le arti, ed è molto ricercata quale conduttrice di seminari. I suoi contributi sono stati presentati in conferenze internazionali, le più recenti delle quali in Finlandia (Liszt and Bartok: on the Creation of One's own Precursors), a Bologna (Sotto il segno dell'orso), a Toronto (Invisibile Connections, Audible Signs: the Harvard lectures of BartoK (1943) and Calvino (1985). All'Università dell'Indiana, con la sua tesi di laurea, ha avuto inizio la sua ricerca sugli elementi folkloristici nell'opera di Bartok, che Damjana Bratuz ha continuato a sviluppare durante la sua intera carriera accademica in un'inchiesta originale i cui risultati ha condiviso sia con il mondo accademico internazionale, sia con il pubblico - tanto nei centri maggiori (Ottawa, Chicago, Budapest, Helsinki, Auckland (Nuova Zelanda), che in piccole comunità canadesi. La sua attività bartokiana è stata premiata nel 1981 dal governo ungherese. Nel 1989, quasi a coronamento della sua attività artistica, Damjana Bratuz ottenne dal Ministero degli Esteri italiano una borsa di studio per ricerche di Semiotica presso l'Università di Bologna. Uscita dall'Italia nel 1958 da cittadina italiana, per una borsa di studio americana, è ritornata in Italia nel 1989, quale cittadina canadese, per una borsa di studio italiana. Dal 1996 è ritornata frequentemente in Italia per seminari e programmi presso vari centri musicali - a Trieste, Gorizia, Udine, Ferrara, Bologna, all'Accademia Pianistica di Imola e, invitata dall'Istituto Gramsci-Marche, ha contribuito, nel 1997, alla serie Altrisuoni con programmi bartokiani presso i Conservatori di Pesaro e Fermo.

 

Note

1 - Si tratta del Chiostro annesso alla Chiesa Cistercense.

2 - Sono i Frati Agostiniani venuti dal Vicino Convento annesso alla Chiesa di San Nicola di Tolentino, Frate Agostiniano.

3 - Un trozzo di pane, un pezzetto di pane.

4 - Paul Pollak, un Ebreo internato all'Abbadia di Fiastra. Il suo è un memoriale straordinario... con commovente conclusione: "IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI URBISAGLIA". Dall'Archivio "Centro di documentazione Ebraica contemporanea", Fondo Israel Kalk, b, III, IV. 1, 3, - Milano, riporatao dal sottoscritto nella pubblicazione "E vennero... 50 anni di libertà" O.C.

5 - Prima dell'internamento ad Urbisaglia gli uomini sloveni del Goriziano furono rinchiusi per breve tempo a Gorizia nella sala dell'Unione Ginnastica Isontina. Ai famigliari era permesso portare del cibo giornalmente. Rudi dormiva su di un pagliericcio riposto sotto il pianoforte a coda nella sala.

6 - E' la villa dei Principi Giustiniani Bandini Ludovisi Boncompagni.

7 - Il primo ponte che si incontra andando da Urbisaglia verso Macerata.

8 - Venendo dall'Abbadia verso Urbisaglia, è l'attuale primo tratto pianeggiante della Strada Statale n. 78 Picena per il tratto dal Km. 5 fino al Km. 6. Sulla sinistra le colline di Villamagna; sulla destra "dei colli Vasari".

9 - L'inizio della strada per Urbisaglia, all'incrocio con la Statale, nella zona detta Montedoro.

10 - E' l'odierna Porta Vittoria. E lo era anche allora e recava la scritta, nella sua sommità: DUCE! A NOI!

11 - Ritiene che Urbisaglia sia stato un vecchio castello medievale ed in realtà lo è stato, solo che... non era più castello ma libero Comune con tanto di Autorità Comunale... Nel 1941 con un Podestà.

12 - Qui per Castello si intende la Rocca Medievale.

13 - Il nostro illustre Ospite poté allora ammirare la definitiva decorazione della Chiesa Collegiata di San Lorenzo, in quanto, per volere del Parroco Mons. Filippo Caraceni, i lavori per la costruzione della nuova cupola, la decorazione di tutta la chiesa e gli affreschi dell'abside e della Cappella del Sacro Cuore, con i quattro altari in marmo e la nuova casa canonica, vennero realizzati nel periodo 1925-1940.

14 - Nicola Bonservizi -Giornalista, nato ad Urbisaglia il 2 dicembre 1890, fu corrispondente del Popolo d'Italia da Parigi, dove vi ricopriva anche la carica di Segretario del Fascio. Carica non è ben vista dai movimenti avversi, tanto che venne assoggettato a continui attentati. Quello del 24 febbraio 1924 gli fu fatale. Morì il 26 maggio di quell'anno. Dopo le onoranze funebri a Parigi, la sua salma venne trasportata a Milano dove era ad attenderla Benito Mussolini, il Duce. Venne poi fatta proseguire per Urbisaglia e tumulata nel nostro Cimitero accanto alla tomba della madre. Venne commemorato, nella piazza principale del nostro paese, da Arnaldo Mussolini dal balcone della sua casa natale.

15 - E' l'attuale Piazza Garibaldi.

16 - Dovrebbe trattarsi del Caffè Galanti, all'imbocco della odierna via Roma, nei pressi di Piazza Garibaldi (già di Fidirico), ora Bar Salvi.

17 - Si riferisce alle attuali via Roma e via del Setificio

18 - E' il Calzificio Minnoni.

19 - E' la Filanda di Sor Alessandro Caraceni, persona benemerita.

20 - E' il Signor Alessandro Caraceni, nato il 01.05.1879, coniugato con la Signora Cecchi Tullia, è morto il 21.03.1941.

21 - C'erano allora nel paese sei osterie: quella "de Pippo" (Filippo Palazzetti) con ingresso dal Corso Giannelli; quella de Pasquì o de Nulla (Pasquì era Giuseppe Pantanetti e Nulla sua moglie) con ingresso da Via Angelo Buccolini, quella "de Milio" (Emilio Brachetti), "de Petrunilla" detta "de Ciarlucchì" con ingresso da Corso Giannelli, quella "de Marzoli" in Via Traversa Piccinini e quella "de Fidirico" (Galanti) in Piazza Garibaldi di lato alla Chiesa Parrocchiale. Con annessa trattoria quella di Ciarlucchi e quelle di Fidirico. I "Sali e Tabacchi" erano due: de Ninì de Virgì (Salvucci Giovanni), in Piazza Garibaldi e de "Lisà" (Salvucci Alessandro), in Corso Giannelli, vicino alla "Porta noa".

22 - Era il normale e quotidiano vino cotto che ogni famiglia della zona beveva durante i pasti. Un vino oggi addirittura fuori legge. Per bere un buon bicchiere di vino "crudo", allora bisognava andare presso qualche buon contadino... con l'animo disposto a fartelo provare.

 

Associazione di Amicizia Marche Israele - Pagina attiva dal 1995 - E mail: aami@eclettico.org
Ultimo aggiornamento: 16/01/10