Prima che i nostri antenati imparassero (più e più volte) a innescare il fuoco, capitò di certo a qualche essere umano di morire assiderato stando letteralmente sopra ai mezzi per produrre quel fuoco che sarebbero stati la sua salvezza, perché non sapeva come usarli. In un senso provinciale, fu il freddo a ucciderli, ma la spiegazione più profonda è la mancanza di conoscenza. Molte delle centinaia di milioni di vittime del colera nel corso della storia di sicuro morirono vicino a un focolare dove avrebbero potuto bollire l'acqua da bere, salvandosi la vita; anche in questo caso, però, era qualcosa che non sapevano. Molto in generale, la distinzione tra un disastro «naturale» e uno causato dall'ignoranza è provinciale. Prima di ogni disastro naturale che un tempo le persone consideravano come qualcosa che «capitava», o che era stabilito dagli dei, oggi noi vediamo molte soluzioni che le persone coinvolte non adottarono - o meglio, non crearono. E tutte queste insieme formano la soluzione globale che non adottarono: costruire una civiltà scientifica e tecnologica come la nostra.
Deutsch D. L' inizio dell'infinito. Spiegazioni che trasformano il mondo. Einaudi; 2013
Formato Kindle - ASIN: B00F01V9B8; posizione: 3789
La complessità dei processi biologici può assurgere a un livello tale da rendere impossibile e addirittura priva di senso la loro descrizione, giacché mediante le facoltà analitiche dell'essere altamente complesso «uomo» non si potranno mai contemplare tutti i parametri che occorrerebbero per una descrizione completa dell'«uomo» o della «vita», e che consentirebbero di formulare una previsione utile. Dunque quella cui possiamo avere accesso è solo una «tecnica dell'incompiutezza, anziché una tecnica dell'utopia», secondo le parole di Karl Popper. In parole povere: si possono benissimo risolvere singoli problemi scientifici, perlomeno in ampia parte, ma sarebbe utopia pretendere di descrivere il tutto in cui noi stessi ci troviamo immersi.
Friedrich Cramer. Caos e ordine. Bollati Boringhieri, 1988: 287.
Sebbene la teoria controfattuale (legata al filosofo David Lewis) sia considerata tra le più sofisticate analisi della causazione nella filosofia e giurisprudenza contemporanee, essa è zeppa di problemi. Uno si presenta ogni volta che, perché un effetto si verifichi, è necessario un insieme di circostanze. Perché un fiammifero si accenda è necessario strofinarlo, ma anche che sia asciutto, che nell'aria vi sia ossigeno, e che lo si strofini al riparo dal vento. In tutti i mondi possibili simili al nostro in cui il fiammifero è bagnato, l'ambiente è saturo di anidride carbonica, o chi strofina il fiammifero è all'aperto, esso non si accende. Tuttavia, se qualcuno ci chiede di identificare la causa dell'accensione del fiammifero, noi indichiamo l'atto di strofinarlo, non la presenza di ossigeno, il fatto che esso sia asciutto o che ci troviamo fra quattro mura. Per lo stesso motivo non pensiamo che il matrimonio sia una causa della vedovanza o il furto di gioielli una causa del fatto che la polizia lo scopra, anche se in ognuno di questi casi l'evento successivo non sarebbe accaduto senza quello precedente.
In qualche modo noi selezioniamo solo una delle condizioni necessarie di un evento quale sua causa, riducendo le altre a condizioni che lo rendono semplicemente possibile o lo facilitano, anche quando tutte sono altrettanto necessarie. La differenza non sta nella catena di eventi materiali o nelle leggi cui essi obbediscono, ma in un implicito confronto con altri stati di cose (mondi possibili simili, se volete), che conserviamo in un angolo della mente come alternative ragionevoli allo status quo. Poiché l'ossigeno è più o meno sempre presente, non riteniamo la sua presenza una causa dell'accensione del fiammifero. Ma poiché passiamo più tempo a non strofinare fiammiferi che a strofinarli, e pensiamo che strofinarli o meno sia in ogni momento nostra prerogativa, accreditiamo come causa lo strofinamento.
Steven Pinker - Fatti di parole: La natura umana svelata dal linguaggio
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Un carrello sfreccia fuori controllo e sta per investire cinque ignari operai delle ferrovie. Voi siete davanti a uno scambio e potete deviarlo su un altro binario, dove, tuttavia, esso ucciderà un operaio anch'esso ignaro del pericolo. Dovete farlo, salvando così cinque vite al costo di una? La maggior parte delle persone dice di sì, e non si tratta soltanto di lettori di riviste di filosofia che annuiscono con un cenno del capo, ma, in un esperimento di massa condotto da Mare Hauser, di quasi il novanta per cento delle centocinquantamila persone che, in più di un centinaio di paesi, hanno accettato di riflettere sul dilemma e di condividere le loro considerazioni sul suo sito Web.
Ora immaginate di essere su un ponte sovrastante i binari e di vedere il carrello impazzito che sta per investire i cinque operai. L'unico modo per fermarlo è gettare qualcosa di pesante sul suo percorso. E l'unico oggetto pesante a portata di mano è un tipo grasso accanto a voi. Dovete buttarlo giù dal ponte? Entrambi i dilemmi mettono di fronte alla scelta se sacrificare una vita per salvarne cinque, e quindi, in termini contabili, sono moralmente equivalenti. Ma la maggior parte delle persone, in tutto il mondo, non li considera equivalenti. Se nel primo dilemma azionerebbero lo scambio, nel secondo non butterebbero di sotto il tìzio grasso. Interrogate sul perché, non riescono a tirare fuori qualcosa di coerente, ma non ci riesce nemmeno la maggior parte dei filosofi morali.
Joshua Greene, che è sia un filosofo sia un neuroscienziato cognitivo, avanza l'ipotesi che l'evoluzione abbia implementato in noi una ripugnanza all'idea di recare pregiudizio a un essere umano innocente e che questo sia più forte di ogni calcolo utilitaristico sul numero di vite salvate o sacrificate.
L'impulso contrario a nuocere a una persona spiegherebbe altri casi in cui ci si tira indietro di fronte all'uccisione di un essere umano per salvarne molti, come, in un ospedale, praticare l'eutanasia a un paziente per espiantarne gli organi e salvare cinque persone che, senza trapianto, sono destinate alla morte, o, in un nascondiglio in tempo di guerra, soffocare un neonato per evitare che i suoi strilli attirino i soldati che ucciderebbero tutti, neonato incluso. A sostegno di quest'idea, Greene, insieme al neuroscienziato cognitivo Jon Cohen, ha monitorato il cervello dei suoi soggetti mentre meditavano su vari dilemmi, scoprendo che quelli che richiedevano di uccidere una persona con le proprie mani attivavano aree cerebrali associate all'emozione, oltre che altre legate alla risoluzione dei conflitti.
Nelle nostre riflessioni su un profondo dilemma morale, vediamo insomma l'inconfondibile impronta di un'impostazione mentale da dinamica delle forze. Uno scenario in cui l'attore è un antagonista e la sua vittima sacrificale (il tizio grasso) un agonista, significato prototipico dei verbi causativi, suscita un'emozione che sopraffa il calcolo sulle vite salvate e sacrificate, mentre lo scenario alternativo, in cui l'attore si limita a permettere l'azione di un antagonista (il carrello ferroviario), no.
Questo significa che la nostra impostazione mentale da dinamica delle forze ci rende irrazionali in ambito morale? La palese differenza tra causare e permettere contamina la nostra etica e rende le nostre intuizioni inaffidabili? Non necessariamente. Noi diamo valore alle persone non soltanto per quello che fanno, ma per quello che sono. E una persona capace di buttare giù da un ponte un uomo che si dibatte o premere uno straccio contro la bocca di un neonato finché non smette di respirare è probabilmente capace di altre azioni orripilanti non giustificate da calcoli su vite salvate e sacrificate.
Steven Pinker - Fatti di parole: La natura umana svelata dal linguaggio
Mondadori [Formato Kindle] ASIN: B005SZ7WSU - Posizione 5235
La differenza fra i meccanismi che presiedono al comportamento degli organismi in tempo reale e quelli che hanno modellato gli organismi nel tempo evoluzionistico è abbastanza importante da meritare qualche termine specialistico. Una causa prossima di comportamento è il meccanismo che ne preme i pulsanti in tempo reale, come la fame e il desiderio sessuale, che spingono a mangiare e a fare l'amore. Una causa ultima è la motivazione adattiva che ha portato all'evoluzione della causa prossima, come il bisogno di nutrirsi e riprodursi, che è all'origine degli stimoli della fame e della libido. La distinzione fra causazione prossima e ultima è indispensabile per capire noi stessi, giacché determina la risposta a ogni domanda del tipo: «Perché quella persona ha agito così?». Per fare un semplice esempio: da un punto di vista ultimo, se si ha una gran voglia di fare l'amore è per riprodursi (perché la sua causa ultima è la riproduzione), ma dal punto di vista prossimo si può ricorrere a ogni mezzo per fare l'amore e non riprodursi (perché la causa prossima è il piacere).
PINKER S. Tabula rasa. Mondadori, 2005. p 72