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"...eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerá nuovamente al bene,che ritorneranno l'ordine, la pace, la serenitá"Annalies Marie Frank

 

Pipes: non basterà un summit, si rischia la guerra come nel ’67

Il Sole – 24 Ore, 14 Ottobre 2000

di Mario Platero (corrispondente da Nuova York)

NEW YORK – La situazione nel Medio Oriente sembra precipitare e le possibilità di evitare una guerra appese al filo di un vertice guidato dall’America. Ne parliamo con Daniel Pipes, responsabile del Middle East Forum di Filadelfia, molto ascoltato negli ambienti senatoriali statunitensi.

Si cerca un incontro, una conferenza, per ristabilire la calma in Medio Oriente. Cosa ne pensa?

Non penso che un vertice sia la questione chiave. Essa riguarda piuttosto la vera natura della volontà palestinese di ricorrere alla violenza, da una parte, e se gli israeliani dall’altra continueranno a negoziare o se pensano se il processo sia chiuso. Vede, tecnicamente oggi il processo di Oslo ma ci sono elementi nuovi che si sono sviluppati negli ultimi tempi che hanno secondo me cambiato le dinamiche di fondo delle relazioni. Per questo temo che, oggi, la situazione sia particolarmente drammatica.

Si riferisce alle provocazioni di Sharon, allo scoppio della violenza reciproca…

No, la visita di Sharon è stata una scusa, non la causa.

È forse possibile che Arafat avesse bisogno di un nuovo scontro prima di poter procedere lungo la strada della pace.

Non credo che si tratti di una tattica di Arafat. Davanti a una tale manifestazione di rabbia e di violenza non potevano che esserci fermenti di lunga gestazione. Ci sono diverse fazioni, ci sono interessi diversi e quel che è successo gradualmente negli ultimi tempi è che i palestinesi si sono molto rafforzati, e le loro ambizioni sono cresciute mentre Israele si è indebolito.

Ma Israele non sembra affatto debole. È l’unica tra le due fazioni a disporre di un esercito, gli altri non neppure uno stato.

Lei mi chiedeva delle motivazioni che possono aver portato agli scontri degli ultimi giorni, e come dicevo la situazione è molto più complessa, anche psicologicamente. Agli occhi dei palestinesi le dimostrazioni di debolezza di Israele sono state ad esempio il ritiro dal Libano, frettoloso, senza ottenere nulla in cambio, solo per non rischiare più la vita dei soldati schierati nel territorio occupato. Abbiamo visto Barak salire all’improvviso a un’offerta del novanta per cento per la restituzione dei Territori Occupati, in fretta e senza concessioni. E stata offerta la restituzione del Golan, di nuovo senza nulla in cambio. Più recentemente abbiamo visto il rapimento dei soldati da parte dello Hezbollah senza nessuna reazione e la distruzione della Tomba di Giuseppe senza nessuna reazione. Israele non ha mai assunto una posizione di "debolezza": nel linguaggio della regione, ha sempre risposto con rappresaglie. Ma ora sappiamo che non ha avuto risultati.

Perché questo cambiamento?

Per il processo di pace iniziato ad Oslo. E stato impostato male fin dall’inizio: cominciamo ad incassare qualcosa, poi vedr4emo.Il principale motore dietro questi sforzi è stato Bill Clinton, ma lui stesso si è accorto, dopo il fallimento di luglio, che la logica di Arafat era d’incassare quanto più possibile per poi fermarsi e ripartire all’attacco. Quando Arafat dice che il suo popolo è pronto a "marciare nel sangue per riconquistare Gerusalemme" dice che i palestinesi, più che costruite uno stato, vogliono ancora cercare di distruggerne un altro. Il rischio che corriamo oggi è davvero quello di tornare ad una situazione anni Cinquanta, pre-guerra del 1967.

Non è forse un timore eccessivo? Ci sono altri accori con l’Egitto…

E vero, ma quei risultati sono stati ottenuti seguendo la politica della deterrenza, appunto, tra il 1948 e il 1993. E astato un percorso lungo ma ha portato a qualcosa. Temo che privilegiando il prestigio americano nella zona, è finita che abbiamo incoraggiato le parti a procedere lungo una strada per accorgerci che non sempre gli accordi fra i governi riflettono i sentimenti del popolo. Purtroppo questa è la situazione come la vedo oggi.

Siamo ancora all’odio biblico?

No. La cosa, spero, è meno complessa. Stiamo parlando di un conflitto moderno che ha la sua radice nelle rivendicazioni nazionalistiche del 1890 di arabi ed ebrei. Ma non credo sia utile risalire all’Ottocento.

L’attentato alla nave statunitense Cole è parte di un piano più ampio?

Non credo. Credo che ci fosse un commando pronto da mesi a sfruttare al prima occasione. C’è anche stata una rivendicazione, l’Armata di Maometto, un gruppo estremista yemenita, legato a Bin Laden, e Bin Laden è soprattutto contro l’America e contro quella che lui definisce l’occupazione americana dell’Arabia Saudita. Solo in modo secondario è interessato al conflitto tra israeliani e palestinesi.

Come vede il dialogo con la Siria?

Molto bene. Credo che avremo presto sorprese positive.

Associazione di Amicizia Marche Israele - Pagina attiva dal 1995 - E mail: aami@eclettico.org
Ultimo aggiornamento: 16/01/10