wpe2.jpg (4456 byte)Capitolo 2: Il Mondo
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Pannunzio e "Il Mondo"

Il radicalismo dopo anni di latitanza ricomparve, come abbiamo già accennato, negli anni Cinquanta, ma per poter comprendere le origini e le cause che portarono alla nascita del Partito Radicale, è necessario rivolgere l’attenzione a quella che fu la Sinistra liberale che costituirà il nucleo fondamentale del futuro partito, e a tutte quelle vicende che portarono alla nascita del settimanale "Il Mondo". La sinistra liberale, al suo interno contava molti degli uomini che avevano costituito il nucleo più vitale del partito clandestino nella Resistenza; questi uomini, ricollegandosi alla concezione liberaldemocratica di Giovanni Amendola, intendevano fare del PLI un partito di democrazia laica e progressista. L’evoluzione sempre più conservatrice del partito diretto da un segretario come Lucifero (alle elezioni del ‘48 sospinse il PLI ad un’alleanza con l’Uomo Qualunque) rese però impossibile la convivenza fra due anime così diverse. Così il gruppo della sinistra liberale capeggiato da Pannunzio, abbandonò il partito e le idea di un movimento liberalindipendente avrebbe preso corpo con la fondazione del settimanale diretto da Mario Pannunzio "Il Mondo".

L’avventura pannunziana iniziò il 19 febbraio 1949. La sede del giornale era a Roma fra Via Campo Marzio e Via dei Prefetti. Nel clima politico di quegli anni le forze di natura laica e democratica cercavano uno spazio e un ruolo che permettesse loro di offrire un’alternativa valida ai due grandi partiti di massa . Pannunzio volle accanto a sè un gruppo di "eretici" del liberalismo e con questa vera e propria avventura giornalistica volle offrire a tali forze un punto di riferimento, una palestra di discussione e di elaborazione teorica ma anche una specie di cassa di risonanza per proposte e problemi. "Il Mondo" divenne infatti la coscienza critica dei partiti democratici. Uomini politici di tutto lo schieramento laico e democratico, dai liberali di sinistra, ai repubblicani, ai socialisti, (Carandini, Valiani, La Malfa, Saragat...), giornalisti (Ernesto Rossi, Alberto Ronchey...), storici e filosofi (Giovanni Spadolini, Carlo Antoni...), letterati (Silone, Flaiano...) per anni portarono il loro contributo al giornale dando vita a un vero e proprio circolo di idee e di vita politicoletteraria. Il filo che rendeva saldo il gruppo era Pannunzio che, come lo definì Arrigo Benedetti, era un "laico direttore di coscienze" . Il merito di Pannunzio fu quello di stimolare e riunire in modo organico il contributo dei tanti nomi illustri attorno al suo giornale. Fece parlare una lingua nuova in un’Italia ancora provinciale, bigotta, superficiale, goffamente retorica e adulatrice dei potenti. La sua concretezza, presa per moralismo da tanti, era proverbiale, egli aveva un modo di fare un giornalismo chiaro, semplice, non retorico. Pannunzio era nato a Lucca il 5 marzo del 1910, ma si trasferì ancora ragazzo a Roma, seguendo il padre, un avvocato abruzzese costretto dai fascisti a lasciare la città toscana per simpatie sinistrorse. Fin da giovane frequentò gli ambienti letterari e artistici della capitale stando a stretto contatto con l’intelligenza antifascista. Grande esperto di letteratura e di pittura, egli ebbe come desiderio il rappresentare la realtà in modo drammatico, in modo vero, e ciò era possibile solo con il giornalismo, l’unica arte per tendere verso il realismo, o meglio "neorealismo": "il giornalismo rispondeva alle tendenza verso il realismo che Pannunzio avvertiva..." . Per Pannunzio quindi il giornalismo era la forma di comunicazione più vicina al suo desiderio di accostarsi alla realtà. Proprio per applicare questi principi, nel 1932 fondò la rivista di cultura "Oggi" che chiuse per ragioni politiche poco dopo: "...una pubblicazione di carattere sperimentale che si collocava precisamente nel dibattito sempre più teso intorno al rinnovamento della letteratura italiana..." ; stessa sorte ebbe "La Corrente", fondata con Moravia nel 1933. Nel 1933 si laureò in Legge e con il compaesano Arrigo Benedetti fu successivamente redattore capo del primo rotocalco italiano, il settimanale "Omnibus" fondato nel 1937 e diretto da Leo Longanesi chiuso poi dal regime fascista. Qui tenne una rubrica di recensioni di cinema, altra grande passione di Pannunzio. La rivista di Longanesi ebbe notevole importanza sia per l’innovativa impostazione grafica, sia per la formula del rotocalco che servì da apripista per le future iniziative editoriali. La stravaganza grafica di "Omnibus" era lontana dai gusti di Pannunzio: "tanto "Omnibus era pittoresco, beffardo, spigliato, esagerato, quanto "Il Mondo" sarà serio, ragionevole, misurato, ironico "Il Mondo" . Raccogliendo idee e esperienze passate Pannunzio e il suo grande amico Benedetti fondarono nel 1939 "Oggi", rotocalco di matrice politicaletteraria che fu una anticipazione de "Il Mondo". La rivista seria, compassata, razionale, si occupò di attualità, storia, letteratura, e in tempi fascisti, dette ampio spazio agli scrittori inglesi pubblicando racconti di Joyce, Steinbeck...Proprio questo tono filoinglese e le ricostruzioni storiche affidate a storici antifascisti come Luigi Salvatorelli furono all’origine della chiusura nel 1942 ad opera del regime fascista: "Oggi divenne espressione di un vero e proprio gruppo di scrittori e giornalisti: rappresentavano la parte migliore della ricerca culturale tra giornalismo e letteratura, attualità e storia: Risentivano del mito americano e guardavano al neorealismo..." . Durante la Resistenza fu tra i fondatori del PLI, con il nome di "Movimento Liberale Italiano" con Carandini, Libonati, Cattani. Insieme ad essi diede vita al quotidiano "Risorgimento Liberale", dove ritenne che fosse necessario contrastare il principio comunista, convinto che il liberalismo fosse la sola via per dare un assetto moderno alla vita provinciale del nostro Paese. Di "Risorgimento Liberale" fece un quotidiano elegante, preciso, ricco di notizie, di cronache, di pagine culturali, cioè di tutti quegli elementi che saranno il fiore all’occhiello de "il Mondo". Nel dicembre del 1943 fu arrestato e rinchiuso a Regina Coeli da cui uscì nel febbraio 1944. Pannunzio continuò a dirigere il quotidiano liberale fino al 1947 quando uscì dal PLI insieme alla corrente di sinistra, per poi rientrare momentaneamente nel 1952 dopo il convegno di riunificazione liberale tenutosi a Torino nel 1951. Nel 1948 collaborò, con articoli di costume e di viaggio, a "L’Europeo" che Arrigo Benedetti aveva fondato nel 1945. Il settimanale presentava grandi fotografie, inchieste ed era sostenitore di un’ideologia laica fondata sulla razionalità, la modernità e il progresso. Nel febbraio 1949 firmò l’ultima grande impresa: "Il Mondo".

Nel 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale che sorse dalla scissione della sinistra liberale in seguito all’avvento di Malagodi alla guida del PLI.

Pannunzio soleva dire di non essere un giornalista , ma per lui il giornale non era che lo strumento per raggiungere obiettivi più alti: un impegno morale e politico per creare una società libera, civile, moderna, un mezzo per costringere la cultura italiana a impegnarsi nella vita politica. Quindi politica, cultura, giornalismo, letteratura si identificavano nella figura dell’intellettuale.

"Il Mondo" fu un giornale liberale e libero, scevro da dogmatismi, fu il giornale dei ribelli per eccellenza, di coloro che respingevano il malcostume, il sottogoverno, le speculazioni. La testata del settimanale era rappresentata da ruote dentate, capitelli, donne simboliche, fregi che simboleggiavano tradizionalmente la vittoria della luce sull’oscurantismo, della civiltà sulle barbarie, della libertà sulla tirannia. Il linguaggio era chiaro e concreto, apparteneva ad un’altra Italia, non certo a quella "pasticciona e faccendiera": "Il Mondo riuscì a fare da specchio e da prisma alla grande trasformazione che vide l’Italia contadina inurbarsi e industrializzarsi..." . E proprio in questa Italia, nell’Italia delle due dottrine imperanti del cattolicesimo e del comunismo, il settimanale pannunziano si sforzò di recepire e risolvere i problemi alla luce di un liberalismo rinnovato ma pur sempre ignorato e considerato elitario dalla massa. Il suo impegno politico per costruire una terza forza era già evidente nell’articolo di Mario Ferrara rivolto alle minoranze laiche: "...L’appello alla opinione democratica e liberale è sempre possibile...O potremo dar vita a questa terza forza che esprima la volontà degli uomini liberi, o , tra breve, non avremo più nulla da fare se non chiederci a chi servire " . Volontà ribadita da Leone Cattani: "...Si chiami o no terza forza, è indispensabile in Italia una formazione politica democratica di larga e genuina ispirazione liberale, consapevolmente riformatrice, libera da ogni soggezione confessionale" . Pannunzio era un direttore storicista e illuminista. Storicista poichè consapevole del corso storico, non credeva a soluzioni miracolose, per lui le cose si conquistavano giorno per giorno. Illuminista perchè analizzava i mali della società italiana indicandone i rimedi con profondi e solidi ragionamenti. "Il Mondo" ebbe il merito e il coraggio di denunciare per primo il pericolo che correva il sistema democratico per la tendenza della DC a comportarsi come partitostato. Non solo. Identificò anche nel PCI un falso partito di opposizione. Spesso accusato di anticomunismo, il settimanale aveva un modo dialettico, mai volgare e ottuso, di criticare le scelte del PCI: scriveva Mario Ferrara, uno dei collaboratori illustri: "E’ un equivoco e un pericolo che la DC reciti la parte della democrazia liberale e che il PCI rappresenti la parte dell’opposizione costituzionale" . Equivoco che ha caratterizzato la profonda anomalia del sistema politico italiano e che detto allora sembrava ai più un’eresia. Il settimanale cercò di dimostrare i ferrei legami fra Togliatti e Stalin, la scarsa democrazia all’interno del partito e contestò vivacemente al PCI "la pretesa di rappresentare da solo la cultura laica moderna" . "Il Mondo" perciò incitava le minoranze, gli intellettuali, gli esponenti di quella cultura laica di cui si sentiva espressione, a reagire chiamando a raccolta partiti e gruppi sparsi di democrazia laica e socialista per formare una forza alternativa al frontismo e al centrismo: "Il Mondo sorse proprio affidandosi il compito di sottrarre alla DC il monopolio della scelta occidentale ed al PCI il monopolio della cultura e per sottrarre i ceti medi, l’opinione pubblica alla stampa benpensante e qualunquista ed orientarli piuttosto alla democrazia liberale..." . La battaglia per la terza forza e la nascita del Partito Radicale nel 1955 risposero a questi intenti. Ma cosa chiedeva concretamente il gruppo de "Il Mondo" ? Leggi antitrust contro i monopoli di stato e della pubblica amministrazione, intervento pubblico in economia anche mediante le nazionalizzazioni, programmazione economica soprattutto per il Sud: tutti provvedimenti che in paesi come Gb e Usa (modelli da imitare per il settimanale) erano stati adottati molti anni prima senza ridicole attese messianiche. I radicali de "Il Mondo" incitavano a rompere proprio quel clima di potere, quel governo segreto, morbido e sacerdotale che sembrava dominare il Paese. In Italia oltre che con le tradizionali forze conservatrici, bisognava scontrarsi con il potere clericale con cui il settimanale pannunziano ebbe frequenti diatribe e i radicali furono i soli a battersi per stabilire rapporti corretti tra Stato e Chiesa incontrando l’incomprensione dei partiti di sinistra (che accusavano Pannunzio e i suoi di difendere interessi borghesi), che più tardi si accorgeranno (per es. sul divorzio) di come l’opinione pubblica non fosse sorda a certe problematiche. Il giornale di Pannunzio ebbe influenza sulle elitès culturali e politiche del paese, contribuendo a sprovincializzare alcuni aspetti della società italiana. I famosi convegni furono una chiara volontà di studiare e analizzare i problemi con un metodo insolitamente profondo e nuovo per i tempi.

Contro tutti i conformismi, gli attentati alle libertà civili, gli abusi dei gruppi economici privilegiati, il totalitarismo di ogni specie, si schierò sempre e decisamente "Il Mondo" in nome della libertà e del laicismo. Il laicismo di cui si fece portatore il settimanale non si ridusse a un semplice atteggiamento critico nei confronti della Chiesa di Pio XII. Esso fu un atteggiamento culturale di fondo. Non un anticlericalismo autoritario ma una scelta per alcuni punti fondamentali: nessuna idea era dogmaticamente indiscutibile, e nessun valore assoluto, e le attività umane, per il settimanale, non si dovevano collocare in un rigido sistema gerarchico, per cui ad esempio, era illecito subordinare la politica alle religioni, caratteristica invece preminente delle ideologie a matrice confessionale.

"Il Mondo" fu fortemente antifascista attraverso il contributo di Calamandrei, Rossi, Saragat, Parri e tanti altri. Ma la lotta "donchisciottiana" del settimanale non fu diretta solo contro i fascisti ma contro tutti i fascismi di sorta soprattutto contro quella di forma di fascismo degli interessi camuffati dei "padroni del vapore".

Apparvero sul settimanale firme prestigiose come Thomas Mann, Ennio Flaiano , Carlo Calamandrei... e i tre padri spirituali del settimanale: Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Gaetano Salvemini, e tanti altri. Di Mann, che esprimeva quella realtà giornalistica e letteraria tanto cara al settimanale, furono pubblicate alcune riflessioni sullo spirito tedesco e il significativo: Le confessioni di un cavaliere d’industria . La rivista ebbe sin dall’inizio una chiara impronta crociana. La sua concezione dell’intellettuale non chiuso nella campana di vetro ma ben presente nella praticità della vita fu fatta propria dal settimanale. Egli scriveva: "Poniamo che io uomo di contemplazione volessi distaccarmi dalla vita politica ed economica...e farmi verso di lei chiuso e indifferente; donde prenderebbero poi alimento i miei pensieri?". Il filosofo intervenne per la prima volta sul quarto numero del Mondo, il 12 marzo 1949 con un articolo, tratto dalle sue lezioni universitarie, intitolato: "L’uomo vive nella verità": "...non andate in cerca della verità dicevano le ultime parole dell’articolo nè del bene, nè del bello, nè della gioia, in qualcosa che sia lontano da noi, distaccato, inconseguibile, e in effetti inesistente, ma unicamente in quel che voi fate e farete, nel vostro lavoro nel cui fondo c’è l’universale di cui l’uomo vive...e tenere sempre presente che Dio è nel particolare" ."Dio è nel particolare". A questo motto sembra ispirarsi tutta l’esperienza del settimanale: rifiuto di ogni sistema di certezze, acquisite e definitive. Ai fanatici di tutte le certezze Croce contrapporrà l’uomo del dubbio e del tormento, il solo che "vive nella verità". Nell’articolo "Parità degli uomini nella libertà" si leggeva: "...Dall’osservazione che la libertà è legge suprema, si deduce che essa è incondizionata, cioè non dipende da nessuna condizione di fatto...non c’è condizione di fatto, tortura, minaccia di morte, che possa spegnerla" .

"Il Mondo" pubblicò il 14 ottobre del 1950 , un suo scritto del 1948 in cui il filosofo esprimeva tutta la sua preoccupazione per la chiamata delle masse all’elettorato politico. Quando egli morì nel 1952 "Il Mondo" dedicò ampio spazio alla sua figura. Da Einaudi, degno erede della tradizione liberale, il settimanale recepì il senso dello stato, lo stile anglosassone, nella battaglia contro i privilegi, i corporativismi. Il settimanale nel maggio 1949 riportava compiaciuto un commento dell’"Economist", secondo il quale gli uomini maggiormente rappresentativi erano in quel momento Einaudi e Stalin: "Stalin continuava il settimanale è un militare, un capo partito, un rivoluzionario...Einaudi è invece un piccolo uomo dimesso, che saluta la truppa levandosi il cappello, che ha militato nel più piccolo e sfortunato dei partiti italiani...". Nel contrasto fra Einaudi e Stalin continuava "Il Mondo" era simboleggiato "il più forte contrasto fra due concezioni non soltanto politiche: la concezione liberale e la concezione collettivistica" . Einaudi incarnava dunque il principio liberale del dopoguerra, e rappresentò per questo un punto di riferimento per il settimanale. Salvemini collaborò spesso a "Il Mondo" iniziando con uno scritto del 6 agosto 1949, "La polizia nella legge" e concludendo con un articolo "Un ministero fantasma" uscito postumo l’11 novembre 1958, cioè più di un anno dopo la sua morte. Egli fu vivace predicatore di un orientamento democratico, socialista, terzaforzista della rivista e intervenne per il finanziamento pubblico dei partiti e la moralizzazione della vita pubblica. L’ansia di una terza forza, capace di incunearsi fra il partito cattolico e il blocco marxista sorresse costantemente Salvemini . E perfino la sua parziale adesione alla legge maggioritaria dl 1953, condivisa dal gruppo pannunziano, nacque dal desiderio di misurare la convergenza fra i partiti della tradizione democratica e laica sui problemi concreti. Scrisse già nel 1946: "Io sono sempre stato persuaso che l’Italia non si sarebbe nè dalla monarchia clericale, nè dalla brutalità stalinista se non si fosse formata in Italia una corrente intermedia abbastanza potente per resistere tanto alla pressione della destra, quanto alla pressione dell’estrema sinistra" . E ancora: "Terza via, terza via, allora io continuerò a ripetere terza via, terza via, anche se resterò solo in mezzo alla via in attesa che i totalitari di sinistra mi facciano fuori o i totalitari di destra mi mettano dentro" . Egli protestò a lungo per la disparità di mezzi elettorali tra partiti minori e maggiori e avvertì del pericolo che la democrazia si potesse trasformare in clerocrazia. Lontano da Croce e dall’idealismo, sempre avverso all’innesto tra filosofia e storia "le opere di filosofia mi sembrano fabbriche di nebbia", fu portato al concretismo, al pragmatismo "Non badiamo alle parole, badiamo ai fatti" . Gli insegnamenti di matrice liberale democratica o riformista dei tre padri spirituali spinsero il settimanale a discutere di liberalismo, in rapporto alla storia d’Italia. La cultura laica e democratica indusse "Il Mondo" a lunghe meditazioni sul Risorgimento per cercarvi i fondamenti dello stato liberale. Una lettura attenta della storia d’Italia, dall’Unità al Fascismo, era per Pannunzio e i suoi un’esigenza politica prioritaria per migliorare e affermare il vero significato della democrazia liberale. Alle accuse di illuminismo lanciate da altri giornali, "Il Mondo " pubblicò una pagina di Diderot: "Un uomo cammina in una foresta con una piccola e fioca candela (è la ragione umana) ...ed il fatto che la candela sia piccola non toglie che sia l’unica." . Che "Il Mondo" non fosse chiuso in una rigida ideologia lo dimostra la varietà dei collaboratori che titolari delle rubriche: Antonio Cederna condusse per anni una tenace e coraggiosa campagna contro i "vandali in casa". Fondamentale per l’indirizzo politico del settimanale era "Il Taccuino", una rubrica in cui "...si rimettevano a posto le numerose e confuse beghe che sorgevano tra faccendieri politici..." . Nicola Chiaromonte si occupava di critica teatrale, Giorgio Vigolo di musica, di cinema si occuparono Gino Visentini ma soprattutto Ennio Flaiano. Guido Calogero teneva il "quaderno laico" e si occupò del pragmatismo anglosassone con la rubrica "Lo specchio del diavolo" . Il settimanale "adottò " due intellettuali comunisti espulsi dal partito: Ignazio Silone e Angelo Tasca. Il primo aveva dissentito da Togliatti non avallando la svolta stalinista del segretario il quale aveva reagito con una lettera dal titolo: Contributo alla psicologia di un rinnegato; a dar man forte a questa accuse fu Tasca che proprio sul settimanale , ebbe modo di contestare le scelte di Togliatti definendo il PCI come servo di Mosca ed esaltando il ruolo di Bordiga, espunto dalla storiografia ufficiale di partito. Importante ma breve fu la collaborazione di Panfilo Gentile che, con il suo "Diario politico" firmato "Averroè", espresse convinzioni liberiste . "La Lettera Scarlatta" pubblicava gli interventi polemici, Achille Battaglia indagava sul funzionamento della giustizia ("La Mano nera") . Dei ritardi, delle inefficienze e delle malefatte della Chiesa se ne occupava "Bianco o Giallo" . La rubrica "Ventesimo secolo", tenuta da Vittorio De Caprariis e poi da Aldo Garosci, si occupò di politica internazionale. Ad essa erano dedicati un gran numero di reportages, con descrizioni della vita pubblica, del sistema economico, politico e sociale. Al settimanale l’ironia non mancava: "Archivio", questo il nome della rubrica in cui venivano raccolti i continui attacchi di altri giornali alla testata pannunziana. Di Mezzogiorno si occuparono largamente Compagna e Salvemini, i quali indicarono nel rinnovamento dirigente la chiave per strappare il Sud da una condizione feudale. Un originale esempio di impegno intellettuale e culturale furono le rubriche, testimonianza di una lotta continua al fanatismo, alla faciloneria: "Aria di Provincia", "Usi e Costumi", tenuta da Carlo Laurenzi, "Italia Minore" e "Diario Notturno" di Ennio Flaiano. Una delle firme più prestigiose fu quella di Ernesto Rossi, l’uomo che forse più di tutti contribuì a caratterizzare il carattere "piratesco" del settimanale con le sue battaglie economicosociali, e con le sue appassionate campagne anticlericali e per la moralizzazione della vita pubblica. Egli era un liberista di vecchio stampo. Credeva nella libertà di mercato, a condizione però che gli imprenditori rispettassero le regole del gioco senza arricchirsi illecitamente creando monopoli a danno dei consumatori e flirtando con il potere politico. Le campagne di Ernesto Rossi contro le malefatte dei "padroni del vapore", arrivavano al cuore della realtà italiana individuando una delle principali cause dell’arretratezza del paese nel dominio incontrastato dei potenti gruppi economici. Indagando con cura nell’intricato mondo delle holdings e dei monopoli privati, Rossi ne denunciava le piraterie, gli illeciti, le corruzioni. Episodi di malgoverno venivano raccolti nella speciale rubrica "Scandalusia". Rossi aveva un’innata capacità di rendere chiari e semplici i più astrusi temi dell’economia, ed i suoi articoli erano sempre messi in ottima posizione sul giornale. Le inchieste sugli aspetti più vari della realtà italiana erano un modello d’indagine moderna, scrupolosa nella documentazione, aderente ai fatti e alle cose. "Il Mondo" era una grande scuola e il ventaglio dei temi trattati fu ampio: dai grandi problemi dello stato, dell’economia, della scuola, dei partiti, del sud alle piccole vicende di vita provinciale. Infine c’era una parte più politicizzata del giornale rappresentata dagli editoriali e taccuini che indicavano le grandi linee della politica del settimanale. Da tutte le componenti del giornale, dalle severe inchieste giornalistiche, dalle colonne di costume, dalle analisi politiche degli editoriali e dei taccuini emergeva un’Italia nascosta, un’Italia vera con tutte le storture, le arretratezze, le ingiustizie pubbliche e private: un’Italia che la retorica nazionale, le convenzioni borghesi, la pressione clericale tenevano celata. "Il Mondo" fu quindi un fatto nuovo nella stanca cultura italiana del tempo, cercò di educare l’Italia provinciale ed insegnò che il giornalista può e deve esercitare una funzione morale culturale e politica. Fu sempre ferma la volontà del giornale di partecipare attivamente e concretamente alla vita della nazione, non accontentandosi di essere un mero fatto giornalistico. Nonostante gli sforzi profusi mancò un mutamento in senso liberale e democratico della vita pubblica. Anche il centrosinistra così sperato e sostenuto dall’incalzante analisi del settimanale finì nell’eterno trasformismo italiano. La battaglia di minoranza dei radicali de "Il Mondo" non poteva essere compresa in un paese sensibile al richiamo delle grandi formazioni di massa. Il tentativo degli intellettuali di creare negli anni ‘50 un’alternativa democratica alla DC e al PCI era destinato a rimanere una bella utopia: " La fine del "Mondo" ha lasciato l’Italia degli anni settanta modernizzata sul piano strutturale ma priva di un’elaborazione culturale adeguata a tale processo...la metà degli anni Sessanta segna per i riformatori italiani del Novecento una sconfitta..." . Resta il merito di aver indicato coraggiosamente e lucidamente una via e di aver rappresentato una voce laica e democratica di libertà e di dissenso illuminato. La vicenda del settimanale si concluse l’8 marzo 1966. Dopo 890 numeri "Il Mondo" sospendeva le pubblicazioni. Vale la pena di riportare alcuni passi dell’ultimo editoriale: "Quello che diamo oggi alle stampe è l’ultimo numero de "Il Mondo"...un giornale liberale, laico e antifascista, un giornale indipendente doveva impegnarsi sui problemi della libertà e del costume civile, e non vi è stata questione di educazione del cittadino, di rinsaldamento dello stato e delle istituzioni parlamentari, di efficienza di governo e di moralità pubblica, di politica interna e internazionale, di economia sociale e di conflitto fra l’interesse privato e quello collettivo, di fronte al quale il giornale non abbia detto quel che gli è sembrato di dover dire, anche se le sue parole sono apparse spesso verità scomode e qualche volta dure...Domina soprattutto, in Italia, la presenza di un potere radicato e penetrante, di un governo segreto, morbido e sacerdotale, che conquista amici ed avversari e tende a snervare ogni iniziativa e ogni resistenza. Abbiamo sempre sostenuto il dovere delle minoranze, dei partiti di rompere questo clima, di opporsi, di criticare. Perfino un partito politico, il Partito Radicale, fu fondato su questo impegno. Per anni abbiamo sollecitato socialisti e repubblicani, liberali autentici e indipendenti, a costruire alleanze democratiche, fronti laici, terze forze...abbiamo denunziato, nel nostro giornale e nei nostri convegni, l’invadenza clericale...abbiamo deplorato con ostinazione la chiusura irrimediabile del mondo comunista alle sollecitazioni della libertà...la cultura politica che negli anni della Resistenza aveva dato grandi esempi di intransigenza morale e di vigore intellettuale sembra prostrata in gran parte davanti ai nuovi potenti e ai nuovi sortilegi e cerca conforto nei surrogati della sociologia e nel dialogo esistenziale tra mistici e materialisti. Un linguaggio disossato, enigmatico invade giornali, convegni, riviste e comizi. Questo clima, questo linguaggio non son stati mai nostri...Se oggi consideriamo conclusa la nostra giornata non è per rassegnazione e nemmeno perchè sentiamo che il nostro compito è esaurito. C’è però un momento nel quale sia gli individui sia i gruppi devono fare l’esame delle proprie forze e misurarle con l’esperienza del passato e le prospettive dell’avvenire...lo sforzo di un giornale come il nostro per sopravvivere dovrebbe trovare un fondamento e una dimensione che il senso geloso della nostra indipendenza non consente di darci...lo sviluppo di concentrazioni economiche, partitiche e sindacali rendono difficile l’attività dei gruppi autonomi...ai nostri lettori...dobbiamo dare un saluto...con la fiducia che il cerchio di amici legati a questo giornale non si disperderà e manterrà viva la sua presenza in una società che ha pure bisogno della dissidenza." . Pannunzio, che era rimasto proprietario della testata, due anni dopo pubblicherà un numero speciale 891±nella settimana dal 25 gennaio al 31 del 1968, riportando gli articoli che la stampa nazionale e straniera aveva dedicato due anni prima a commento della cessazione del settimanale. Il corrispondente romano di Le Monde scrisse: "E’ questo il vero avvenimento politico in Italia negli attuali giorni di crisi...la fine del "Mondo" è tutt’altro che un semplice episodio. Sono difficoltà economiche che costringono questo settimanale ad autoaffondarsi, ma la fine della sua lotta è un sintomo. Da molto tempo, non c’era più che "Il Mondo" ad essere rimasto fedele ai principi iniziali fissati dal suo fondatore" . Uno dei giudizi più lucidi è stato dato dallo storico di estrazione comunista Nicola Tranfaglia: "Quel giornale esercitò un influenza assai più larga delle cifre rappresentate dalla sua tiratura, sia perchè rappresentò un filone autenticamente liberale della cultura laica, quella più autenticamente antifascista e meno provinciale, sia perchè promosse un’analisi realistica e critica di quella offerta dai grandi giornali di partito e dalla stessa pubblicistica di sinistra" . Se l’Italia di oggi è più laica una parte di merito è del settimanale pannunziano che ha saputo anticipare i tempi, andando controcorrente negli anni più difficili dello scontro frontale fra gli opposti dogmatismi.

 


Una politica parallela: i Convegni

L’opera continua del settimanale nell’essere una voce libera e di concreta opposizione si evidenziava nei convegni, che rappresentavano l’atto conclusivo di un lungo lavoro di indagine, di un’accurata elaborazione di idee e di proposte, di uno scambio di opinioni che si andavano via via formando sul giornale. Non solo. Costituiranno anche i temi su cui si fonderanno le battaglie radicali attraverso le quali si verrà configurando il disegno di un programma che l’intelligenza laica proponeva come terapia ai mali del paese: "del resto sia i convegni che il partito radicale nacquero dall’identica necessità di affrontare con concretezza quei problemi e quelle carenze di strutture che maggiormente erano avvertite tra i giornalisti del "Mondo" e dagli ambienti gravitanti intorno al giornale e al partito" .

In 12 convegni (che qui sono affrontati per argomenti trattati) si affrontò tutta la

gamma dei problemi che si presentavano nella società italiana tra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ‘60.

Questi i convegni nel campo dei problemi economici:

Lotta contro i monopoli Petrolio in gabbia I padroni della città

Atomo ed elettricità Le baronie elettriche La borsa in Italia

Sulle battaglie civili si svolsero i seguenti convegni: Dibattito sulla scuola

Stato e Chiesa Stampa in allarme

Questi infine i convegni politici: Verso il Regime Che fare per l’Europa

La politica del centrosinistra.

Il primo convegno si svolse a Palazzo Barberini il 12 e 13 marzo 1955. Già da alcuni anni Ernesto Rossi aveva individuato nelle condizioni del monopolio in cui operavano i grandi gruppi economici uno dei maggiori handicap dell’economia italiana. In una serie di interviste ben documentate, aveva condotto tenaci campagne contro quei gruppi monopolistici e parassitari che con i favori dello stato si procuravano sovrapprofitti a danno dei consumatori. Tutta la vita italiana veniva ad essere soffocata dai grandi potentati economici che non solo impedivano il naturale sviluppo del Paese creando una nuova forma di feudalesimo, ma influivano anche sulle istituzioni democratiche. La soluzione era di attribuire allo stato il potere di intervenire per dare un assetto razionale al mondo economico. Prima di tutto occorreva riordinare gli organi e gli uffici statali per evitare l’asservimento della pubblica amministrazione ai potentati economici; le società per azioni dovevano essere sottoposte ad una nuova legislazione che impedisse i bilanci truccati, le società di comodo e tutti quegli espedienti che favorivano il monopolio. Era necessario emanare una legge antitrust, liberalizzare gli scambi e nazionalizzare i monopoli, come l’energia elettrica e i telefoni.

Al convegno parteciparono oltre al gruppo del settimanale, uomini della sinistra laica e democratica. Così alle accuse di filocomunismo lanciate dai giornali della Confindustria si aggiungevano le sollecitazioni dei comunisti per un’azione comune. Ma Ernesto Rossi rispondeva polemicamente a questi ultimi: "...saremmo disposti ad allearci anche col diavolo per sostenere i nostri principi, ma sappiamo che quando uno si mette a mangiare nella sua scodella (rispondeva al comunista Luigi Longo che aveva scagliato la prima pietra) deve adoprare un cucchiaio molto lungo per non trovarsi scottato."

Secondo Rossi infatti proprio i partiti di sinistra e i sindacati erano corresponsabili della formazione dei monopoli. Come? Nell’opporsi alla CECA e al Mercato Comune, e soprattutto nel sostenere ad oltranza le rivendicazioni operaie delle grandi industrie con le loro richieste di protezioni doganali, commesse statali ed altri privilegi su cui si basava il monopolio. Concludeva Rossi: "approverebbero mai i comunisti una legge antitrust che comunque migliorasse le condizioni dei cafoni delle campagne, ma che, riducendo le condizioni di monopolio della Fiat, della Eridania, della Falck, facesse anche ridurre le paghe delle loro maestranze? Siamo convinti di no. E siccome siamo anche convinti che non si può fare la frittata senza rompere le uova, tutte le ragioni che può portare su questo argomento l’on. Longo, sono, per noi, solo erba trastulla" .

Il secondo convegno "Petrolio in gabbia" indetto nei giorni 9 e 10 luglio dello stesso anno, fu in un certo senso il proseguimento del primo. Le relazioni svolte da Piccardi, Scalfari e Rossi, riguardavano la ricerca, la coltivazione e lo sfruttamento degli idrocarburi nel sottosuolo nazionale. Di fronte a questo problema si stava svolgendo un’ampia contesa fra i partiti di sinistra che riconoscevano solo allo stato il diritto e all’ENI il compito di scoprire e sfruttare i giacimenti di petrolio, e le destre, che erano per la libertà d’iniziativa del capitale privato. L’orientamento di questo convegno fu chiaramente in favore della mano pubblica e si concluse con la proposta di un disegno di legge in cui non si escludeva, oltre all’ENI che aveva il diritto esclusivo in Valle Padana, la partecipazione privata in altre zone, sotto il controllo di un commissariato generale per gli idrocarburi dipendente dal Ministero dell’Industria.

I convegni successivi al 1956 si svolgeranno dopo la nascita del Partito Radicale e ne costituiranno il contenuto delle future battaglie. Questo era senza dubbio un modo nuovo e originale di intervenire nella vita politica, studiando a fondo i problemi della società italiana, anticipando i temi che saranno al centro del dibattito politico negli anni successivi. Da ognuno di questi convegni che richiedevano una lunga preparazione che si svolgeva nella redazione del settimanale di Pannunzio, usciva un programma di razionali riforme.

Il terzo convegno fu dedicato ai "Padroni della Città" e riguardava il problema urbanistico. "I padroni della città" erano, per dirla con Antonio Cederna (che chiamava "I vandali in casa") "...coloro che paralizzano la vita delle città, distruggendo l’antico...padroni delle città sono le grandi società immobiliari, gli speculatori...che distruggono giardini, parchi, boschi..." . Questo è solo uno dei tanti esempi delle tenaci battaglie che Cederna condusse contro le "città eternit" e che contribuirono in modo determinante a creare una coscienza urbanistica. Venne subito fuori da questo convegno l’esigenza di una moderna legislazione urbanistica che poi diventerà uno dei punti più qualificanti del centrosinistra. I padroni delle città si identificavano anche in coloro che avevano il monopolio dei mercati generali, altro tema di cui si occupava il convegno: "Il mondo dei mercati generali constatava Scalfari è, per la grande massa dei consumatori, un mondo completamente sconosciuto. I cittadini vedono aumentare i prezzi, ma non sanno contro chi dirigere la loro protesta. Nella quasi generale ignoranza del problema, i consumatori continuano ad essere taglieggiati senza alcuna difesa" . Il nodo che soffocava il respiro economico del paese era dovuto al sistema, feudale, che regolava l’afflusso e la distribuzione dei prodotti alimentari nelle città. Il rimedio proposto al convegno fu quello di creare una forte organizzazione cooperativa in modo da poter rompere il sistema e far affluire i prodotti in città senza dazi esosi e inutili.

Il quarto convegno dal titolo "Atomo ed elettricità" si tenne all’Eliseo il 12 e 13 gennaio 1957, e il tema affrontato fu quello dello sfruttamento dell’energia nucleare. Il convegno si concluse con un progetto di legge in cui si stabiliva l’istituzione di un ente di stato per regolare tutta la materia. Il disegno di legge fu presentato in Parlamento poco dopo dal radicale Villabruna, da La Malfa e dal socialista Lombardi.

Il quinto convegno si tenne il 12 e 13 marzo 1960: il titolo era "Le baronie elettriche" e si svolse in un momento particolare. Caduto il governo Segni, la DC si trovava per la prima volta davanti ad una scelta: o cedere alle sollecitazioni della destra liberale, monarchica e fascista, o incontrarsi con i partiti laici e socialisti che in quel momento sembravano offrire un’unità di intenti e di programma. Era l’occasione per il settimanale di partecipare attivamente alla formazione del primo governo di centro sinistra, ma la DC, sotto la pressione clericale, non sceglierà a sinistra preferendo un uomo della propria destra: Tambroni. Il convegno si concludeva con la proposta di un progetto di legge che prevedeva la nazionalizzazione dell’industria elettrica che fu proprio uno dei capisaldi del programma di centrosinistra.

Così scriveva "Il Mondo": "...la nazionalizzazione dell’industria elettrica appare come l’unica soluzione possibile non soltanto per assicurare una più equilibrata politica di investimenti e di tariffe, ma per consentire alla collettività di disporre liberamente delle proprie risorse e di indirizzarle nei modi e nelle direzioni più corrispondenti all’interesse generale...è uno dei principali obiettivi che dobbiamo oggi proporci per trarre il paese dalla condizione semifeudale" .

Il progetto di legge uscito dal convegno prevedeva non solo la nazionalizzazione dell’industria elettrica privata, ma anche delle municipalizzate. Naturalmente i gruppi elettrici reagirono con una serie di campagne di stampa sui principali quotidiani e lo scontro verbale fra la destra clericale ed economica che ormai costituivano, secondo Scalfari, una cosa sola, e i radicali fu duro: Vittorio de Biasi, presidente dell’Associazione delle aziende elettriche bollò la nazionalizzazione come "un gesto demagogico e pericolosissimo che quei comunisti camuffati si accigono a compiere" . Dichiarazioni che avvaloravano la convinzione dei radicali che lo Stato non dovesse svolgere solo una semplice funzione di controllo in economia.

Il 4 e 5 marzo del 1961 ci fu il sesto ed ultimo convegno di carattere economico dal titolo: "La borsa in Italia". "Il Mondo" aveva indagato sulle complesse operazioni di borsa compiute dai grandi baroni della finanza, scoprendo le intricate manovre sulle azioni delle società, la creazione di holdings quali strumenti di politica monopolistica e di concentramento del potere economico, le enormi evasioni fiscali. Tutto ciò con la certezza dell’impunità, perchè non esistevano leggi antimonopolio e di controllo sulle società per azioni. Per evitare ciò lo Stato avrebbe dovuto intervenire attraverso una riforma della società per azioni, sia attraverso rigidi controlli sulla pubblicità delle operazioni di borsa e sui finanziamenti delle banche alle speculazioni private.

Terminata la materia economica, i convegni degli Amici de "Il Mondo" trattarono anche di libertà civili e di problemi politici. In primo luogo l’attenzione fu rivolta ad un tema assai caro: la laicità dello stato. Il tema del laicismo costituiva la ragion d’essere del gruppo radicale votato alla religione della libertà. L’invadenza clericale si faceva sentire in tutti i campi. In questo ambito l’azione si muoveva sia sul piano civile con denunce di ingerenze clericali, sia sul piano ideologico riaffermando i valori dello stato laico: "il laicismo scriveva De Capraris nel ‘56 non è solo una certa soluzione del problema StatoChiesa, ma è una dottrina dello stato e della politica, è una dottrina moderna della libertà" . Stato laico significava quindi stabilire il senso dei limiti di ciascun potere nello stato, significava riaffermare la necessità di un controllo di tutti i poteri : "Il laicismo scriveva Guido Calogero non è solo la difesa dello stato dall’invadenza della chiesa, ma è più propriamente la difesa della libertà dell’individuo tanto dall’autoritarismo dei cattivi stati, quanto dall’autoritarismo della cattive chiese ...il laicismo possiede quella compiuta universalità che può davvero assicurare la coesistenza degli uomini in una casa comune" . Stabiliti i principi del laicismo sul piano etico e ideologico rimaneva il problema di un’azione politica in un paese in cui la presenza di un grosso partito cattolico imponeva la confessionalità dello Stato. Ai rapporti fra chiesa e stato fu dedicato il convegno che si svolse il 6 e il 7 aprile del 1957. Venivano così esaminati gli aspetti più significativi della presenza della chiesa in Italia con le conseguenze che ne derivavano ed era indubbiamente un merito de "Il Mondo", nella generale latitanza degli altri partiti di aver avuto il coraggio di studiare con serietà un problema fondamentale della nostra storia politica e civile. Fu dimostrato come, a partire dalla Bolla di Bonifacio VIII Unam Sanctam, fino all’ultimo discorso di Pio XII, la Chiesa non aveva mai rinunciato all’originale ideale teocratico e aveva sempre considerato il suo potere in Italia come una posizione chiave per il suo governo nel mondo. L’invadenza della chiesa cattolica nelle faccende temporali italiane poteva essere eliminata con il ripristino di un sistema separatistico abbandonando quindi quello concordatario. A chiusura del convegno quindi venne fuori l’intenzione di abrogare il Concordato. Come era prevedibile critiche vennero sia dalla stampa cattolica sia da quella comunista. Ma anche "L’Avanti" accusò i radicali di velleitarismo per non aver indicato con quali forze intendeva condurre la sua battaglia che, secondo il quotidiano socialista, doveva essere combattuta a fianco delle masse popolari. A queste accuse rispondeva il settimanale "Ne saremmo lietissimi, ma non è certo colpa nostra se ci troviamo a condurre quasi da soli le nostre battaglie per i diritti civili" .

Un campo in cui l’invadenza clericale si faceva più sentire era quello della scuola. Di questo problema "Il Mondo" se ne era da sempre occupato, sottolineando le antinomie fra certe proposizioni degli accordi lateranensi, che consideravano la dottrina cattolica come fondamento dell’istruzione pubblica, e le norme della Costituzione, che sanciscono la libertà di pensiero e di religione e quindi la parità dei culti. Il settimanale non aveva mai cessato di denunciare i finanziamenti che i governi democristiani avevano elargito alle scuole private, soprattutto religiose, a danno di quelle statali. I radicali si batterono per il potenziamento e il rinnovamento della scuola stessa che in quegli anni attraversava una profonda crisi. Infatti le spese per le scuole pubbliche figuravano all’ultimo posto del bilancio dello Stato e bisognerà attendere il primo governo di centrosinistra per istituire la scuola media obbligatoria e uguale per tutti e per stanziare maggiori fondi.

"Processo alla scuola" fu quindi il titolo che gli Amici de "Il Mondo" dettero al convegno che si svolse a Roma il 25 e 26 febbraio del 1956, poco dopo la nascita del Partito Radicale. Il problema principale era di ordine politico poichè non era concepibile un sano sviluppo di una società democratica senza una scuola pubblica efficiente e libera. Il convegno, data l’ampiezza del problema non si concluse con proposte precise ma, ebbe il carattere di un’accurata documentazione. I problemi di una scuola italiana non si potevano certo esaurire in due giorni di dibattito, ma richiedevano un costante impegno a cui i radicali si dedicarono per anni, denunciando le carenze e affermando la libertà di insegnamento: "Se la scuola vuole davvero preparare spiriti liberi, è necessario che sia fatta da uomini pienamente liberi. Non possiamo ad un maestro schiavo affidare l’ufficio di educare alla libertà i futuri cittadini" .

Ma una società libera non può crescere senza una stampa libera e a questo tema fu dedicato il convegno "Stampa in allarme", svoltosi a Roma il 22 e 23 febbraio 1958. "Il Mondo" aveva sempre rivolto una particolare attenzione alle condizioni della stampa italiana, denunciando la mancanza di una corretta informazione, il conformismo, i silenzi, le compiacenze verso le proprietà editoriali legate a gruppi economici e al governo. In una società civile la stampa formata da giornalisti responsabili e liberi, avrebbe dovuto colmare il distacco che sempre più si avvertiva tra la vita politica e la vita di massa. I giornali invece si comportavano invece in modo opposto: davano priorità e spazio a manifestazioni di massa mentre le indicazioni della cultura, delle elitès non trovavano riconoscimento. La stampa italiana rifletteva la pesante atmosfera che gravava sul Paese. I giornalisti per far tornare la stampa libera dovevano parlare centrando i problemi essenziali sentendo voci di disparate tendenze politiche, non lasciandosi soffocare dai gusti e dalle esigenze di massa. A conclusione del convegno furono decise una serie precise di richieste a tutela della libertà di stampa: abolizione della proposta costituzione di una speciale commissione di censura per la stampa destinata ai fanciulli e agli adolescenti, abolizione del reato di vilipendio, riaffermazione del diritto di cronaca e di critica, approvazione di leggi contro la concentrazione delle testate.

La vita pubblica si presentava agli occhi dei radicali con aspetti allarmanti e ciò si constatava nel convegno intitolato "Verso il regime" tenutosi a fine gennaio del 1959. La lunga permanenza al potere di un partito egemone andava producendo un deterioramento delle istituzioni. Sorgeva quindi il pericolo che la DC confondesse l’interesse proprio con l’interesse collettivo e si sostituisse arbitrariamente alla legge. Al polo opposto il PCI, "... I partiti di opposizione dimostrarono un’inclinazione piuttosto che a esercitare sul Governo un valido controllo a trarre tutti i possibili vantaggi che un partito riesce ad assicurarsi, nonostante la sua esclusione dal potere" affermava il settimanale. Nasceva così un clima di sfiducia e di scetticismo verso le istituzioni. Le soluzioni per arrestare questo processo stavano nella partecipazione del maggior numero possibile di cittadini in organismi democratici, in un sistema di checks and balances. La richiesta stessa di un istituto regionale, di cui si chiedeva l’attuazione, poteva rappresentare vasti strati di cittadini. L’attenzione del settimanale non poteva non rivolgersi ad un altro strumento considerato di regime: la RAI. Completamente monopolizzata dai grandi partiti, l’ente televisivo doveva essere riformato secondo Ernesto Rossi togliendolo dal monopolio democristiano e creando una commissione parlamentare di controllo. Gli ultimi due convegni si svolsero quando il giornale aveva già abbandonato il Partito Radicale. A testimonianza dell’interesse del giornale per tematiche di vasto respiro europeistico, si svolse il 2 e 3 febbraio del 1963 il convegno intitolato: "Che fare per l’Europa?". Mentre l’ultimo svoltosi il 21 e 22 marzo del 1964 ebbe come titolo un tema sul quale si consumò l’ultima grande battaglia, l’ultima grande speranza, l’ultima grande illusione del settimanale: "La politica del centrosinistra".

 


Gli amici de "Il Mondo"

Ciò che rese esemplare e unico il settimanale pannunziano fu senz’altro la collaborazione di uomini di cultura, storici, intellettuali che rappresentarono l’anima laica del nostro paese. Per anni Pannunzio e i suoi amici furono l’uno a fianco dell’altro nella posizione scomodissima di oppositori di due ideologie confessionali. La sua chiusura destò molto scalpore e il mondo politico e intellettuale rese omaggio, in colpevole ritardo, alla fine di questa avventura laica e liberale. Pannunzio e il suo gruppo ebbero così, quel giusto riconoscimento che per anni gli era stato negato. Uno dei ritratti più interessanti su Pannunzio e il suo mondo, è stato dato da Nello Ajello, di cui vale la pena di riportare qualche passo: " Per la generazione di intellettuali maturata nel dopoguerra, il direttore de " Il Mondo " è stato davvero un modello di coerenza. Aveva cominciato a fare il giornalista sulla scia di Leo Longanesi nella redazione di " Omnibus " fra il 1937 e il 1939 a contatto di gomito con Arrigo Benedetti con cui lavorò poi nel settimanale " Oggi " ( soppresso dal regime fascista nel 1942 ) di cui Pannunzio stesso fu direttore . Pannunzio considerava l’aggettivo liberale sinonimo di moderno e perciò i suoi rapporti con il PLI così venato di antichità, erano caratterizzati da periodiche lacerazioni. Riuscì a fare di " Risorgimento Liberale ", organo ufficiale del partito, un quotidiano autorevole ", un quotidiano dove scrivevano i " liberali alla Pannunzio ": Libonati, Panfilo Gentile, Carandini, Cattani. " Il Mondo continua Ajello nacque nel febbraio nel febbraio del 1949 intorno a questo gruppo che poi si allargò a Ennio Flaiano, Vitaliano Brancati e tante altre personalità fra loro diverse ma accomunate da un unico valore: l’antifascismo... il fatto di essere intransigentemente anticomunista in nome della libertà, intransigentemente antifascista in nome dell’intelligenza, intransigentemente anticlericale in nome della ragione dava al settimanale il vantaggio di non avere concorrenti e di scavare un sentiero fra i due grandi blocchi della DC e del PCI. Con quest’ultimo però il gruppo di Pannunzio non ruppe mai i ponti. Queste aperture da parte comunista non disarmavano le diffidenze del " Mondo ": esso riuscì però ad evitare prese di posizione persecutorie o maccartiste. Nei riguardi della DC bersagli consueti erano l’influenza del clero, il sotto governo, la scuola confessionale... L’illusione del centrosinistra di cui fu convinto fautore il settimanale fu l’ultima speranza perduta" .

Altrettanto interessante è il ritratto di Valerio Castronovo: " Il settimanale di Pannunzio rappresentò un’esperienza del tutto originale ed unica... " Il Mondo" fu un giornale eretico per antonomasia, per l’indipendenza di giudizio a l’assoluta intransigenza con cui professò le proprie idee ed ebbe la concezione di uno stato laico, fondato sulla " religione della libertà " e aperto all’esigenza di rinnovamento della società civile. Il settimanale divenne un punto di riferimento e di riflessione della vita politica nazionale... al Mondo è stato rimproverato il suo illuminismo monocorde, il moralismo aggressivo, il pedagogismo velleitario. In realtà ciò che generava l’atteggiamento del settimanale era la ferma opposizione sia al massimalismo classista e settario sia all’autoritarismo e all’invadenza confessionale. La sua utopia fu l’ostinata illusione di poter convertire alla ragione di una nuova sinistra liberaldemocratica una borghesia amorfa come quella italiana, chiusa nel guscio dei suoi interessi immediati, all’ombra del clericarismo di palazzo, riluttante a una moderna prospettiva riformatrice... Ma anche nel "Mondo" ci furono diaspore ed errori: dall’atteggiamento favorevole nel ‘53 alla " legge truffa", nell’illusione di poter condizionare la DC, al tentativo di riqualificare il PCI su una linea progressista... Ma Pannunzio ha saputo dare una lezione di impegno civile e di anticonformismo in anni di rozzo ostracismo per il " culturame " e per le verità scomode. Perciò quella di Pannunzio non si può affatto considerare una battaglia perduta " .

Questo il giudizio di Marco Pannella: " Pannunzio è stato grande perchè ha saputo trovare le forme giuste e nuove per difendere le speranze classiche degli uomini e delle donne di questi tempi. Molti coloro che hanno scritto al momento in cui è morto Pannunzio della sua grandezza, erano coloro che si erano preoccupati che questa grandezza non fosse conosciuta dal Paese, che non fosse riconosciuta da coloro in nome dei quali anche Pannunzio parlava" .

Infine, prima di passare ai profili degli uomini più illustri degli amici de "Il Mondo ", il giudizio di Giovanni Spadolini che fece parte del gruppo pannunziano: " Nello Ajello ha scritto che " un Paese che non ha saputo o voluto affidare a un uomo come Mario Pannunzio un grande quotidiano nazionale, si merita di essere quello che è" . Uomo di convinzioni rigidissime, le avrebbe manifestate e fatte valere, nel rispetto altrettanto profondo delle idee degli altri ma senza indulgenza a eclettismi compromissori, a rassegnate polivalenze, ad ammiccanti equidistanze. Lo stile del "Mondo" fu fin dall’inizio uno stile di assoluta e direi aristocratica " unità " . Voci diversissime confluirono nello straordinario settimanale... " Uscirà presto a Roma un settimanale politico letterario ritrovo la lettera che mi indirizzò il 24 gennaio 1949 da me diretto: "Il Mondo". Vorrei la sua collaborazione: abbiamo due pagine dedicate alla letteratura, alla storia... il " lei " in poche settimane si convertì in " tu ", ma la severità del direttore non si attenuò per questo. Quello che ho poi fatto nel giornalismo italiano lo debbo in larghissima parte a lui, l’amico che ci ha lasciato il 10 febbraio del 1968... Spirito indipendente come pochi, detestava ogni ossequio al potere politico e ogni forma di demagogia. Conosceva il valore di contropotere del giornale, credeva nell’innesto fra giornalismo e impegno civile; non vedeva nessuna antitesi fra la sua azione di militante politico, esponente della sinistra liberale prime e poi leader della secessione radicale, e la sua opera di direttore. Non era per un giornalismo che registrasse i fatti, era per un giornalismo di intervento e di polemica... Credeva in un’ Italia laica, civile e rispettosa di tutte le fedi; detestava ogni clericarismo..., amava dire che la libertà è una passione morale, un’istinto, una forza sentimentale che ha bisogno di essere combattuta per vivere e rafforzarsi... Quando la notizia della morte di Pannunzio fu diffusa, Le Monde commentò: " il suo si era un si, il suo no era un no" .

Tra i collaboratori più significativi di Pannunzio ci fu Ernesto Rossi, l’uomo che forse delineò più di tutti il carattere del settimanale pannunziano. Era un uomo difficile, spigoloso, non disposto ai compromessi, anche nei confronti dei suoi stessi amici, il ribelle della vita politica italiana . Altri lo consideravano un ingenuo solo perchè era onesto e vedevano in lui un solitario don Chisciotte. Nato a Caserta nel 1897, Rossi dopo aver partecipato come volontario alla prima guerra mondiale conobbe nel 1919 a Firenze l’uomo decisivo per il suo futuro: Gaetano Salvemini. Oppositore irriducibile del fascismo, fu tra gli animatori di " Giustizia e Libertà ". Nel 1925 fondò insieme allo stesso Salvemini e ai fratelli Rosselli il giornale antifascista " Non Mollare ". Nel 1930 venne arrestato a Bergamo per la sua attività clandestina e condannato a vent’anni di carcere. Visse l’esperienza del carcere con una intransigenza ferrea che gli indurì il carattere. Successivamente relegato al confino di Ventotene scrisse nel ‘41, con Altiero Spinelli, il famoso Manifesto da cui trasse impulso l’idea federalista di un’Europa libera e unita e due anni dopo fondò a Milano il MFE ( Movimento Federalista Europeo). Fu sottosegretario nel governo Parri, tra i fondatori del Partito d’Azione e del Partito Radicale . Le sue inchieste sul settimanale pannunziano erano basate sempre sul " cerino acceso della nostra ragione " come lui amava dire e appartengono di diritto alla storia del giornalismo italiano . Il momento migliore, secondo molti, del settimanale pannunziano , fu quello in cui collaborarono Pannunzio e Rossi. Sodalizio che poi si ruppe con reciproco rammarico: " Continuamente ripenso con tanta nostalgia ai tanti anni in cui abbiamo lavorato insieme come due fratelli " . Ernesto Rossi scriveva nel ‘66: " Da quattro anni non sono più collaboratore del "Mondo", ma il mio dispiacere per la fine del settimanale e profondo e sincero ( era il momento in cui chiuse il settimanale ) non posso non ricordare la libertà assoluta di scrivere su ogni argomento quello che volessi e come lo volessi" .

Nicolò Carandini fu un altro dei collaboratori illustri di Pannunzio. Figura tra le più importanti del liberalismo italiano, fu uno dei leader della sinistra liberale e fu uno dei massimi esponenti del Partito Radicale. Fermo nella sua convinzione e di assoluta convinzione a ogni commistione e contaminazione fra affari e politica, collaborò al "Mondo" di cui fu anche editore per dieci anni insieme ad Arrigo Olivetti, ma suoi articoli erano già apparsi su " Risorgimento liberale ". Convinto fautore della terza forza destinata a creare una coscienza democratica libera da qualsiasi influenza confessionale, scrisse in una lettera indirizzata al repubblicano Piero Fossi, datata 20 dicembre 1949 di vedere seppellita "ogni possibilità di dar vita a una terza forza...mi pare che tutto vada scivolando verso un impressionante conformismo e credo sempre più nella necessità che almeno noi liberali indipendenti ci riserviamo una onesta possibilità critica e una completa libertà di indirizzo: Proprio per combattere il conformismo...noi restiamo tranquillamente fra gli insofferenti, mantenendo una posizione politica che abbiamo scelto con qualche sacrificio e alla quale, a costo di qualsiasi sacrificio, restiamo fedeli" . Giovanni Ferrara disse di lui: " Avrebbe potuto per la sua posizione sociale, partecipare, al gran mondo del potere; invece preferì le amicizie umane e politiche strette intorno all’idea di libertà" . Nominato nel 1944 ministro nel primo Gabinetto Bonomi, lasciò l’incarico dopo pochi mesi per svolgere il ruolo di primo ambasciatore italiano a Londra. A Londra si impegnò in contatti per preparare la prima Conferenza della Pace ( Londra settembre 1947 ) e proseguì nella sua opera diplomatica. Disse di lui Giovanni Spadolini: " Forse in nessun uomo come lui l’eredità del Risorgimento si identificava con una vera visione della vita: non il Risorgimento eroico della leggenda e dell’oleografia, ma il Risorgimento che era apertura dell’Italia all’Europa, riallacciamento dei rapporti con il mondo d’oltralpe, la finestra spalancata su Londra e su Parigi.Il Risorgimento di Cavour, in una parola" .

Un altro protagonista del gruppo pannunziano fu Leone Cattani che nel gruppo del "Mondo" più di tutti gli altri fu politico puro, deciso a subordinare alla politica tutta la sua esistenza. Ministro dei Lavori pubblici nel primo Governo De Gasperi ( dicembre ‘45 luglio ‘46 ) aveva un rispetto quasi sacrale per la legge e la legalità e non ammetteva compromessi. Tra i fondatori del Partito Radicale, in gioventù aveva fatto parte dell’azione cattolica, ma ne era uscito quando, di fronte al Fascismo, l’associazione chiese ai suoi iscritti " l’eroismo di rinunciare alle proprie idee ". Antifascista della prima ora, militante della Resistenza nella clandestinità, aveva aderito al Partito Liberale di cui aveva l’idea di un partito fedele ai grandi principi del liberalismo ma aperto ai pressanti e nuovi problemi economicosociali del dopoguerra. Combattè con lealtà sia l’azione del PCI che ogni forma di società segreta, in prima linea la Massoneria. Fu anche consigliere e assessore all’urbanistica al Comune di Roma, incarichi durante i quali portò avanti battaglie contro la speculazione sulle aree ad opera della Società Immobiliare, controllata dal Vaticano. Era insomma un uomo alla Pannunzio, il quale avrebbe fatto di tutto per vederlo a Montecitorio. Ma gli italiani non lo votarono, non apprezzarono il suo rispetto intransigente per le istituzioni e per l’onestà morale.

Nella galleria dei profili di uomini che vissero la stagione de "Il Mondo", non si può non annoverare Franco Libonati. Disse di lui Benedetti: "Era di una formazione storicistica, prudente e scettico, un intellettuale del Sud, una specie di Swann della nostra ricerca politica" .Libonati ebbe una funzione importante sia nel settimanale che nel Partito Radicale. Durante la Resistenza fu uno degli animatori del risorto PLI e condivise con Pannunzio le esperienze di quel periodo tanto buio quanto ispiratore di future speranze.

Quando l’editore Mazzocchi decise di abbandonare "Il Mondo", Libonati stesso assunse la presidenza della nuova società editrice del giornale.

Sul settimanale scrisse articoli di cui la maggior parte riguardavano il tema della censura e della sua abolizione e il finanziamento ai partiti. Già nel 1963 Libonati scriveva: "Se veramente si credesse di poter eliminare, con il finanziamento da parte dello Stato, i finanziamenti di privati, singoli o associazioni, e di enti pubblici, la proposta otterrebbe l’effetto opposto: i partiti, forti del finanziamento dello Stato, troverebbero più facile chiedere o addirittura imporre contributi a privati e a Enti, degradandosi così a strumento per procacciare mezzi finanziari" . Diceva di lui Scalfari: "La sua è un’ "ombra" che rappresenta un inquietante richiamo ad una classe politica sempre più straripante di disinvolti carrieristi "rampanti" e senza ideali" .

Il gruppo pannunziano ebbe infine il gradito apporto di Bruno Villabruna di cui è opportuno parlare per concludere degnamente la carrellata dei "liberali alla Pannunzio". Villabruna, bandiera del liberalismo piemontese, fu eletto deputato alla Costituente, e nel 1948 divenne segretario del PLI. Combattè le venature qualunquistiche del suo partito e l’8 dicembre 1951 fu uno degli artefici della riunificazione liberale fra il gruppo di Pannunzio e il resto del partito. Dopo la successiva scissione della sinistra liberale tentò l’avventura radicale senza rimpiangere il suo vecchio partito sempre più incline a ideali e azioni politiche conservatrici.


CR Critica Radicale - 16/03/13 - E-mail: info@eclettico.org