wpe2.jpg (4456 byte)Capitolo 3: Il "vecchio" Partito Radicale
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Il PR dagli anni del centrismo agli albori del centrosinistra

Il Partito Radicale comparve ufficialmente sulla scena politica italiana l’11 dicembre 1955. Così Pannunzio, Carandini, Libonati e altri uomini appartenenti alla cosiddetta "Sinistra Liberale" avevano deciso di fare il grande passo e scindersi dal PLI che avevano rifondato durante la resistenza e che ormai era sempre più incline a una politica conservatrice. Era la logica conseguenza di anni di contrasti e momentanee riappacificazioni. I primi importanti dissidi infatti tra Sinistra e partito si erano già manifestati tra l’inizio della segreteria Cassandro (III Congresso liberale nell’aprile 1946) e l’esito del IV Congresso del PLI (30 novembre 3 dicembre 1947), che vide l’uscita di numerosi esponenti della sinistra sia dal partito stesso che dal suo quotidiano "Risorgimento Liberale". La segreteria Cassandro assorbì nel partito i "democratici italiani" che annoveravano tra le loro file esponenti della destra monarchica come Lucifero e Selvaggi. Una volta entrati nel PLI si prodigarono per portare il partito su posizioni sempre più conservatrici. Ciò emergerà nel IV Congresso liberale (Roma 1947) in cui, nonostante l’opera mediatrice di Cassandro e l’intervento di Croce1, i contrasti tra le due opposte correnti del liberalismo si fecero insostenibili: da un lato gli elementi conservatori, appoggiati se non finanziati dagli ambienti della Confindustria, volevano fare del partito un paladino degli interessi padronali e contenitore di tutte le forze a destra della DC; dall’altro gli elementi liberaldemocratici che propugnavano un partito laico e riformatore, libero da poteri forti. La svolta a destra ad opera della segreteria Luciifero si concretizzò nella elezioni politiche del ‘48 nel Blocco Nazionale, che vide accanto ai liberali l’Unione per la Ricostruzione Nazionale di Nitti e il Partito dell’Uomo Qualunque. La sinistra liberale con alcuni esponenti del partito criticò in maniera netta la decisione della segreteria e come risposta lo staff dirigente di Risorgimento Liberale abbandonò prima il giornale2, e poi anche il partito. La sinistra liberale, dopo l’ uscita dal partito costituirà un movimento liberalindipendente che porterà alla formazione de "Il Mondo". Lucifero tirò dritto per la sua strada e l’alleanza con i qualunquisti non salvò il PLI dalla sconfitta elettorale del 18 aprile: i voti moderati infatti andarono alla DC, mentre i reazionari più accaniti preferirono i partiti della destra monarchica e il neonato MSI.

La disfatta elettorale provocò un ripensamento sulla politica conservatrice del partito e i maggiori esponenti di centro tra cui Einaudi e Croce, si mossero per allontanare Lucifero dalla segreteria. Dal V Congresso liberale (Roma, luglio 1949) in cui fu eletto nuovo segretario Villabruna, uscì una programma di ritorno alla concezione centrista del partito e questo cambiamento favorì la breve riunificazione delle forze liberali avvenuta a Torino nel dicembre 1951. L’unificazione fu concepita dal gruppo del Mondo in funzione chiaramente laica e progressista. Questa riunificazione assunse un significato specifico nel clima di quegli anni: alla vigilia delle amministrative del ‘51 il quadripartito voluto da De Gasperi non esisteva più3, e i partiti laici si accorsero della pesante ipoteca pagata alla DC in nome dell’anticomunismo. Specchio di questa crisi furono i risultati elettorali del ‘51 in cui la DC perse rispetto al ‘48 quattro milioni di voti, il PCI ebbe una leggera perdita e il PSI ottenne un notevole successo. In questo nuovo clima si pose in termini concreti l’unificazione di tutte le forze liberali e si aprì il dibattito sul problema della terza forza. Nel ‘51 l’esigenza di un fronte laico anti DC era più pressante; La Malfa stesso al congresso nazionale del PRI (Roma ottobre 1951), sostenne la necessità di indire una "Costituente programmatica tra i partiti democratici laici" per preparare una base elettorale per le politiche del ‘554. La sinistra liberale reagì con cautela a questa proposta: Cattani infatti aveva sostenuto sul "Mondo" che ormai il PLI doveva decidere se essere un partito conservatore o progressista5. Croce invece ribadì l’assurdità della divisione del partito in destra e sinistra6. Dal convegno dell’unificazione uscirono solo mediazioni e compromessi tra le diverse anime del PLI, che si scontreranno definitivamente tre anni più tardi con l’avvento di Malagodi alla segreteria del partito nell’aprile del ‘54. Nel frattempo le elezioni amministrative del ‘52 che avevano evidenziato la crisi del quadripartito e soprattutto della DC, e la "legge truffa" per le politiche del ‘53 e la relativa sconfitta dei partiti laici, delusero i liberali del Mondo, i quali continuarono ostinatamente a sperare nel progetto di servirsi del PLI come strumento di terze forza, fino a quando questo progetto non fu ostacolato dall’ avvento della segreteria Malagodi. Il nuovo segretario di cui erano note le sue simpatie confindustriali e conservatrici decise infatti di ripercorrere la strada di Lucifero. Il contrasto tra la sinistra liberale e la gestione Malagodi si acuì progressivamente a causa del comportamento del segretario liberale di fronte ai problemi politici più spinosi del tempo. Uno dei punti più salienti della polemica fu la questione dello sganciamento delle aziende IRI dalla Confindustria: Il Mondo già lo aveva accusato di muoversi "sul filo del rasoio"7. Nei primi di agosto del ‘54, alla Camera, l’ex segretario Villabruna come Ministro dell’Industria votò l’ordine del giorno Pastore che prevedeva lo sgancio. Al contrario Malagodi e tutto il gruppo liberale votarono contro, allineandosi con i monarchici e il MSI. Secondo le sinistre, la vera pratica liberale consisteva nell’attrarre il consenso dei ceti medi, mentre l’accusa principale rivolta a Malagodi era di avere fatto assumere al PLI toni e posizioni tali da assicurargli le simpatie dei ceti padronali: "Il nobile partito di Croce e di Einaudi è stato affittato (neppure comprato) dall’Assolombarda"8. Le divergenze raggiunsero il loro apice nel febbraio 1955 quando riesplose la questione dei patti agrari e Malagodi sconfessò l’azione dei due ministri liberali Martino e Villabruna9. Le critiche della sinistra si fecero aspre: Carandini accusò Malagodi di aver rovesciato la politica del partito e di averlo fatto passare da partito di centrosinistra a partito di centrodestra, e aveva fatto intendere il proposito di un nuovo partito: "O il PLI tornerà alla sua autentica funzione di avanguardia o altre formazioni politiche, fondate su una nuova leva di uomini accomunati da più forti aspirazioni e da più sincere affinità, sorgeranno a raccogliere quella eredità e ad assumere quell’impegno per l’avvenire"10. Mario Paggi constatava che il PLI era divenuto un semplice partito di destra11. Il 30 giugno 1955 la sinistra si convocò a Roma per organizzarsi in corrente all’interno del PLI, per combatterne la svolta a destra. In un documento politico della fine di Luglio del ‘55 venivano esaminati dettagliatamente tutti gli strumenti organizzativi necessari per incidere più a fondo sulla situazione: una fitta serie di rapporti con le situazioni locali, l’appoggio di riviste quali Il Mondo, Nord e Sud, Critica Liberale e l’eventualità di "un’associazione di azione politica...che prescindendo dall’esistenza del PLI e contemplando la possibilità dell’adesione di organismi (circoli, giornali), si presenti come "lega o unione" potendo così definire esplicitamente una propria piattaforma politica"12. Nella polemica il centro del partito cercò di mediare evitando la rottura: il 31 luglio ‘55 a Palazzo Carignano a Torino il centro e la sinistra tennero il loro convegno in cui gli esponenti della sinistra criticarono duramente Malagodi e l’evoluzione del PLI. Le reazioni del segretario furono fredde: per lui il convegno di Torino non avrebbe mutato la sua politica e il partito liberale non si sarebbe prestato alla manovre per farne "...una foglia di fico per aperture a sinistra più o meno dissimulate..."13. La situazione precipitò rapidamente e così il 10 dicembre 1955 a Palazzo Bancani a Roma si tenne il convegno costitutivo del Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani. Quattro giorni prima un taccuino de Il Mondo aveva preannunciato la nascita del partito: "Gli uomini che fondarono il Partito liberale nella resistenza...si accingono a costituire una nuova larga formazione politica che si ispiri a una concezione moderna e civile del liberalismo...in questo campo i "padroni del vapore" non troveranno certo mercenari e staffieri pronti a vendere le idee per un assegno mensile. Dirà l’avvenire se i promotori del nuovo partito hanno avuto torto a non disperare"14. L’ annuncio ufficiale fu dato l’11 al Teatro Cola Di Rienzo di Roma nel corso di un comizio che aveva come slogan "Un partito nuovo per una politica nuova". Il nuovo partito il cui nome fu presto ridotto a Partito Radicale15 si prefisse come finalità " ...di operare il rinnovamento della vita morale, politica ed economica del paese, per rendere libera, giusta e sicura la democrazia italiana ed inserita in un sistema politico ed economico europeo16, e prese come simbolo l’immagine della dea libertà col berretto frigio, lo stesso emblema che i rivoluzionari napoletani avevano reso popolare nel 1799. Aderirono al partito uomini politici provenienti da altre correnti democratiche come gli ex azionisti Leo Valiani, Ernesto Rossi, il repubblicano Mario Boneschi e Leopoldo Piccardi di Unità Popolare e esponenti dell’intelligenza laica come Benedetti, Antoni. Accanto a nomi prestigiosi dentro al nuovo partito confluì anche un numeroso gruppo di giovani appartenenti alle organizzazioni democratiche universitarie: Giovanni Ferrara in un suo articolo afferma che il Pr era un partito di giovani17. Una gran parte proveniva dalla Gioventù liberale, accanto a questa c’erano i giovani di Unità Popolare che si battevano per l’unità delle sinistre laiche. Inoltre c’era una terza componente giovanile particolare per la sua concezione dell’autonomia della politica, della militanza e della libertà: l’Unione Goliardica Italiana da cui provenivano Marco Pannella e Franco Roccella. I giovani ugini conducevano una grossa polemica con il modo di far politica dei partiti tradizionali; alla milizia del partito opponevano la responsabilità personale, la chiarezza culturale, l’amore per la libertà. Il partito poteva inoltre contare anche su due prestigiosi giornali come Il Mondo e L’Espresso e su riviste autorevoli come La Riforma e Nord e Sud. Il nuovo partito radicale nacque in un momento particolare e instabile della vita politica italiana. Caduta, con le elezioni del ‘53 la leadership di De Gasperi, anche la formula centrista a lui cara stava entrando in crisi. La DC aveva perso la maggioranza assoluta e all’estrema sinistra i comunisti si erano molto rafforzati, i partiti minori avevano un maggior peso che nella precedente legislatura. Quindi tutto lo schieramento politico sembrava in movimento e il Partito Radicale nacque proprio per dare al Paese un adeguato rinnovamento politico e per costituire quel fronte laico in grado di trattare con le forze democratiche della DC e della sinistra. Le linee programmatiche venivano riassunte in un manifesto approvato il 10 dicembre 1955: "La condizione in cui è caduta la vita politica italiana a dieci anni dalle grandi promesse della liberazione riempie di scontento e di inquietudine la coscienza liberale e democratica del paese. La vita del pensiero e del lavoro è profondamente turbata dalla constatazione che al crollo della dittatura è succeduta una democrazia timida ed impacciata dall’eredità di un corrotto costume, debole nel difendere dalle penetrazioni confessionali e dall’impeto degli estremisti l’autorità dello stato, incapace, infine, di esprimere nelle sue istituzioni lo spirito della nuova costituzione repubblicana. E’ tempo però che sorga dagli animi una ferma volontà riparatrice e che si raccolga la dispersa forza morale che ha sorretto il Paese negli anni della resistenza al fascismo e della lotta di liberazione. Ed è il tempo di dedicare ogni intento alla creazione di una formazione politica, capace di provare finalmente che l’impegno di uomini aperti e consapevoli, uniti nella volontà di affrontare alcuni problemi fondamentali della vita del nostro paese e di additarne le soluzioni secondo lo spirito innovatore della civiltà moderna e i progressi prodigiosi della scienza, può dare un nuovo vigore e una nuova speranza per lo sviluppo della società italiana"18. La dichiarazione programmatica trattava poi più in concreto i punti fondamentali. Prima di tutto i radicali volevano battersi per l’eliminazione di tutte le leggi ereditate dallo stato fascista, e per l’attuazione della costituzione e la effettiva instaurazione dello stato laico e liberale, di quello stato di diritto che rende tutti i cittadini uguali davanti alla legge, senza discriminazioni politiche e religiose. In campo economico il programma si articolava in tre punti: lotta ai monopoli, riforma tributaria rendendo le imposte chiare, intervento dello stato in economia. Migliorando il tenore di vita dei ceti meno abbienti, era per i radicali condizione essenziale per sottrarre masse popolari alla suggestione di gruppi e partiti antidemocratici e per costruire così, attraverso il loro progressivo sviluppo democratico, una società più liberale e civile integrata nelle nell’economia e nella cultura occidentale. La via per realizzare questa visione illuministica della società italiana era una burocrazia efficiente e incorrotta in grado di mettere in atto una serie di riforme che una nuova classe politica aveva il dovere morale di compiere. Una riforma scolastica era inoltre la premessa necessaria per formare una coscienza civile: "Una riforma diceva il manifesto che rinnovi profondamente la scuola italiana...che metta fine all’invadenza del confessionalismo e restituisca dignità e primato alla scuola di stato". Il manifesto concludeva con speranza e ottimismo: "i promotori del Partito Radicale convinti che tutto lo schieramento politico del paese è in crisi e che nuovi sentimenti, nuovi stimoli, nuovi fermenti stanno lievitando nel seno della nostra società, indicano questi temi come punto d’incontro e di convergenza di tutte le forze politiche affini e di quelle tuttora disperse, che concordano nella necessità di una tempestiva, appassionata iniziativa, che sollevi finalmente il nostro paese alle condizioni delle moderne democrazie occidentali"19. La nascita del nuovo partito fu accolta con simpatia dai socialisti e dal repubblicano Ugo La Malfa che giudicò positivamente la scissione e la nascita del PR che rappresentava "...Un passo avanti verso quel lento e graduale processo di chiarificazione politica che, dal 7 giugno 1953, è diretto preparare situazioni e schieramenti politici più adeguati alle condizioni reali del paese e ai suoi problemi". Il Partito Radicale, secondo La Malfa, si collocava in quell’ampio spazio compreso fra la DC e il PSI apportando " nuove energie e nuove possibilità e strumenti di lotta nel campo della sinistra democratica"20. I giornali della destra invece lanciarono accuse roventi: dal "Tempo" alle agenzie clericali i radicali vennero definiti "velleitari e demagogici", "puritani cinici ed economici", "falliti in cerca di rivincita". Al coro di critiche proveniente da destra si aggiunse anche l’organo socialdemocratico "Giustizia" riluttante ad un raggruppamento laico, che accusò i radicali di frontismo. Il Mondo reagì con durezza: "E’ l’accusa più velenosa e quella che meglio lascia trasparire le preoccupazioni di quanti hanno legato le loro fortune all’immobilità del vecchio schieramento. Essi desiderano, in effetti, che i radicali scompaiano presto dalla vita politica confondendosi nel calderone degli utili idioti comunisti....Non vediamo quale vantaggio ricaverebbe la difesa della democrazia il giorno in cui tutti i democratici, che ritengono vi possa essere un margine per far valere le loro istanze senza affidarle ai portavoce della Confindustria o del Partito Comunista, dovessero davvero gravitare verso il frontismo...E’ malinconico constatare che in questo coro di accuse si sia trovata la socialdemocratica giustizia...Dobbiamo con questo concludere che il PSDI intende estraniarsi dal movimento di riorganizzazione dello schieramento democratico di centro sinistra? Non vogliamo ancora crederlo. Quel giorno i radicali si troverebbero a dover risolvere una difficoltà in più. Ma non solo i radicali"21. Sulla stampa della sinistra laica e specialmente sulle pagine del Mondo si svolse un dibattito sul ruolo e sulla collocazione politica del nuovo partito: per le sue caratteristiche con cui era nato e in mancanza di una formazione di sinistra democratica e progressista, il PR andava a collocarsi nello spazio politico fra DC e socialisti. Tutti i suoi membri erano concordi nel rivendicare al proprio partito un ruolo autonomo sia dalla DC che dal PSI, e si ponevano non come partito minore, ma come importante punto di riferimento per la sinistra laica nell’incontro tra cattolici e comunisti22. Mario Paggi in un importante articolo presentava il PR come partito interclassista e antidogmatico che si rivolgeva anche agli operai e ai contadini proponendo loro una via di liberazione diversa da quella dei partiti della sinistra storica23. Il 24 gennaio uscì sul settimanale di Pannunzio il comunicato del comitato esecutivo provvisorio del PRLDI24 che avendo esaurito il mandato di dare una prima organizzazione al partito, ravvisava l’urgenza di investire in piena responsabilità un organo rappresentativo del partito. Perciò venne convocato il primo convegno nazionale del partito il 4 e 5 febbraio 1956. Tale convegno avrebbe dovuto approvare lo statuto, designare gli organi dirigenti e approvare un immediato piano di lavoro. Il primo consiglio nazionale si tenne a Roma nella nuova sede del partito in via della Colonna Antonina25, all’ordine del giorno furono posti alcuni punti fondamentali quali lo statuto provvisorio del partito, l’elezione degli organi direttivi ed esecutivi del partito e il perfezionamento dell’organizzazione interna e la definizione della linea politica. Il PR sin dall’inizio si era dato una sede centrale e un ufficio di segreteria che aveva la funzione di diffondere il programma e coordinare il rapporto tra sede centrale e sezioni locali, e la relazione del comitato esecutivo provvisorio nel corso del convegno esprimeva soddisfazione per il lavoro svolto: "...Si può affermare che, grazie al generoso e al vivo affiatamento tra centro e periferia...una fitta rete d’intese e di attive collaborazioni è stata stabilita su base nazionale...sedi si sono aperte da Torino a Milano..."26. La relazione del comitato esprimeva chiaramente la concezione non burocratica del partito e concludeva legittimando la sua definizione politica: "Le stesse origini del nostro partito vogliono che la sua attività non si concentri chiusa in uno schermo rigido, ma si diffonda in un vivo ricambio delle strutture collaterali ed affini, nei Circoli della Cultura, nei convegni dedicati a particolari problemi, nei Centri di studio e di lavoro...Lo stato di scoraggiamento per cui il paese si va distaccando dalla affezione alle istituzioni democratiche, dipende dal fatto che nessuna delle forze politiche esistenti intermedie fra i due blocchi del comunismo e della democrazia cristiana, ha dimostrato di sapere prendere l’iniziativa per una raccolta di tutte le energie della sinistra democratica e laica...E’ nel vuoto creato dalla frantumazione di queste forze...è in questa vacanza di un nucleo compatto e autonomo di centro sinistra che l’iniziativa radicale è chiamata ad inserirsi...noi vogliamo evitare la polarizzazione della lotta tra comunismo e clericalismo che costituisce da anni il ricatto alla vita politica italiana ed impedisce di fatto la possibilità di quel ricambio democratico che è l’essenza di un regime di libertà nella vita pubblica"27. Il primo convegno da cui uscirono principi molto simili a quelli espressi nel promemoria della sinistra liberale nel luglio 1955, si chiuse con una mozione politica che confermava la scelta radicale per il sistema proporzionale e l’impegno di partecipare alle prossime elezioni amministrative con una lista propria; il convegno approvò inoltre lo statuto provvisorio che era stato stilato dal 10 dicembre ‘55, ed elesse gli organi del partito. Per la Giunta esecutiva, guida del partito, furono eletti: Carandini, Pannunzio, Valiani, Villabruna: Per il comitato centrale che doveva fissare le direttive della Giunta: Capobianco, Cavallera, Cattani, Ferrara, Leone, Libonati, Olivetti, Oneto, Paggi, Salza, Serini, Veneziati, Letizia Fondo Savio. Per il Comitato Nazionale di studi, che doveva affrontare i vari problemi del paese per permettere al partito di presentare soluzioni adeguate, furono eletti: Boneschi, Calogero, Campagna, Messineo (colui che aveva redatto lo statuto), Rossi, Scalfari28. Lo statuto provvisorio, che constava solo di 9 articoli e di 4 disposizioni transitorie, era molto sintetico e dopo una dichiarazione di principio nella quale si enunciava la volontà del PR di rinnovare la vita politica, elencava gli articoli che stabilivano gli organi del partito: le sezioni comunali, le federazioni provinciali, il Consiglio nazionale provvisorio, il Comitato centrale, la Giunta esecutiva e il Comitato nazionale di studi29. Esaminata la struttura centrale del partito, lo statuto regolava anche la vita periferica del partito, che era articolata nelle sezioni e nelle federazioni regionali, ed agevolata dalla strutturazione di gruppi di studio, nei circoli di iscritti al partito. L’attività delle varie sezioni periferiche veniva coordinata inoltre dalle federazioni regionali, in accordo con la giunta esecutiva che però poteva anche corrispondere direttamente con le sezioni stesse30. In definitiva lo statuto pur evidenziando la volontà di costituire un partito agile e snello, diverso dalle burocrazie degli altri partiti di sinistra, ricadeva, specialmente nei suoi organi principali, nelle strutture dei partiti tradizionali. Il Pr così si presentava alle elezioni amministrative del maggio 1956, un occasione per il nuovo partito di "contarsi" e di qualificarsi di fronte all’opinione pubblica: Carandini scrisse: "In questa estrema vigilia elettorale il Partito Radicale segna un primo successo. Presentandosi alla prova nella fase più delicata della sua prima organizzazione, esso ha voluto essenzialmente compiere un atto di coraggio. E’ sceso in questa battaglia perchè sentiva che i motivi che lo avevano suscitato erano maturi..."31. Il partito condusse la campagna elettorale secondo la linea uscita dal primo convegno, e si presentò con liste proprie nelle situazioni in cui la sua presenza e la sua organizzazione erano adeguate e con accordi, sottoposti all’approvazione degli organi del partito, con forze politiche che avessero gli stessi principi dei radicali: antifascismo, opposizione al confessionalismo, difesa delle istituzioni democratiche. I radicali aspiravano infatti a una collaborazione con le correnti di sinistra della socialdemocrazia e a un’unificazione socialista indipendente dal PCI: Il Mondo scriveva: " Il problema dei socialisti non riguarda solo il PSI, ma tutta la democrazia ...se si arriverà alla unificazione socialista (prima tappa per la collaborazione del PSI per la formazione di una nuova maggioranza) vi si dovrà arrivare per dare una spinta decisa alla situazione..."32. I risultati non furono favorevoli sotto il profilo numerico per i radicali: il solo risultato apprezzabile, dovuto al maggiore radicamento politico, fu registrato a Roma dove ottennero 12000 voti e Cattani fu eletto consigliere comunale.

Un’analisi positiva della prova elettorale venne data dalla relazione politica della giunta Esecutiva, durante il 2±consiglio nazionale del partito, svoltosi a Roma il 23 e il 24 giugno 1956: "questo II consiglio nazionale risponde a un’esigenza: quella di esaminare insieme la nostra esperienza elettorale...Quando ci trovammo riuniti per il I consiglio nazionale le elezioni amministrative erano prossime e costituivano una scadenza che ci imponeva gravi e non facili decisioni. Prevalse la decisione di prendere parte alla lotta elettorale, perchè sentimmo che un partito, fin dalla sua nascita, si trova di fronte a impegni improrogabili...La Giunta Nazionale del Partito crede di potere dire che oggi l’esperienza ha confermato la saggezza della nostra decisione e ha premiato la generosità dei nostri propositi...il Partito ha superato la prova, dimostrando una saldezza di compagine e una vitalità che sono di buon auspicio per l’avvenire..."33. La via tracciata dal partito radicale quindi continuava senza ripensamenti: secondo Piccardi esistevano in Italia forze politiche non rappresentate, forze democratiche nemiche del confessionalismo, disposte a trasformazioni sociali nel rispetto della libertà. Compito dei radicali era quindi quello di offrire a queste istanze una piattaforma politica in cui esprimersi: "Le immunità da schemi ideologici concludeva Piccardi e un certo distacco da miraggi di futuri e lontani sviluppi impongono al Partito Radicale e gli rendono più agevole l’impegno di una iniziativa vigile e tenace. In questa loro funzione i radicali, pur non essendo malati di sinistrismo verbale e velleitario, si troveranno spesso a sinistra di partiti ai quali spetta tradizionalmente il posto d’onore in questo settore della topografia politica"34. Il partito assunse da questo momento una esplicita posizione di sinistra che affrontò con spregiudicatezza argomenti ignorati dai partiti tradizionali, quali i rapporti fra stato e chiesa, il problema dei diritti civili, casi di corruzione e le connessioni fra Vaticano e speculazioni edilizie, come per esempio nel caso clamoroso della campagna lanciata del settimanale "L’Espresso" contro la malefatte della Società generale immobiliare rea di grosse speculazioni nella Capitale grazie ad appoggi vaticani.

Il III consiglio nazionale del partito radicale svoltosi a Roma il 9 e 10 marzo 1957, analizzò l’attività politica del partito a un anno dalla sua fondazione. Nonostante le difficoltà iniziali derivanti soprattutto dal finanziamento che si basava solo sui contributi degli iscritti e dei simpatizzanti, si vedevano segnali positivi soprattutto perchè in quasi tutte le grandi città erano state aperte sezioni radicali, segnali che erano interpretati come un possibile cambiamento della situazione italiana: "...Il duro colpo ricevuto dal comunismo italiano con la caduta del mito di Stalin e la rivolta popolare ungherese, il progressivo sfaldamento dei partiti dell’estrema destra...il ripudio del frontismo e l’ esplicita accettazione del metodo democratico da parte del partito socialista...sono altrettanti indici rivelatori di una profonda trasformazione che si sta maturando nel paese, destinata a sboccare, a scadenza più o meno prossima, in un nuovo assetto politico"35. La giunta esecutiva risaltò in particolare uno degli aspetti salienti della linea politica radicale: la lotta ai monopoli. La politica economica dei radicali infatti sosteneva l’intervento dello stato dello stato, limitato a situazioni di interesse generale: "...Uno dei punti che meglio caratterizzano il nostro partito è quello della lotta contro i monopoli, lotta diretta a non ricattare gli industriali per ottenere che una maggior parte del sopraprofitto vada alle maestranze: ma per ridurre il prezzo dei beni nell’interesse dei consumatori... noi intendiamo contenere l’intervento dello Stato nel campo economico entro i limiti stabiliti dall’art. 43 della Costituzione...intendiamo tracciare una netta distinzione fra il settore pubblico e il settore privato ...e sottoporre il settore pubblico ad una efficace vigilanza da parte del Parlamento"36. La situazione sembrava volgere nella direzione sperata dai radicali: nel maggio 1957 la caduta del gabinetto segni, indebolito dall’uscita dalla maggioranza dei repubblicani e dei socialdemocratici, segnò la fine del centrismo. L’avvento del monocolore DC Zoli non riuscì a cambiare il clima di incertezza che regnava nel Paese. Di fronte a questi eventi il disegno radicale di uno schieramento democratico di sinistra prendeva corpo. A dare concretezza al progetto radicale contribuiva anche la modificazioni interne al PSI ritenuto un partito essenziale nello schieramento di alternativa democratica alla DC37. I radicali e Il Mondo si impegnarono illusoriamente per ridurre la forza del PCI mediante un grande partito socialista, sostenendo con fermezza la vocazione democratica del Partito Socialista considerato colonna di uno schieramento in grado di mutare in senso progressista il Paese. Infatti mentre lo sganciamento dai comunisti, era riuscito sul piano ideologico, per il PSI non era riuscito sul piano reale poichè le basi dei due partiti per anni avevano convissuto per anni nell’agone politico e lo strappo sembrava una follia.

La linea politica del partito fu confermata nel IV consiglio nazionale tenutosi a Roma il 6 e 7 luglio 1957: mentre la situazione organizzativa sembrava in via di positiva evoluzione, problemi di ordine politico si presentavano al partito in vista della consultazione elettorale del ‘58: i radicali pensarono perciò di allearsi con il partito politicamente più vicino: il PRI. L’accordo tra il PR e i repubblicani si basava su un’identità di intenti e di vedute quali la separazione dei poteri dello stato e nessuna interferenza della Chiesa e la riaffermazione della volontà del Parlamento. Un articolo su Il Mondo sanciva questa alleanza: " L’accordo tra il Partito Radicale e il Partito repubblicano...va molto al di là della contingenza elettorale in vista della quale si è concluso. Esso costituisce l’ultimo momento di un processo politico ormai in corso da alcuni anni...esso apre una fase politica nuova, quella in cui la sinistra democratica passa da un ruolo critico e di denunzia, proprio di una èlitè, a un ruolo fortemente costruttivo."38

L’alleanza repubblicana suscitò molto entusiasmo e speranze nel partito: Pavolini sul settimanale pannunziano espresse la sua fiducia nell’alleanza e nel suo buon esito elettorale39. Il risultato elettorale, negativo per l’alleanza spense le speranze del PR. Molte furono le valutazioni per giustificare la causa della sconfitta: Pavolini che era stato uno dei più ottimisti, giustificò la debacle con il fatto che gli elettori fossero immaturi: "Il nostro popolo vota per i preti che afferma di detestare, per i padroni che odia, per i fascisti che teme...vota per gli imbrogli, per le violenze...Saremmo davvero tentati di dire che questo popolo ha proprio ciò che si merita. Se non giungiamo a queste conclusioni è perchè pensiamo ad un’Italia diversa...un’ Italia fatta di minoranze ardenti..."40. Il consiglio nazionale (Roma, 1415 giugno 1958) cercò di vedere gli aspetti positivi delle elezioni evidenziando il fatto che la vitalità del partito e il suo seguito fra l’elettorato, seppur scarso, costituivano una garanzia per il futuro. Carandini in un articolo sul Mondo confermò questa analisi commentando che la DC e il PCI con questa sconfitta dei radicali e repubblicani vedevano raggiunto il loro principale obiettivo41 .

Il 27 febbraio 1959 si aprì il I± Congresso nazionale del PR. La relazione programmatica risaltò il carattere nuovo del PR e la sua capacità di affrontare i numerosi problemi42. I temi da affrontare, in un paese dove le strutture dello stato mostravano segni di invecchiamento, andavano dalla riforma della burocrazia, l’istituzione dell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione alla difesa delle libertà politiche e civili dei cittadini come l’attuazione della Costituzione, la riforma del testo di legge di Pubblica Sicurezza e una maggiore libertà di stampa. In politica economica la relazione proponeva una lotta ai monopoli, la nazionalizzazione di alcuni settori come le fonti di energia e una politica di investimenti per ridurre i dislivelli economici esistenti nel Paese e per creare nuova occupazione. Due punti fondamentali erano toccati inoltre dalla relazione che per il Congresso fu tenuta da Mario Boneschi: la riforma della scuola e i rapporti tra stato e Chiesa e la conseguente denuncia dell’invadenza clericale nella vita italiana. In politica estera vi erano dissensi all’interno del PR diviso fra sostenitori del filoatlantismo come il gruppo del Mondo e fautori dell’antimilitarismo e del disarmo come i larghi strati della gioventù radicale.

Il congresso approvò inoltre lo statuto definitivo del partito, sostituendo così quello provvisorio del 1956. Il nuovo statuto confermava la sua caratteristica di organizzazione di partito tradizionale, gli organi centrali infatti erano sei: il Congresso Nazionale, il Consiglio nazionale, la Direzione Centrale, la Segreteria, il Comitato Nazionale di studi e il Collegio Centrale di arbitrato e disciplina 43. Nel nuovo statuto oltre a essere più burocratiche le modalità di iscrizione, appariva un organo: il Collegio Centrale di arbitrato e disciplina, preposto "... al compito di decidere sui provvedimenti di carattere disciplinare e sugli eventuali conflitti tra gli organi del partito"44. La minoranza di sinistra sempre più in disaccordo con la direzione del partito sollevò molte critiche allo statuto, considerato scarsamente sensibile alle esigenze delle associazioni di base.

Il quadro politico dopo il ‘58 con il fallimento del primo governo Fanfani e l’avvento del monocolore Segni sostenuto dalle destre fu esposto dalla relazione della Giunta esecutiva che ribadì la necessità di creare un’alternativa di sinistra laica: necessità confermata dal Mondo45.

Agli inizi degli anni ‘60 il tema centrale del dibattito politico è l’apertura a sinistra. L’esperienza del governo Tambroni e i tragici fatti di Genova sembrano accelerare la spinta di un governo di centrosinistra, cui anche i socialisti si erano dichiarati disponibili. Il PR di fronte a queste nuove prospettive cominciò seppur tra mille dubbi e polemiche a cambiare posizione: la contrarietà a una collaborazione con la DC che era sempre stata netta fino al primo congresso adesso era più attenuata. All’interno del partito inoltre si stavano facendo sempre più nette le differenze tra l’ala moderata filorepubblicana e una filosocialista facente capo a Scalfari e Piccardi.

Il buon successo alle amministrative del ‘60 ottenuto dai radicali che si erano presentati insieme con i socialisti placò temporaneamente i dissidi. Dissidi che venivano accentuati invece dalla forte componente giovanile all’interno del PR facente capo a Pannella, Rendi e Rocella i quali portarono avanti una polemica sul ruolo del PR e sul suo modo di fare politica. La prima uscita della sinistra radicale fu un articolo di Marco Pannella sul Paese nel Marzo 195946. Sul quotidiano comunista Pannella sosteneva la necessità di un’alleanza di tutte le sinistre e l’ipotesi di un loro governo compreso il PCI. I dirigenti del partito considerarono questa proposta come una condanna dell’alternativa democratica e una riconferma della tradizionale divisione tra blocco DC e blocco comunista.47

Il tema centrale del secondo congresso radicale, svoltosi a Roma il 2628 maggio 1959, fu l’apertura a sinistra. La direzione centrale del partito fu bersaglio di molte critiche che rimproveravano al partito di avere deviato dalla linea iniziale di lotta alla DC e di alternativa democratica. I contrasti all’interno del PR si acuirono. Il gruppo di Piccardi e Scalfari premeva per un maggior avvicinamento ai socialisti, mentre l’altra parte facente capo a Cattani sosteneva l’autonomia del partito e la sua alleanza con la sinistra democratica. Nel Consiglio nazionale nel gennaio 1962 si cercò di raggiungere una mediazione fra le diverse correnti, ma invano: la Segreteria composta da Libonati, Olivetti e Piccardi (coinvolto nelle polemiche scaturite dal cosiddetto caso Piccardi) dette le dimissioni e venne nominato segretario Cattani che segnò gli ultimi mesi di vita del partito. Oltre alle divergenze politiche la stabilità del partito fu compromessa dalle polemiche derivate dal Caso Piccardi: scoppiato nel dicembre 1961, il caso riguardò la partecipazione (svelata dal libro di R. De Felice "Storia degli ebrei sotto il fascismo") di Piccardi a due convegni italotedeschi sulla questione della razza nel 1939. Il caso inevitabilmente spaccò ancora di più il partito: da un lato Cattani e gli "Amici del Mondo" sostenevano l’impossibilità per un partito antifascista di avere nelle sue file uomini compromessi con il fascismo; dall’altra Ernesto Rossi difese Piccardi e giunse a dare le dimissioni dal Mondo, e la sinistra radicale che vide nel caso una manovra per eliminare la corrente filosocialista. L’ultimo atto del Partito Radicale ormai giunto alla fine della sua avventura si svolse il 24 e 25 marzo del 1962, quando Cattani convocò il Consiglio Nazionale. Le dimissioni del segretario stesso e del gruppo del Mondo tra dissidi politici e polemiche sancirono la fine del Partito Radicale; rimase nel partito solo la giovane corrente di Sinistra Radicale che negli anni seguenti riprenderà il cammino. Così commentò il Mondo: "così un piccolo ma nobile partito, ridotto ormai a un’ etichetta, scompare di fatto dalla scena politica italiana; e i suoi superstiti iscritti, avviati sulla strada del nichilismo morale, del realismo elettoralistico e del disprezzo verso "i gruppi intellettuali", non avranno che da cercare altrove più fruttiferi impegni"48. Nella frantumazione del partito l’ex segretario Leone Cattani, seguito dal gruppo del Mondo, tenterà l’organizzazione di una "Unione radicale degli Amici del Mondo", rimasta senza seguito concreto49, mentre stessa sorte avrà l’iniziativa di Ernesto Rossi che costituì il Movimento Gaetano Salvemini50.

 


La terza forza

Nelle elezioni del 18 aprile del 1948 il gruppo dei piccoli partiti laici (PLI, PRI, PSDI) aveva conseguito complessivamente il 13,4% dei voti, contro il 48,5% della DC e il 31% del fronte democratico popolare (PCIPSI)51: queste cifre rivelavano la debolezza della cosiddetta "Terza Forza". In realtà anche di fronte al successo democristiano che aveva avuto la maggioranza alla Camera e alla buona tenuta delle sinistre, i laici continuavano a rappresentare una discreta parte del corpo elettorale e soprattutto, una tradizione politica di grande prestigio; ma erano divisi, separati più che da sostanziali divergenze ideologiche, dalla difesa di qualche interesse particolare e da molte rivalità di parte. La difficoltà maggiore per i "partitini" era quella di doversi muoversi in una congiuntura internazionale difficile che si ripercuoteva sulla politica italiana ed in queste condizioni era difficile impostare un discorso di alternativa alla DC e al comunismo. Il fronte laico si illudeva così di poter trovare una strada tra il conservatorismo clericaledemocristiani e la sinistra marxista. In realtà, la vaghezza dei loro programmi e la persistente debolezza organizzativa e la sudditanza alle direttive democristiane non rassicurarono una piccola e media borghesia che preferì rimanere fedele alle strade elettorali conosciute. Proprio negli anni fra il ‘51 e il ‘53 lo spostamento di larghe masse piccoloborghesi, specialmente al Sud52 , verso le file monarchiche e missine tolse ai terzaforzisti quel terreno su cui contavano per un rilancio laico del nostro Paese.

Fulcro e convinto assertore della terza forza fu proprio il gruppo laico che si era raccolto intorno a "Il Mondo" che era approdato, come abbiamo visto, al Partito Radicale e apparteneva a quell’area liberaldemocratica molto vicina alla destra del Partito d’Azione. Nel periodo clandestino aveva fondato il nuovo PLI e decisamente antifascista e ispirato alla religione della libertà di Croce, si dimostrava sensibile ai problemi sociali da risolversi col metodo liberale e si ricollegava in un certo senso alle posizioni di Gobetti e di Amendola. Aspirava alla costituzione di uno stato moderno incorrotto ed efficiente e ad una classe dirigente che fosse espressione della migliore borghesia italiana immune da suggestioni dogmatiche e confessionali. Era una linea coraggiosa che non ebbe il tempo e lo spazio di farsi valere. I ceti illuminati della borghesia italiana su cui il nuovo liberalismo contava erano divisi e seguivano in larga misura il Partito d’Azione. Prima ancora che il Nord fosse liberato, dove le istanze di un neo liberalismo avrebbero potuto raccogliere maggiori adesioni, confluì invece nel partito il movimento di Democrazia Liberale, formatosi intorno al Governo Badoglio costituito da vecchie clientele governative e trasformistiche che non avevano conosciuto la Resistenza e che erano generalmente conservatrici e monarchiche. A poco a poco anche dal Nord liberato rientrarono nelle file uomini del passato conservatore e reazionario, esponenti di ceti moderati e ben pensanti a riprova che ,nell’opinione pubblica italiana, il termine liberale aveva un significato conservatore. Perciò il nucleo fondatore del PLI era destinato a scontrarsi con la maggioranza monarchica e conservatrice che al referendum per la repubblica decise di votare per il Re e alle elezioni impose l’alleanza con l’Uomo Qualunque di Giannini, nominando segretario il reazionario Roberto Lucifero. Troppe le differenze di pensiero, di strategia politica. Ai fondatori della sinistra liberale raccolti intorno alla rivista di Panfilo Gentile "Rinascita Liberale"53 non rimaneva che abbandonare il partito. In un convegno tenuto a Roma il gruppo decise di restare unito e di creare una nuova formazione politica a cui fu dato il nome di Movimento Liberale indipendente con sede a Firenze e con presidente un noto liberale della città, Enrico Finzi54. Il movimento non partecipò alle elezioni politiche del 1948, ma si pose l’obiettivo di un moderno liberalismo che indicasse una "terza via", la ricerca di un’intesa con le forze di democrazia laica, con i repubblicani, con i socialdemocratici: si maturò così l’idea della terza forza che Spadolini così ha definito: "...quello schema di intesa tra le forze intermedie, che abbracciava il PLI, il PSDI, il PRI, e tendeva a costruire un cartello laico come cuneo di rottura fra una DC arroccata su una posizione egemonica moderata e la sinistra socialcomunista..."55. Dal 1949 fu Il Mondo a farsi sostenitore della necessità di una terza forza: Mario Paggi dalle colonne del settimanale pannunziano sperava che numerose forze si sarebbero presto staccate dal PCI e sarebbero confluite nei democratici55. L’esito delle elezioni rafforzò nei liberali di sinistra la convinzione che soltanto una terza forza laica avrebbe potuto sbloccare una situazione senza sbocchi. Le forze democratiche e laiche avrebbero dovuto costituire un fronte unico contro lo strapotere della DC, l’invadenza del clero e la minaccia del totalitarismo comunista, se si volevano salvare i valori trasmessi dal Risorgimento. In questi anni pressante e continuo fu l’invito alle forze laiche dei liberali di sinistra in questa direzione: Arrigo Cajumi rivolse un appello ai socialdemocratici di Saragat, altra componente essenziale di questo ipotizzato schieramento, che dovevano diventare coi repubblicani e coi liberali un polo di raccolta e organizzazione politica della classe media progressista: "... I borghesi piccoli e medi sono diffidentissimi verso un partito che non ha rotto i ponti con il "proletariato" e con il dirigismo economico, e vorrebbero un Saragat umanista e laico, che lasci in pace gli affari...rintuzzi la invasione clericale..."56. Il maggior impegno del Movimento Liberale indipendente fu appunto quello di cercare punti di incontro, alleanze elettorali (amministrative del ‘51), accordi, iniziative comuni con gli interlocutori prediletti.

Ma i laici si sottrassero spesso agli inviti dei liberali di sinistra. Nella primavera del’49, per esempio, Movimento Liberale organizzò un convegno sulla terza forza a Firenze, ma i maggiori rappresentanti dei partiti laici, La Malfa e Saragat non vi parteciparono. I partiti erano troppo dipendenti dal centrismo degasperiano. Essi speravano di poter condizionare meglio la DC stando al governo piuttosto che all’opposizione, un’opposizione rischiosa perchè l’elettorato non avrebbe capito. Nè il PCI poteva rappresentare una forza alternativa, impegnato a sostenere la politica staliniana e non a fare un’opposizione costruttiva. All’interno dei minori però però non mancavano segni di dissenso alla linea ufficiale delle segreterie. Nel PSLI le correnti di sinistra premevano per una politica più incisiva e riformistica; nel PRI si rafforzava la corrente di La Malfa contro la governativa ala pacciardiana. Puntando su questi fermenti i liberali di sinistra lanciarono dalle colonne de "il Mondo" ripetuti inviti ai partiti laici di politica comune. Per attuare un disegno del genere si doveva cercare il favore dei ceti medi, le forze più inclini ad appoggiare un movimento d’opinione: "Oggi scriveva Mario Ferrara o potremo dar vita a questa terza forza che esprima la volontà degli uomini liberi o, tra breve, non avremo più nulla da fare se non chiederci a chi servire"57. In difesa della terza forza si aggiunse anche la voce di Salvemini.; la terza forza a suo parere doveva consistere in una confederazione fra i gruppi di centro sinistra e di sinistra che si impegnassero ad un’azione comune " per la conquista di quella mezza dozzina di riforme necessaria al paese e di cui non si occupano ne clericali ne’ comunisti...Questa e’ la ragione per cui in Italia c’è posto per una terza forza, cioè per uomini che non vendano nè a destra nè a sinistra il loro diritto di progenitura per un piatto di lenticchie "58. Il Paese non era politicamente maturo per avere un modello occidentale di forze liberali e i piccoli partiti non avevano il coraggio di avventurarsi in strappi clamorosi. Nonostante le prospettive non fossero proprio rosee, il gruppo tentò ugualmente di offrire al Paese un’alternativa. " Il Mondo" fu infatti in quegli anni la sola voce libera e democratica di opposizione al governoregime DC. La dialettica democratica era in pericolo a causa, secondo " Il Mondo", della natura stessa della DC: "La DC notava Averroè pseudonimo di Panfilo Gentile come partito sincretistico finisce per avocare a sè le funzioni specifiche dei singoli partiti debilitando la dialettica democratica"59. La spregiudicatezza del settimanale di Pannunzio l’invito della sinistra liberale ad un’azione comune, ebbero comunque una funzione di stimolo sui partiti democratici, contribuirono a infrangere molti tabù e a preparare il terreno per un’evoluzione politica e culturale del Paese. Era una voce sgradita soprattutto per la DC, ne è un’esempio il famoso attacco di Scelba a Venezia nel ‘49 contro quel mondo liberale e laico da lui definito culturame. A questo attacco reagì Il Mondo: " ... Il partito vuole che nessuna altra forza politica sopravviva alla DC stessa. Liberali e laici sono condannati a perire... i democristiani non si accontentano di avere la maggioranza, vogliono l’unanimità. Non basta loro di governare? dimenticano un fatto importante: il 18 aprile vinsero non perchè gli undici milioni di votanti fossero tutti democristiani, ma per " La paura " del Paese. Scelba e Dossetti credono forse che gli italiani abbiano votato per la Rerum Novarum? che dobbiamo concluderne? l’anticlericalismo era finito in Italia, ma certi oratori sembrano uno sforzo della natura per farlo risorgere. Purtroppo in Italia cattolici si nasce e anticlericali si diventa."60. Il problema della terza forza fu lungamente dibattuto sul Mondo e fu messo definitivamente a fuoco grazie a una polemica fra Panfilo Gentile e Don Luigi Sturzo. Quest’ultimo aveva scritto un’articolo sulla "Nuova Antologia"61 criticando l’istanza laicista. A questa accusa rispose Gentile nel diario politico dell’8 ottobre 1949 che reagì confermando la sua fiducia nella bontà dell’istanza laica: il pensiero democristiano era inconsistente, un miscuglio indigesto62. Sturzo rispose con un articolo sul Mondo il 29 ottobre di quell’anno63: la tesi del fondatore del partito popolare era che il laicismo in Italia in quel particolare momento storico non era in grado di coagularsi in un’autonoma e ben definita forza politica, poichè non si trattava di un ideale positivo, capace di raccogliere largo consenso. La lotta era per Sturzo ormai fra la concezione cristiana e comunista, ai laicisti mancava un concreto obiettivo economico e politico. Tuttavia il dibattito sulla terza forza si andava spegnendo, il Piano Marshall stava ricostruendo l’economia, il centrismo degasperiano appariva ben consolidato e per il momento considerato fallito l’obiettivo della terza forza, il Movimento liberale indipendente doveva scegliere o restare nell’area de " Il Mondo" o rispondere ai richiami del PLI che non aveva più come segretario Lucifero, ma Villabruna, l’uomo idoneo a riprendere contatti con la sinistra transfuga. Scriveva Mario Ferrara: "...i dispersi della borghesia liberale e riformatrice...liberali e liberisti...i militanti di questo partito potrebbero dare il segnale della riscossa che da troppo tempo si attende"64. Dopo molti tentennamenti la sinistra PLI ritorno’ nel partito nel 1951 e riprese subito il discorso sulla terza forza. Mario Ferrara in un suo articolo aveva incalzato che era tempo di trovare un "matto" ai liberali: "...Senza questo matto, i poveri liberali non riusciranno più ad essere liberali..."65. Ma questo atteso ritorno non aveva portato mutamenti sensibili alla struttura e all’indirizzo del partito. Il laicismo si stemperava inevitabilmente nel centrismo degasperiano. I risultati delle amministrative del ‘52 erano eloquenti: la politica del quadripartito aveva scontentato tutti, la linea Pella consistente nella stabilità monetaria e nel pareggio del bilancio aveva fatto aumentare i disoccupati. La DC era passata dal 48% al 35% e con queste argomentazioni propose agli alleati di correggere la proporzionale attribuendo un premio di maggioranza alla lista di partiti che avesse ottenuto il 50% + 1 dei voti: il premio consentiva ai partiti apparentati di ottenere 380 deputati. Era questa la vituperata " Legge truffa " che venne discussa anche su " Il Mondo": Salvemini era favorevole solo a condizioni programmatiche molto precise; Parri, invece, insieme a Calamandrei e ad altri formò liste di Unità popolare in netta opposizione alla legge. L’alternativa laica sfumava quindi nei giochi elettorali di partito: "...Scalfari fissa nella legge maggioritaria del 1953 il punto di rottura delle speranze terzaforziste anche per l’approvazione della legge truffa da parte di molti liberali di sinistra..."66. La campagna elettorale fu molto accesa e il quorum non scattò per cinquantasettemila voti, la DC pur recuperando lievemente non fruì del famoso premio. Le ali estreme ne uscirono rafforzate e i partiti minori registrarono una solenne disfatta. I veri sconfitti erano i partiti laici e " Il Mondo" lo riconosceva onestamente: " ... la legge elettorale si è rivoltata contro i partiti laici non tanto perchè non ha funzionato, ma perchè è servita a radicalizzare i termini della lotta politica. l’elettorato ha considerato il voto pro o contro il partito di maggioranza. La legge era dunque sbagliata? può darsi... il problema era politico non matematico ... la riforma era soltanto un’elemento per trattenere il partito di maggioranza ... lo strumento non ha funzionato. Liberali, socialdemocratici, repubblicani e terzaforzisti costituiscono sempre una massa di tre milioni di voti. sono voti sfortunati e umiliati, ma è ancora qui che la democrazia italiana può trovare la sua unica garanzia. Non v’è da farsi illusioni. Al dì fuori di questi confini vi sono molte cose, i grandi partiti di massa, i miti, la forza del fanatismo ideologico e dei richiami sentimentali. Ma il giorno che si dovessero ammainare definitivamente quelle bandiere sarebbe finita per tutti nel nostro paese, non soltanto per i laici. E certo non è ancora venuto questo momento. ... Bisogna guardare senza debolezze pigrizie, egoismi di botteghe al futuro. Bisogna liberarsi per sempre di tutti i qualunquisti travestiti da liberali... a patto di non disperare, può cominciare davvero dal 7 giugno una vita nuova."67. Viceversa ci si rallegrava che il premio non fosse scattato: " ... lo stellone d’Italia ha fatto sì che la legge elettorale non scattasse... la DC non avra’ la maggioranza assoluta dei seggi... i piccoli partiti, i parenti poveri, sono i soli in grado di assicurarglieli almeno sino a che non maturino i tempi per una risoluta svolta a destra o a sinistra "68 . La DC per anni cercherà proprio di evitare una scelta e per non andare a sinistra accetterà spesso l’appoggio delle destre. Dopo la caduta di De Gasperi, la strada politica per risolvere la serie di spinose questioni irrisolte fu indicata dai liberali del Mondo nella prospettiva politica offerta dalla "terza forza" nella quale si cominciò nel 195354 ad includere anche il PSI, considerato fondamentale come alternativa alla DC. La Malfa era però scettico poichè vedeva nel PSI la sudditanza nei confronti del PCI, e considerava il Mondo come riferimento ideologico per la nuova classe dirigente ed invitava i segretari delle tre forze laiche a misurarsi sulla proposta di un unico fronte laico69. I segretari Villabruna, Reale e Saragat risposero con intenzioni tanto positive quanto astratte. Intenzioni che delusero lo stesso La Malfa che definì le risposte come "un pugno di mosche" concludendo che era stato "tolto vigore e significato alle proposte" 70. Spadolini commenta: "Si inizia la seconda fase della terza forza, quella di Ugo la Malfa: terzaforzismo come forza riformatrice e democratica, non socialista. Nessuna confusione con il socialismo, ma anzi funzione propulsiva del suo riscatto autonomistico...riunire i repubblicani, i democristiani senza etichette, i liberali di sinistra..."71. La Malfa quindi pose il problema di costruire un polo di matrice liberale ispirato a un modello di liberalismo democratico anglosassone e con un seguito di massa in cui gli organismi che dovevano farne parte erano i sindacati della UIL, le associazioni universitarie UGI, e il mondo degli intellettuali: "Parlava di un "movimento di sinistra democratica" fondato sulle associazioni che dovevano ruotare attorno al nucleo formato dalla federazione dei tre partiti (PSDI, PRI, PLI)"72. Ma l’idea di terza forza era interpretata in diverso modo da Unità popolare di Parri che voleva unire sul piano del’opposizione quello stesso settore e quegli ideali che La Malfa intendeva aggregare per fare opera riformatrice ma di governo. Oltre alla difficoltà di trovare spazio politico, l’evolversi di questo progetto veniva ostacolato anche dalla divisione fra terzaforzisti, filogovernativi e filoppositori. Tutti i tentativi quindi di creare un soggetto politico alternativo finiranno invano a causa di personalismi e da influenza ideologiche molto dure a scomparire.

I liberali del Mondo saranno infatti molto presto costretti a scegliere all’interno del proprio partito: l’avvento di Malagodi alla segreteria e lo spostamento a destra del partito li costringerà ad abbandonare il sogno della terza forza: sarà il nascituro Partito Radicale a proseguire il cammino verso un’intesa con i gruppi di democrazia laica e socialista. Il Mondo e il suo gruppo non riuscì a formare, con un’intesa fra i partiti laici, la forza politica che avrebbe potuto realizzare questi progetti. Alla cultura laica mancò quindi la capacità di formare una corrispondente forza politica alternativa, ma in compenso riuscì ad elaborare progetti che sarebbero stati propri del centrosinistra.

 


Alternativa e centrosinistra

Negli anni fra il 1956 e il 1962 i radicali si impegnarono attraverso i convegni sul piano culturale per dare nuovo vigore e significato ad un dibattito politico che sembrava ignorare i problemi concreti del paese e per disegnare un scenario politico migliore. Lo strumento per realizzare un nuovo corso politico si identificava in un nuovo schieramento politico quale alternativa alla DC e al PCI. Il leit motiv del dibattito politico di quegli anni fu la formula dell’alternativa e in seguito quella del centrosinistra: "...la formula rappresentava qualcosa di diverso e di più di un semplice accordo di coalizione: era la risposta di alcune forze politiche a profondi mutamenti socioeconomici nel paese e il modo in cui una parte della sinistra pensava di fornire una soluzione ai problemi della società in trasformazione apparsa con sempre maggior veemenza intorno agli anni ‘60"73. Lottando sui fronti cattolici e comunisti i radicali non cessarono mai di invitare il PRI e il PSDI ad abbandonare il quadripartito e unirsi al PSI per un’azione comune di sinistra, escludendo il poco liberale partito di Togliatti: "Il centrosinistra non intendeva soltanto essere l’alleanza di democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, ma pretendeva di rappresentare un " nuovo corso"..."74

Già nei primi mesi del 1957 il quadripartito stava cadendo, il centrismo, bersagliato dalle battaglie radicali, era ormai alla fine e la decisione dei repubblicani prima e di Saragat poi di uscire dal governo Segni a maggio di quell’anno fu accolta con soddisfazione da "Il Mondo" che vedeva nella fine del quadripartito il momento propizio per arrivare ad’ un’intesa fra i partiti laici: "Il centrismo è finito...Si apre nella nostra vita politica un’altra fase e per la prima volta da molti anni le forze democratiche laiche e rinnovatrici vi entrano avendo vinto una battaglia di grande importanza...l’immobilismo sembra finito"75. A Segni successe un monocolore DC presieduto da Zoli con l’appoggio della destra, ma non fu che un governo di transizione fino alle imminenti elezioni della primavera del ‘58. I radicali intanto si preparavano ad un’alternativa di governo, ad un’alleanza tra partiti laici e socialisti e condussero la campagna elettorale mantenendo una priorità: "L’esigenza assolutamente primaria di fermare l’assalto democristiano allo stato"76. La battaglia dei radicali era volta a combattere lo strapotere della DC nella vita politica, negli enti pubblici, nelle banche. questo era possibile con un’interlocutore importante e per questo Leone Cattani si rivolgeva i socialisti proprio per formare uno schieramento alternativo di governo, in grado di contrastare la clericalizzazione dello stato77: "...si facevano sempre più insistenti nel Mondo, le voci di coloro che chiedevano la costituzione di una grande sinistra, di una "seconda forza" di opposizione..."78. I radicali temevano che la DC instaurasse un regime per conto della Chiesa che scendeva sempre più spesso nell’agone politico con pesanti interventi di chiara matrice politica sull’Osservatore Romano. L’arroganza del potere si manifestava in vari aspetti della vita pubblica; un esempio fu la risposta del presidente del consiglio, Zoli, alla di richiesta di La Malfa e Carandini rivolta ad ottenere che il tempo della propaganda elettorale radiotelevisiva fosse diviso equamente fra tutte le liste partecipanti alle elezioni. Zoli rispose che non poteva aderire a tale richiesta perchè da anni il PCI era aiutato da Radio Praga. il Mondo commentava con preoccupazione perchè questo episodio equivaleva dire: "Noi siamo i più forti; il mio partito ha in mano il potere, non dobbiamo dare spiegazioni a nessuno"79. Ma l’intento dei radicali non era solo rivolto a contrastare la DC ma anche al PCI. Il partito di Togliatti era sempre più incline a un modello di tipo sovietico con il soffocamento di qualunque dissidenza interna a cominciare dagli intellettuali come Calvino. Il Mondo commentava: "E’ ormai una forza di opposizione inutile per tutti fuorchè per il governo: fin quando una larga quantità di voti è raccolta da quella parte, i democristiani non subiscono nessun danno"80. Il settimanale visti questi presupposti invitava a formare un polo di sinistra democratica. Ed era compito del PSI, resosi autonomo dopo i fatti del ‘56, fungere da centro di questo polo. Il partito di Nenni stava dando prove concrete di questo distacco dal PCI, votando per esempio a favore dell’EURATOM e astenendosi sulla CEE, e il settimanale pannunziano non poteva che rallegrarsene: "I democristiani debbono mettersi l’animo in pace, il Partito Socialista esiste come una realtà autonoma ed operante. la discussione con questo partito è aperta"81. Nell’approssimarsi delle elezioni il PSI si andava rafforzando e acquistando consensi: la confluenza nelle sue file del transfuga Giolitti e del movimento di Unità popolare di Codignola non faceva che confermare questa crescita: "il problema commentava La Malfa è di lavorare sul terreno ideologico e quindi politico, per dare coesione a una grande forza capace di inserirsi fra il trionfante mondo cattolico da una parte e il mondo comunista dall’altra"82. La volontà di alleanza con il PSI era frenata dai sospetti suscitati negli ambienti radicali per la tendenza socialista a dialogare con i cattolici: "c’è il timore commentava De Caprariis che l’alleanza dei cattolici e dei socialisti non debba riuscire ad un compromesso socialconfessionalcorporativo..."83. Il Mondo invitava quindi i socialisti a liberarsi dal problema di collaborare o meno con i cattolici, ma di elaborare una precisa linea politica. Ma i tempi non erano ancora maturi per una nuova stagione politica che inizierà pochi anni dopo. La decisione alla fine del ‘57 di allearsi con i repubblicani per le elezioni del’58 e la successiva disfatta elettorale delusero i radicali: Il PCI mantennero la stessa percentuale di voto del’53, la DC passò dal 40 al 42%, i liberali, i socialdemocratici e i socialisti riuscirono ad ottenere un risultato lusinghiero. La sconfitta più vistosa toccò all’alleanza radicalrepubblicana che ebbe meno suffragi di quelli ottenuti dal solo PRI nelle precedenti elezioni. Con un’analisi più meditata il Mondo rilevò che l’elettorato si stava spostando sempre più a sinistra84 : infatti mentre nel ‘48 la percentuale dei voti ottenuti dai partiti di sinistra, compresi i repubblicani e i socialdemocratici, era stata del 40,9%, nel ‘53 era salita ancora e nel ‘58 aveva raggiunto il 43,5%. Questa lenta ma costante crescita della sinistra manteneva intatto l’ottimismo dei radicali che era rinfrancato dal fatto che i socialisti, che per il PR era la componente essenziale per il rinnovamento del paese, avevano aumentato i loro consensi. Per il settimanale doveva continuare l’atteggiamento di netta opposizione dei partiti di democrazia laica e socialista: perciò incitava i repubblicani e i socialdemocratici a rifiutare l’invito del presidente del consiglio Fanfani a collaborare ad un falso governo di centrosinistra e a formare una "valida e ampia alternativa di sinistra democratica, laica e socialista"85. Tale rimase la posizione di radicali anche quando Fanfani riuscì a formare un governo che chiamò di centrosinistra con i socialdemocratici e con l’astensione dei repubblicani e dei monarchici. Il Mondo espresse la sua contrarietà: "Comunque su rimescolino le carte in Italia esistono soltanto tre maggioranze effettive: di centro, di destra, e di sinistra". Mentre le prime due erano impraticabili, la terza, cioè l’incontro con i socialisti era: "l’unica soluzione vera dei problemi del nostro paese"86. La caduta del governo Fanfani sei mesi dopo confermarono i timori dei radicali di una politica ormai stanca delle solite formule, e rinvigorì il progetto di collaborare con il PSI che ormai si presentava come un partito costituzionale e incline a una unione con la sinistra laica nell’elaborazione di un programma comune. Il Congresso del PSI tenutosi a Napoli confermò questa nuova tendenza con la svolta di Nenni che abbandonò la formula dell’apertura a sinistra per quella dell’alternativa socialista. La decisione di Nenni si aggiunse al rifiuto dei repubblicani e socialdemocratici di Saragat (ormai privi dell’ala sinistra che, uscita dal partito, aveva fondato il MUIS, destinato a confluire nel PSI) di partecipare a qualsiasi governo con la DC all’infuori del centrosinistra. Alla DC venne quindi a mancare quella copertura laica che, attraverso la formula centrista, le aveva permesso di governare e all’interno del partito di maggioranza vennero a galla contrasti fra le diverse correnti: la sinistra era per un’apertura ai socialisti, la destra di Andreotti preferiva l’alleanza con i partiti di destra, mentre i dorotei puntavano sull’immobilismo per conservare il potere. La DC fu così costretta a ricorrere al monocolore Segni sostenuto dai liberali, monarchici e missini. Il Mondo commentò che era l’eterno monocolore87 e rilevò che la sinistra italiana aveva davanti a sè la sola via di un’opposizione democratica, alternativa. Fra il primo congresso radicale del febbraio 1959 e il secondo congresso nel maggio 1961, i radicali guardarono con maggiore interesse il gioco politico nel quale inserirsi. In quegli anni infatti il Partito radicale cambiò linea politica passando dalla formula dell’alternativa a quella del centrosinistra. Non fu un cambiamento di rotta come alcuni hanno pensato88. Si trattò invece di un passaggio graduale da una posizione di assoluta intransigenza ideologica ad una più realistica visione della situazione politica. I radicali, di fronte alle mutate condizioni politiche come la crescente disponibilità del PSI a collaborare con la DC, si volsero ad obiettivi più immediati pur restando fedeli ad una strategia di fondo. Il primo punto perseguito dai radicali era quello di costringere la DC, attraverso un fronte unitario dei partiti di democrazia laica e socialista a scegliere fra gli schieramenti dei partiti una linea politica: "Il prezzo che la DC deve decidersi a pagare se vuole evitare il fronte popolare e la fine della democrazia italiana scriveva Adolfo Battaglia è il riconoscimento della sufficienza democratica del PSI, è l’incontro programmatico con tutte le forze della sinistra democraticamente qualificate: è in altri termini una autentica politica di centrosinistra". La vecchia tesi di alternativa di governo lascerà il posto a un’alternativa di linea politica che d’ora in avanti sarà sostenuta dai radicali: "Che cosa significa infatti continuava Battaglia alternativa democratica? Significa esplicitamente, alternativa di linea politica, alternativa di potere reale...cioè trasferimento del potere reale di direzione dello stato da certe forze, che oggi sono quelle clericoconservatrici...ad altre forze, che sono quelle della sinistra democratica laica socialista e cattolica"89. La lunga battaglia per il centrosinistra fu condotta con instancabile tenacia da il Mondo e dai radicali: la politica di centrosinistra non doveva essere una semplice formula di maggioranza o di governo, ma l’avvio della soluzione dei problemi politica irrisolti e doveva rappresentare lo sbocco obbligato della vita politica. La partecipazione indispensabile del partito socialista allo sviluppo democratico del Paese era subordinata a una frontiera tracciata alla sua sinistra. I primi segni di distensione tra Kruscev e Eisenhower non risolvevano secondo il Mondo il problema fondamentale, cioè la fedeltà del Pci90 allo statoguida, da cui derivavano i problemi di libertà, di democrazia e di autonomia che costituivano " da più di trent’anni il nocciolo di tutte le divergenze fra socialisti e comunisti"91. Verso la fine del ‘49 e i primi mesi del ‘60 l’apertura a sinistra sembrava imminente; secondo La Malfa si era giunti alla fase decisiva: "Si trattava di sostituire a una formula e a un programma politico, controllati strettamente da forze moderate, interne ed esterne alla DC, una formula e un programma politico che fossero controllati dalle forze della sinistra democratica, laica e cattolica..."92. Il Mondo tuttavia non ignorava la resistenze delle forze contrarie all’apertura a sinistra che avrebbe potuti spaccare lo schieramento politico: "c’è obiettivamente una coalizione clericofascista nel paese..."93. I timori del settimanale pannunziano furono confermati dalle dimissioni del governo Moro che stava faticosamente lavorando per un’apertura a sinistra. Nella crisi che ne seguì i partiti laici e i socialisti costituirono un fronte compatto e deciso ad accettare solo la soluzione di un governo di centrosinistra. Il Mondo soddisfatto commentava: "Per la prima volta in Italia si ha una coalizione abbastanza compatta che comprende non soltanto i radicali, i repubblicani, i socialdemocratici e i socialisti ma anche una larga parte della DC..."94. Questa unità dei partiti laici costrinse la DC a scegliere se allearsi con le destre o con le sinistre. Trattative formali furono aperte tra i socialisti e i democristiani, ma Segni, che aveva avuto l’incarico da Gronchi, che tentò una simile operazione trovò di fronte l’opposizione netta di tutti i gruppi conservatori del paese, dalla Confindustria alle Acli, dai coltivatori diretti alla Chiesa. La coalizione definita "clericofascista" dal Mondo riuscì a imporre Fernando Tambroni come presidente del consiglio che si appoggiò ai voti delle destre95. Durante i tragici fatti di Luglio, seguiti alla rivolta della popolazione genovese contro il congresso del MSI, quando, come il Mondo aveva temuto, il paese rischiò di spaccarsi in due, i radicali parteciparono alle manifestazioni popolari antifasciste e agli scontri con le forze dell’ordine. "Quando sono in gioco i valori dell’antifascismo, la difesa della carta costituzionale, si ricostituisce inevitabilmente l’unità di tutte le forze che non vogliono il fascismo..." 96. Caduto Tambroni i radicali aderirono con riluttanza al governo delle convergenze parallele, ideato da Moro e presieduto da Fanfani. Il governo, sostenuto dai voti dei repubblicani, socialdemocratici e liberali con l’astensione dei socialisti, si presentava come un governo di emergenza col compito di ristabilire l’ordine democratico spezzato dalla triste vicenda tambroniana. Per i radicali questa situazione non rappresentava un momento di scelta di linea politica del partito di maggioranza come essi auspicavano, ma invece un’occasione, un’ancora di salvezza per la grave crisi della DC. I radicali pur con queste riserve si impegnarono a non attaccare il governo fino alle amministrative del novembre del ‘60. In realtà il governo delle convergenze parallele rispondeva perfettamente al disegno di Moro di prendere tempo per poter sviluppare la sua azione mediatrice in attesa di condizioni più favorevoli, soprattutto nell’ambito della chiesa. Dalle convergenze parallele al primo vero governo di centrosinistra, costituito da Fanfani nell’ottobre del ‘62, il Partito Radicale insisterà con convinzione in questa direzione. A conferma di ciò, per le elezioni amministrative radicali e socialisti conclusero un’alleanza elettorale: "Socialisti e radicali si sono trovati d’accordo nel proposito di proseguire la lotta per una svolta a sinistra della politica italiana...hanno ritenuto che la prossima consultazione elettorale sarà il banco di prova di questa politica...Essa dovrà superare l’attuale situazione transitoria di emergenza, della quale il governo Fanfani è espressione..."97. Il Mondo confermava questa alleanza: "Se oggi i radicali in piena autonomia si schierano accanto al partito socialista nella competizione amministrativa...vuol dire che essi giudicano la situazione politica matura per una nuova vigorosa iniziativa di rottura e di trasformazione"98. I risultati delle amministrative registrarono, rispetto alle politiche del ‘58, un notevole progresso del PCI, una consistente perdita della DC, e un lieve miglioramento del PSI. I radicali ottennero una cinquantina di seggi nei consigli comunali e provinciali di cui tre a Roma (Cederna, Piccardi e Foà) e quattro a Milano (Scalfari, Bodrero, Turone e Vittorini). La svolta politica che i radicali chiedevano non si verificava. Le convergenze parallele, passata l’emergenza, non avevano più senso e l’irritazione verso l’atteggiamento dilatorio di Moro cresceva sempre di più. In questo clima di nervosa attesa emergevano all’interno del partito alcune divergenze. La maggioranza che comprendeva il gruppo del Mondo vedeva nel centrosinistra l’unica via percorribile mentre Ernesto Rossi era contrario a una soluzione del genere poichè con il suo intransigente anticlericalismo non concepiva un’alleanza di governo proprio con l’espressione politica del potere clericale. L’opposizione più decisa alla linea prevalente del partito proveniva dai giovani che, divisi in due gruppi, occupavano le due ali estreme dl partito. A destra i gruppo Ferrrara, Rodotà, Jannuzzi auspicava la formazione di un fronte con repubblicani e socialdemocratici; a Sinistra il gruppo Pannella, Spadaccia, Teodori che sosteneva che il Partito Radicale doveva perseguire una politica di alternativa alla DC in comune non solo con la sinistra democratica, ma anche con quella comunista. Queste tre tendenze si confrontarono al secondo congresso del partito, svoltosi a Roma, il 26 maggio del 1961: la linea di centrosinistra, duramente attaccata dalle due ali minoritarie, fu confermata sul Mondo da Piccardi che rispose così alle critiche: "Lo strumento concreto di una politica di sinistra democratica è stata ed è ancora oggi quella linea di azione che ha preso ora il nome di alternativa, ora quello di apertura a sinistra: due formule che molti si ostinano a considerare contrapposte, mentre sono e sono sempre state, due facce dello stesso processo...in questa situazione non esiste un’alternativa nel potere che ne possa escludere la DC: vi è solo una politica di alternativa a quella del partito di maggioranza relativa. Politica di alternativa...come può costituire la piattaforma di una formula di collaborazione tra sinistra democratica e DC"99. Il dissenso fra le varie correnti confermato dal Congresso, si accentuava riguardo il rapporto con il PSI: Scalfari e Piccardi sostenevano che l’unica via per i radicali era un’alleanza con il PSI vista la recente esperienza delle amministrative. Cattani invece voleva che il partito fosse libero da impegni elettorali visto che la sua linea doveva rimanere quella dell’alleanza di tutte le forze della sinistra democratica. Su una posizione a parte stava Ernesto Rossi che non credeva in un’evoluzione democratica della DC e diffidava del PSI. In realtà col mutare della situazione interna e internazionale, il Partito Radicale, avviandosi a passare dalla strategia delle grandi riforme alla tattica delle scelte immediate di partito, stava esaurendo la sua funzione. Nell’autunno del 1961 il processo verso l’incontro fra socialisti e democristiani sembrava avviato a soluzione. In questo quadro gli eventi internazionali come la distensione fra Kruscev e Kennedy e la "prudente simpatia" espressa dal presidente americano per un’apertura a sinistra in Italia100, sembravano aiutare lo sviluppo politico. Nel luglio dello stesso anno, Giovanni XXIII, con l’enciclica Mater et Magistra, invitava i cattolici a operare per la giustizia sociale scegliendo le alleanze più idonee a tale fine. Avvicinandosi quindi l’obiettivo più immediato della loro azione politica, i radicali rischiavano di perdere lo slancio che li aveva sorretti fin dalla loro comparsa sulla scena politica. Sullo sfondo di tutto ciò sopravvenne il caso Piccardi a porre fine al partito radicale nella sua forma originale. Un Taccuino del Mondo spiegò le ragioni della scissione:" Da alcuni mesi il Partito Radicale era in crisi. Se finora avevamo preferito non toccare questo argomento, per noi così doloroso, era perchè conservavamo ancora la speranza che in qualche modo si potesse guarire il male che aveva colpito un partito...le cose purtroppo sono andate diversamente e la crisi è finita nella rottura. Era questa ormai la conclusione naturale. Un caso penoso e delicato, che a torto veniva definito "personale", mentre era un caso politico e insieme morale ha travagliato a lungo la vita del partito. Una parte dei soci si era schierata intorno ad un uomo pubblicamente discusso perchè gli fosse data, per il suo passato, una solidarietà che un’altra parte dei soci obiettivamente non avrebbero potuto concedere...questi soci dimostravano di essere disposti a distruggere il partito pur di ottenere qualcosa che in realtà doveva lasciare inappagate lo loro coscienze. Giacchè le assoluzioni non si ottengono a colpi di maggioranza, nè tanto meno si chiedono sotto la minaccia di rotture e di rappresaglie"101. Concluso il Congresso di Napoli della DC nel gennaio di quell’anno col successo delle tesi di Aldo Moro102, cadeva la formula delle "convergenze" per dar luogo, nel marzo, al primo esperimento di centrosinistra. Fanfani succeduto a se stesso, formava nel marzo 1962 (definito dal Mondo "l’anno della nuova frontiera") un governo con socialdemocratici e repubblicani su un programma concordato con i socialisti che, pur con la formula dell’astensione, l’appoggiavano dall’esterno, impegnandosi a votare a favore dei singoli provvedimenti103. Il governo Fanfani durò fino alle elezioni politiche del 1963, e durante tale periodo furono realizzate le riforme più significative del centrosinistra e indicate costantemente dai radicali e dal gruppo del Mondo: la nazionalizzazione dell’industria elettrica, l’istituzione della scuola media unica e obbligatoria fino ai quattordici, l’imposta cedolare sulle azioni104. Nonostante questo promettente avvio la svolta che i radicali si auspicavano non avvenne. L’ingresso socialista al governo veniva ostacolato non solo dalla sinistra del partito, ma soprattutto dall’opposizione degli ambienti conservatori e moderati della DC. Un primo ostacolo al centrosinistra si ebbe con l’elezione nel maggio 1962 di Segni a presidente della repubblica, imposto da Moro da contrappeso alla nuova politica, preferito al candidato delle sinistre Saragat105. Il centrosinistra non riusciva a decollare ma anzi metteva in crisi i partiti che ne facevano parte come nell’elezioni del ‘63 dove sia il PSI che la DC perdevano a danno del PCI. Nel dicembre 1963 si ebbe finalmente il primo centrosinistra organico con il governo MoroNenni106. Il Mondo parlò di " avvenimento storico poichè per la prima volta nella storia unitaria del nostro paese" il PSI assumeva "direttamente e coraggiosamente la direzione della cosa pubblica, mettendo da parte le tentazioni demagogiche ed il complesso dell’opposizione"107. Dal ‘62 al ‘64 il Mondo incitò e criticò costruttivamente l’azione del centrosinistra. Nei punti del programma figuravano infatti riforme invocate a lungo dal settimanale di Pannunzio: la riforma urbanistica, fiscale, della scuola, l’attuazione delle regioni, la legge antitrust. La maggioranza di centrosinistra si trovò presto a fare i conti con scissioni nel mondo socialista, (come quella del 1964 dell’ala sinistra dei socialisti di Basso che formeranno il PSIUP) e critiche dagli ambienti conservatori e confindustriali. Il 21 marzo del 1964 Il Mondo con il suo ultimo convegno "La politica del centrosinistra" tentò un primo bilancio dell’esperienza. Anche se il bilancio non era confortante all’infuori del centrosinistra, gli Amici del Mondo non vedevano un’altra possibile alternativa di potere. Alla fine di giugno il governo entrò in crisi per un’ennesima inadempienza degli accordi circa i finanziamenti alla scuole private. La DC ormai saldamente in mano al gruppo doroteo non era più in grado di garantire una seria politica riformatrice. Il secondo governo Moro rappresentò una vera e propria inversione di tendenza, ma l’elezione di Saragat alla presidenza della repubblica alla fine del 1964 aveva fatto rinascere le speranze di una ripresa della politica riformistica: "Non c’è dubbio scriveva il Mondo che l’esigenza di un’immediata ripresa politica sia nella cose stesse...Procedere alla verifica del centrosinistra altro non può voler dire se non riconfermare il rilancio del programma e di tutto il programma di governo"108.

Il 1965 fu l’anno peggiore del centrosinistra109: scriveva il Mondo: "La DC insabbia, rinvia..."110, e il settimanale sottolineava con delusione il fatto che tale progetto fosse finito nell’immobilismo: "La lentezza è diventata un metodo, un vizio, un’esasperazione. L’unica decisione che sembra possibile prendere...è sempre quella di non prendere decisioni, di rimandare, di consultarsi ancora. E’ il significato stesso del centrosinistra a perdere in questa lenta nebbia del non fare, la sua consistenza e la sua fisionomia"111. Il Mondo rimanendo fedele alla sua ispirazione originaria assisteva alla progressiva disintegrazione di una linea politica alla degenerazione della vita politica, alla lotta per posti di prestigio, alle manovre di sottogoverno, agli scandali come quello dell’INPS che rendevano nullo ogni sforzo riformistico: "Lo scandalo vero in Italia è rappresentato dall’inspiegabile e colpevole inerzia della classe politica e di un governo di fronte alla scoperta sempre più frequente di situazioni che denunciano il grave stato in cui versano tutte le branche della pubblica amministrazione...Ogni futura possibilità di mandare avanti una politica di riforme...è ormai condizionata dalla soluzione del problema della correttezza della vita pubblica..."112. Il settimanale e i radicali speravano ancora nel rilancio del centrosinistra anche se la situazione non era più propizia: "Manca è chiaro la volontà politica, la volontà di fare: Manca lo spirito di iniziativa, lo slancio, il coraggio. Al vertice è tutto fermo..."113. Nel febbraio del 1966 si costituì il terzo governo Moro di centrosinistra. Il giudizio del Mondo era ormai negativo: il centrosinistra era considerato "come la formula della stabilità e della moderazione sociale". Il settimanale con amarezza constatava che il connubio cattolicisocialisti era destinato a durare in una situazione bloccata che escludeva le minoranze dalla vita politica, quelle minoranze che avevano contribuito e sperato nel progetto riformistico del centrosinistra: "Come è sempre stato il loro destino concludeva toccherà ancora alle minoranze indipendenti ritrovare la propria ineliminabile ragion d’essere, riesaminare le proprie ideologie e i propri compiti e ricominciare da capo"114. Il tanto desiderato programma della pianificazione si disfaceva nel vuoto di una politica debole: il settimanale scriveva che mentre i politici declamavano stancamente le loro formule, i grandi gruppi oligopolistici andavano per la loro strada "ignorando le pallide dichiarazioni di principio del potere politico, del centrosinistra...le grandi decisioni in materia economica vengono prese fuori dal piano. Ma il fatto è che il piano ancora non esiste"115. Parallelamente al fallimento del centrosinistra si concluse anche la vicenda del settimanale che in tale progetto aveva creduto e aveva rappresentato una tappa fondamentale per i radicali nella battaglia contro il centrismo e il frontismo che il giornale aveva intrapreso sin dall’inizio. "La maggiore ambizione politica ha scritto Tamburrano era la sfida democratica al comunismo. Rompendo l’alleanza tra socialisti e comunisti e isolando il PCI all’opposizione la classe dirigente e socialdemocratica era certa che sarebbe diminuito il peso elettorale del partito comunista. se si fa un bilancio...la sfida appare vinta dal PCI...il PSI che avrebbe dovuto contestare al PCI la guida del movimento operaio si è indebolito in modo serio...Il centrosinistra in definitiva, non ha risolto. anzi ha reso più acuto il problema del PCI."116. Anche i radicali si fecero coinvolgere in questo errore di valutazione continuando a mantenere un atteggiamento di netta contrapposizione al comunismo: "proprio negli anni in cui sottolinea Tamburrano il PCI punta sempre meno sulle modificazione del rapporto di forza tra Usa e Urss... e sempre più sulla sua capacità...di legarsi a strati crescenti della popolazione"117.


CR Critica Radicale - 16/03/13 - E-mail: info@eclettico.org