Massimo  Teodori:

Il Pr da. soggetto politico a manipolo di partigiani fedeli al capo

"Non coalizzabile", dicono i politologi di Marco Pannella e inguaribilmente "single" lo definisce il Foglio. Così è finito che la mancanza di accordo tra il centro-destra di Silvio Berlusconi e i radicali di Marco Pannella-Emma Bonino è stata una sciagura per entrambi. Perché rende più agevole la democristianizzazione di Forza indebolendone gli anticorpi libertari e perché ricaccia Pannella nell'isolamento sterilizzandone la carica innovatrice che ha decisamente contribuito a modernizzare il paese. Da parte mia non credo che la ragione profonda della rottura sia stata la pregiudiziale sul sistema uninominale. Il motivo è troppo marginale anche per il disegno istituzionale e troppo ipotetico come impegno dei futuri eligendi per avere avuto un effetto così determinante Lo stop pannelliano all’accordo con Berlusconi ha radici e motivazioni lontane che vanno al di là della sacrosanta repulsione per la pretestuosa evocazione dei valori da dei post-democristiani.

Da tempo Marco Pannella ha scelto per sé un ruolo di antagonista del sistema dei partiti, un ruolo che persegue con titanica forza, granitica coerenza e maniacale attenzione ai particolari anche lessicali. Non sono pochi gli atteggiamenti attraverso i quali ha mostrato di avere radicalmente abbracciato questa prospettiva. Non ha manifestato più alcun vero interesse per la formazione di un soggetto politico che gli avrebbe causato le limitazioni proprie dei movimenti democratici organizzati, preferendo invece di puntare su una fedele milizia mobilitabile sulla raccolta di firme e di denaro. Non ha più cercato il consenso elettorale ritenendo di essere molto più efficace da solo che non alla testa di un gruppo di parlamentari. Ha scelto di utilizzare come strumento prioritario la promozione non di un solo referendum per volta ma di corposi pacchetti referendari che, in quanto unitari, portano difficilmente ad alleanze con forze politiche. Ha alimentato sempre più una debordante venerazione della propria identità e della propria immagine a cui ha voluto ridurre tutta la storia, tutto il pensiero e tutta l'azione radicale, ieri oggi e domani. Non ha più cercato effettivamente mediazioni politiche tradizionali, ritenendo di potere governare la società non dalle istituzioni rappresentative bensì con le sue parole e le sue iniziative extra-istituzionali.

Questa Weltanschauung, che ha segnato tutta la recente traiettoria pannelliana, è stata sì soggetta, talvolta, ad adattamenti nella forma ma è sostanzialmente rimasta immutata. Durante l'ultimo anno è stato il successo delle Europee a costituire la novità. Quel consenso di massa, però, pur innestatosi sulla lunga azione pannelliana doveva essere attribuito in gran parte all'immagine di Emma Bonino e alla campagna intorno alla sua persona promossa fuori (e forse anche malgrado) Pannella. Per Marco si poneva dunque il nuovo problema di come gestire un evento politico molto più corposo e diverso dal solito. La brigata partigiana asserragliata sulle montagne che si stringe intorno al capo per fare sortite contro l'onnipresente nemico partitocratico non sarebbe stata più adeguata a governare milioni di elettori. Da cui il dilemma o passare dalla brigata alla grande formazione democratica e liberale, oppure ricondurre la nuova situazione di grande consenso al vecchio schema partigiano.

Le Europee introducevano anche un'altra novità: il duo Pannella-Bonino era di nuovo, appetibile come partner elettorale utile a vincere la competizione bipolare. La trattativa con Berlusconi, come è noto, partiva proprio da questo. Così pur tentato dal gioco della grande coalizione riformatrice, Pannella si attrezzava soprattutto con le sue tradizionali risorse. Lanciava un pacchetto referendario, vero e proprio programma globale alternativo, per riaffermare la sua alterità al sistema politico. Ribadiva con piglio dottrinario la riforma politica del bipartitismo, presidenzialismo e uninominalismo americani sì da trasformare questi obiettivi in dogmi ipostatizzati di difficile condivisione da parte di altre forze politiche. Si frapponeva infine il problema del rapporto Pannella-Bonino.

Per un verso Emma era la portatrice di quel nuovo valore aggiunto elettorale che per antica lealtà a Marco non aveva voluto sfruttare in proprio, cosa che avrebbe causato un drammatico scontro per la leadership radicale. Per un altro verso, però, la nuova stella era interessata a tenere una porta aperta, più che alla leadership politica, a una prospettiva nelle organizzazioni internazionali (in mano a Massimo D'Alema) dove aveva così ben figurato e dove avrebbe potuto ancora sviluppare il suo cursus di altissimo livello fuori dalla gabbia pannelliana.


La girandola di sigle inventate da Marco per sopravvivere a se stesso

Non è adeguato il giudizio secondo cui Pannella-Bonino intenderebbero costituire un "terzo polo", versione aggiornata della "terza forza". Tale prospettiva è estranea alle vocazioni e alle intenzioni di Pannella che seguita a pensare anche dopo le Europee, ai radicali in termini di piccola e pugnace brigata partigiana fuori dalle istituzioni rappresentative. Così però non è sempre stato.

E’ d'obbligo ricordare che il leader radicale ha il merito storico di aver risollevato le bandiere del liberalismo radicale o del radicalismo liberale abbandonate nella polvere dalla "minoritá" dei partiti laici e di avere rappresentato negli anni 70-80, per contenuti e schieramento, la versione politica combattiva dell'idea di terza forza. Nessuno può contestare che Pannella con i radicali (in parallelo con il ben diverso Craxi) abbia rappresentato un baluardo contro il condominio Dc-Pci e, quindi, sia stato l'esponente di una forza autenticamente alternativa contrapposta sia al frontismo e all'indipendentismo di sinistra dominanti sia al consociativismo e al corporativismo ideologie condivise nell’Italia repubblicana.

Oggi, invece, la sua estraneità dai Poli pare diversa da quella del passato. Marco rifiuta sì di essere parte del bipolarismo ma non vuole rappresentare l'elemento tripolare bensì una specie di individuo-partito antagonista tutto il sistema. Quelle intense e frequenti mediazioni programmatiche che in passato erano effettuate con i socialisti e i laici, non sono più praticate nella situazione odierna. L’ultimo tentativo di essere parte del gran gioco istituzionale si è consumata a metà degli anni 80 quando cercò di trascinare Craxi in una "Federazione, laico-socialista", fallita per la preferenza craxiana per il Caf. Da allora un pessimismo di fondo si è impadronivo di Pannella circa la possibilità di contribuire con una forza organizzata radicale ad alleanze e raggruppamenti più vasti come pure alla creazione di un qualche tipo di grande partito liberale o democratico nel quadro di un sistema semplificato. L’aspetto della vocazione alla testimonianza della sua personalità politica ha preso decisamente il sopravvento su quello della ricerca di una leadership organizzata. Il bipartitismo spesso invocato come obiettivo sembra piuttosto essere una specie di "caciocavallo" appeso nel vuoto, come Benedetto Croce soleva chiamare i concetti metafisici. Questa l'origine dell'attuale momento politico di Marco che ha assunto un carattere accentuatamente distruttivo nei confronti di uomini (compagni radicali, alleati, ex-amici) e cose (soggetti politici), compensata dall’abnorme implosione di una smisurata fiducia in se stesso, nella propria forza e capacità di influenzare il mondo circostanze.

Non è un caso che i numerosi progetti di raggruppamenti e di nuovi soggetti politici messi in cantiere in questo decennio siano rimasti tutti sulla carta perché a ciò erano destinati

Alle Europee del 1989 Pannella partecipa al "Polo laico" con Pri e Pli che subito fallisce perché nessuno ci crede. Alla fine dell’anno viene decretato a Budapest lo scioglimento del Pr in una fumosa prospettiva transnazionale e transpartitica che consente però di smantellare quella pur minima struttura democratica che lo aveva sostenuto per vent’anni. Poi segue una girandola di sigle senza seguito: nel '90 con Occhetto è i1 momento della "Federazione democratica" per dare vita al Partito democratico, nel '91 è la "Costituente democratica per riformare i partiti", nel '92 esordiscono le Liste Pannella per il Partito democratico", nel '93 viene lanciato il manifesto-appello per la "Costituente del Partito democratico", poi la "Federazione dei riformatori" e infine il "Movimento dei club Marco Pannella di lotte civili, ambientaliste e per la riforma" con i quali il soggetto politico s'identifica definitivamente con la persona fisica.

In mezzo a tante paper organizations che nascono, brillano lo spazio di un mattino e subito muoiono l’unica cosa che resta fissa, identica a se stessa, è il Sole-Pannella. La teoria che in politica per vivere tutto deve essere deperibile ha una sola ma decisiva eccezione.

Nel frattempo, legata alla "cosa radicale" che è divenuta la "cosa pannelliana", rimane una significativa generazione di militanti (qualche migliaio in tutt'Italia), straordinariamente dedita alla causa, preziosa risorsa politica e umana in un paese che ne è tanto povero. Non c'è quindi da stupirsi se proprio allora si accentua la diaspora radicale che vede allontanarsi o essere allontanata per iniziativa Pannella la maggiore e forse la migliore parte del gruppo dirigente radicale. Mauro Mellini viene allontanato e Gianfranco Spadaccia se ne va. Adelaide Aglietta, Rutelli e Franco Corteone vengono spinti verso i Verdi, Giovanni Negri in altra direzione. Leonardo Sciascia era morto e così pure Enzo Tortora che aveva maturato un distacco allo stesso modo di Mimmo Modugno. Bruno Zevi strilla per l'ibernazione del Pr e Gianluigi Melega torna a casa come del resto tantissime altre personalità che avevano legato le loro passioni, competenze e speranze civili alla gloriosa storia radicale non più identificata per un certo periodo solo con l'avventura personale del suo artefice. Si disperdono non pochi parlamentari che avevano resa ricca la pattuglia radicale: Aldo Ajello, Marco Boato, Peppino Calderisi, Adele Faccio, Franco Rocella, Alessandro Tesari, Emilio Vesce, Mario Signorino.

Nel 1992, anno della crisi che rendeva ragione alla lunga battaglia antipartitocratica radicale, la Lista Pannella raccoglie meno di mezzo milioni di voti, un record storico negativo, eleggendo 7 deputati buona parte dei quali prima o dopo abbandonano anch'essi il leader.

 

Le occasioni mancate dall’antipartitocrate amante della sua solitudine

I liberali nel nostro paese sono sempre stati una minoranza, tanto più se riformatori. E' quindi di straordinaria rilevanza il ruolo svolto da Marco Pannella nella Prima repubblica quando usò con il massimo di efficacia la piccola forza radicale. L’incidenza politica dei radicalismo pannelliano per un quarto di secolo è stata senza dubbio maggiore di quella di Ugo La Malfa e Giuseppe Saragat. La domanda se Pannella potesse usare meglio la sua straordinaria forza personale e creatività politica diviene d'obbligo con gli anni Novanta: c'erano le condizioni perché il leader carismatico, nel nuovo contesto interno e intemazionale, potesse incidere maggiormente nella realtà italiana facendo fare passi avanti alla cosiddetta "rivoluzione liberale"?

Pannella affronta la crisi del 1992-93 con le carte in regola per essere l'uomo del momento ben più di Mario Segni, Antonio Di Pietro, Silvio Berlusconi e Romano Prodi: liberale anticomunista e antidemocristiano, incorrotto antipartitocrate, riformatore, liberalizzatore e modernizzatore, popolare, carismatico e con grande know-how istituzionale. E' questo il momento in cui si liquefanno le classi dirigenti dei partiti socialisti e laici in cui Pannella viene acclamato salvatore dei parlamentari perseguitati e i residui del Psi sono pronti a seguirlo così come i liberali dispersi alla ricerca di una leadership credibile. Quando vengono sollecitati trentamila iscritti per "non sciogliere" il Pr, gli italiani rispondono in massa, segno di una notevole fiducia. Del resto i sondaggi nell'estate 1993 collocano i radicali al quarto posto: Pannella nell'opinione pubblica è all'apoteosi.

 

Eppure quell'occasione non viene colta come non lo sarebbero state altre analoghe in futuro. Non prende forma il grande Partito democratico o liberale. I tanti cittadini che sperano in Pannella vengono sì mobilitati a più riprese per campagne referendarie e finanziarie, per congressi e assise volti a trasmettere parole d'ordine ma il soggetto politico nuovo non si sviluppa. Eloquente è la serie dei comportamenti elettorali che fotografa il disinteresse di Pannella a utilizzare il consenso nelle istituzioni. Alle elezioni del 1992 la Lista Pannella ottiene l'1,2 per cento. Nel 1994, all'interno del Polo delle libertà, sono eletti cinque deputati e un senatore, tra cui ben presto tre (Peppino Calderisi, Marco Taradash ed Elio Vito) passano a Forza Italia. Nel 1996, dopo estenuanti trattative di cui il pubblico capisce ben poco, viene eletto per la desistenza del Polo il solo senatore Piero Milio, sufficiente a garantire i benefici della rappresentanza parlamentare alla lista pannelliana che si attesta all'1,9 per cento alla proporzionale.

In definitiva la riorganizzazione del sistema politico non sembra interessare Pannella. Tutta l'energia - e quale e quanta! dei pannelliani viene indirizzata ai referendum come unica arma contro il regime.

In dieci anni ne sono stati promossi forse duecento e più con cadenza annuale. Si è votato di volta in volta pacchetti di 2, 4, 8 o 12 referendum, in parte approvati, in parte bocciati, in parte senza quorum, mentre molti altri quesiti sono stati rigettati dalla Corte costituzionale. La panoplia referendaria, riproposta lungo tutti gli anni Novanta e articolata in capitoli civili, sociali, economici e istituzionali, è illuminante. Le riforme per via parlamentandosene impossibili e dunque la bandiera della riforma liberale può essere innalzata solo per via referendaria. I variegati capitoli referendari proposti tutti insieme non sollecitano coalizioni larghe ma servono a tenere alta l'identità radicale. Gli stessi rigetti della Corte e i tradimenti delle vittorie esaltano il profilo antagonista e conflittuale dei proponenti in un paese così segnato dal consociativismo. Anche gli scioperi della fame e della sete, intrapresi in anni recenti da Marco con spirito sempre più drammaticamente al limite, accentuano il carattere di testimonianza che lo contrappone al resto del mondo politico ("Il regime non si riforma ma si abbatte", "Mi venga conferita la fiducia per guidare l'alternativa, la lotta per abbattere lo strapotere e l'oppressione cinquantennale").

Tutto questo itinerario è rigoroso e coerente. Certo vi poteva essere nel 1999 una qualche revisione per l'imprevisto successo di Emma Bonino alle Europee. Ma non c'è stata ora come non c'era stata nel 1993 e nel 1998, prima della scesa in campo presidenziale di Emma, quando in tanti chiedevano a Pannella di mettersi alla testa di un raggruppamento liberate. Marco ha preferito rimanere solo, allora e ora. Sono idiozie quelle della sinistra che sostiene che Pannella fa il gioco della destra, e della destra che fa il gioco della sinistra. Il leader non ha mai avuto dubbi e seguita a non avesse sul fatto che la sua solitudine, grande e drammatica, sia la migliore via per dare corpo alle sue idee.

Credo di conoscere molto bene Marco da quasi mezzo secolo e di essergli per quel che mi riguarda molto amico senza avere mai praticato la piaggeria; ho condiviso a lungo l'impareggiabile avventura radicale e continuo a condividerne gran parte delle idee e delle proposte politiche. Non ho però mai decifrato la ragione oscura delle scelte isolazionistiche e solitarie in politica che finiranno per fargli cadere addosso la responsabilità storica di non avere tentato, lui che poteva, di colmare un vuoto politico incolmabile. La tragedia politica italiana è stata, infatti, e continua a essere l'assenza di un soggetto politico e di una politica liberale che non siano solo testimonianza ma si facciano efficaci protagonisti della trasformazione della realtà. Le parole con cui chiudevo un libro su Pannella del 1996 rimangono tuttora valide: "Non è più tempo di eroici dissidenti solitari, ma di leader federatori capaci di raggruppare ed esprimere tutte le forze disperse interessate all’innovazione liberale. Agli ostacoli insiti nella tradizione politica italiana si aggiungono quelli che Pannella porta dentro di sé, che appartengono alla sua natura e alla sua storia. Verrebbe voglia di osservare che il peggiore nemico di Pannella è Pannella medesimo".