Riccardo Fabiani

28/9/2001

PARALLELI FRA IL MOVIMENTO RADICALE E I MOVIMENTI
TOTALITARI

Mailing list radicali:  radicali@yahoogroups.com

Nota introduttiva: Ho deciso di lasciare il movimento radicale in seguito ad una lunga serie di inquietanti riflessioni e analogie, che sottopongo a chiunque voglia impegnarsi in un serio ripensamento dell'attività radicale:

 

Può un movimento politico liberale avere diversi punti in comune con le organizzazioni gnostiche di massa, ovvero i totalitarismi? Ecco un elenco di analogie spaventose.

CULTO DEL CAPO

Nel movimento radicale, così come nei partiti degli stati fascisti e comunisti, il capo ha sempre ragione. E' lui che detta la linea, tutti devono adeguarsi se sperano di fare carriera, di sopravvivere all'interno dell'apparato, di non essere epurati. Quante volte i radicali hanno preso un'iniziativa contro la volontà di Pannella? Mai. Cosa è sempre successo a quei dirigenti che si sono talvolta opposti al verbo ufficiale? Sono stati sostituiti, sempre in base alle simpatie pannelliane, alla capacità di "leccare", e casomai reintegrati, dopo un opportuno rientro mesto fra le fila.

INCERTEZZA DEL DIRITTO

Quando si terrà il prossimo congresso radicale? Quando c'è stato l'ultimo? Con quali criteri vengono scelti (o forse sarebbe meglio dire "cooptati") i dirigenti? Il diritto statutario è stato sospeso nel PRT in base a ragioni di "salute pubblica", di impossibilità pratica, così come succede nei regimi dittatoriali del Terzo Mondo.

VERTICISMO

Come in URSS, dove il federalismo era solo una facciata, mentre in realtà vigeva un assoluto verticismo dittatoriale che faceva dipendere tutte le decisioni dai dirigenti supremi del partito, così nel movimento radicale non esiste iniziativa spontanea dal basso (se non quando è eterodiretta dagli stessi dirigenti, come nella Rivoluzione Culturale di Mao), non c'è possibilità di agire politicamente a livello locale, non si può accedere a canali di comunicazione con la dirigenza (se non informali), si è soltanto succubi delle decisioni di Roma, mentre le realtà radicali locali languono.

FINZIONI ELETTORALI

Nel regime fascista c'erano i plebisciti, ovvero dei rituali elettorali opportunamente manipolati che servivano esclusivamente per ossequiare formalmente il principio della sovranità popolare; nel movimento radicale ci sono invece delle ratifiche plebiscitarie delle decisioni già prese dalla dirigenza nei rari congressi dell'area radicale. Inoltre, come nei regimi pseudo-democratici l'elezione del parlamento è soltanto un paravento per supportare il vero potere in mano all'uomo forte, così nei radicali le elezioni online non sono servite ad altro che a legittimare ancora una volta la leadership pannelliana.

APOSTASIA

Quanti esuli, quanti "compagni di strada", quanti ex-militanti, una volta resisi conto dell'errore commesso nel dare la propria fiducia illimitata alle ideologie totalitarie, hanno abbandonato i partiti comunisti o rifiutato l'idea fascista sostenuta in gioventù, per condannare fermamente dall'esterno la realtà aberrante abbandonata? Quanti sono stati condannati e isolati dai propri ex-compagni di partito, in quanto apostati del verbo ufficiale? Silone ne è un esempio lampante. Ma a pensarci bene, quanti radicali hanno abbandonato il movimento, confluendo spesso in altri partiti, per diventare critici inesorabili del partito lasciato? E quanti sono diventati agli occhi di Pannella & C. dei traditori dell'idea radicale, che si sono allontanati dalla retta via, e che hanno assunto nei due poli un ruolo marginale, risibile?

IL CAPO HA SEMPRE RAGIONE

Dopo la sconfitta elettorale del 16 Aprile 2000, elezioni regionali, invece di cominciare una sana operazione di ripensamento dei metodi, degli obiettivi, Pannella ha saputo solo dire che non erano stati commessi errori da lui e dai radicali, ma era stata la mancanza di comunicazione (il nemico oggettivo dell'ideologia pannelliana, il capro espiatorio da accusare) a penalizzarli. Infatti, dopo un abile ritiro politico (da cui continuava peraltro a dettare la linea che tutti si affannavano a seguire), è tornato a galla, senza essere stato minimamente scalfito dall'ennesima sconfitta. Come un dittatore (Saddam Hussein, Milosevic) dopo aver perso la guerra.

TEORIA DELL'ELITE

Da buon erede della tradizione (nobilissima, ma con i suoi limiti) azionista e gobettiana, Pannella ha elaborato una teoria dell'elite, che vede appunto una minoranza "illuminata" trascinare nel sentiero della Verità liberale il popolo, senza necessità di confrontarsi con questo, ma semplicemente cercando di mobilitarlo all'insegna dell'improvvisazione (apparente) e del volontarismo; tuttavia, da queste alleanza fra elite e maggioranza, non nasce mai un rapporto fecondo, di reciprocità: chi vuole avere a che fare con la minoranza illuminata, può soltanto lasciarsi educare, può apprendere ma non partecipare. Il movimento radicale non è un partito di massa, né cerca di fatto di esserlo: è come un "gruppo di partigiani" (parole di Pannella), chi ci crede segua il comandante e i suoi fedelissimi, chi non ci crede se ne vada. Insomma, non c'è spazio per una dialettica democratica: il presupposto fondante è molto simile al mussoliniano "credere, obbedire, combattere". Inutile sottolineare come Lenin, Sorel, lo stesso Mussolini ecc. avessero sviluppato una teoria dell'elite molto simile, a ridimostrazione della connessione inquietante fra un certo universo filosofico e un sedicente pensiero liberale.

Tralascio inoltre qui una serie di altri problemi, come la confusione fra il partito transnazionale e la struttura politica italiana, l'indeterminatezza nella definizione dell'area radicale (indeterminatezza sfruttata ad hoc per tiranneggiare ed evitare di sottomettersi ad uno statuto), il semplicismo nella politica internazionale (per cui embargo, bombardamenti sostituiscono le armi della diplomazia, che non viene presa quasi mai in considerazione, in una specie di aberrazione wilsoniana), il disprezzo verso la vita politica italiana (gli altri hanno sempre torto, e rientrano costantemente negli schemi interpretativi pannelliani).

Questa è la mia opinione: sono un liberale, e non posso accettare queste costrizioni; un partito che si definisce liberale lo è nei metodi, oltre che negli obiettivi. Altrimenti si fa soltanto uno sterile machiavellismo gnostico, ovvero niente altro che una aberrazione delle idee della Rivoluzione Francese. Spero che questo mio scritto possa servire a qualcosa.

Riccardo Fabiani