Donato De Renzis

CAMPOBASSO, luglio 2001

Caro Cominelli,
ti ringrazio assai della cortesia di una tua prima risposta. E grazie per la splendida citazione con cui l'hai accompagnata. Davvero una bella metafora! Ne farò tesoro.., c'è una grande verità, comunicata con la forza del pathos lirico. La riproduco perché anche altri possano leggerla e goderne:

 

"La verità era un grande specchio che cadendo si ruppe.
Ciascuno ne prese un pezzo.
Vedendo riflessa in esso la propria immagine,
credette di possedere l'intera verità"
(Khorasan Jalal al-Din Rumi,
mistico sufi del XIII secolo).

Sublime!

Bene, vengo al punto, non prima però di aver chiarito che a quella metafora cerco ispirarmi per quanto mi è possibile. E dico per quanto mi è possibile.., perché tu sai bene che, come recita un vecchio motto, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Il contenuto della tua metafora credo sia lo stesso di quello che Bertrand Russell, più prosaicamente enunciava così:

"Liberale non è colui il quale dice ‘questo è vero’. Liberale è colui che dice ‘ sono incline a credere che nelle attuali circostanze questa, probabilmente, sia l’opinione migliore…,l’essenza della visione liberale non sta in quali opinioni vengono sostenute, ma nel come vengono sostenute; invece di essere sostenute dogmaticamente, esse sono sostenute sperimentalmente e con la consapevolezza che nuovi dati di fatto possono, in qualsiasi momento, portare al loro abbandono ".

Il PUNTO


Il messaggio che ti ho inviato era volutamente e brutalmente esemplificativo di oggetti che sono altrimenti, e inevitabilmente, più complessi. Su quella complessità mi sono in un recente passato esercitato con entusiasmo, credendo di incontrare una qualche interlocuzione con la curia radicale romana (il nostro è un Paese nel quale hai sempre a che fare con curie, le trovi disseminate dappertutto), ma senza costrutto. Le parole nel numero e nella loro qualità devono sempre rispondere a qualche urgenza descrittiva e interpretativa delle cose. Talvolta gli interlocutori debbono conoscersi, debbono mettere in chiaro i rispettivi punti di vista in precedenza non conosciuti, debbono rendere esplicite le premesse da cui partono, e non possono dare nulla per scontato. Ma non sempre è così. A volte, come nel caso della frequentazione degli stessi luoghi, nella fattispecie politici, e la condivisione delle medesime esperienze, determinano un background comune che può fare a meno dei preamboli, perché i protocolli comunicativi ci sono già tutti. A voler insistere su di essi si perde solo inutilmente tempo.
Penso anch'io che ci sia molto da discutere. Ma il percorso non credo debba essere così lungo e tortuoso. La storia e l'esperienza politica radicale di questi ultimi anni ha messo in chiara evidenza cose, che solo una mente cieca non vede. E se queste cose sono patrimonio di una consapevolezza condivisa allora che senso ha ricominciare sempre d'accapo come se niente fosse accaduto? Insomma voglio dire che sono abbastanza disincantato del discutere passeggiando in pantofole sul velluto, dire e non dire, fare quei giri di tavolo appunto per prendersi in giro, per poi andarsene senza saper bene che cosa si è detto, che cosa si farà.., Ma tanto che importanza ha, tanto qualcosa accadrà!…
Caro Cominelli correggimi se sbaglio, ma tu sei approdato alle rive radicali da un anno. E ancora se non sbaglio provieni dalle file dei DS e prima del PCI. E' così? Bene se non è così tutto quello che segue perde senso. Da quello che distrattamente su radio radicale ho ascoltato mi pare, ripeto mi pare, che sia così. Nei primi anni settanta io ho militato nel movimento studentesco della statale, era il tempo di Capanna e di Toscano, e mi ricordo di un Giovanni Cominelli. Beh, se eri tu la cosa ha una sua singolarità, perché la mia vita politica ha seguito un itinerario simile al tuo. Solo che io sono approdato alle rive radicali Tra il 1994 e il 95. Ti chiederai ma che centra tutto questo. Te lo spiego subito. Rispetto alla mia, la tua esperienza radicale, almeno in termini di mera quantità temporale, è meno estesa, e voglio dirti che in tutti gli incontri, riunioni di comitato nazionale al tempo dei club Pannella, dei seminari e dei giri di tavolo, credimi, io non ho mai sentito, e dico mai qualcuno chiaramente e apertamente dissentire da Marco Pannella. In qualche circostanza, quando l'occasione lo richiedeva, qualcuno si limitava non tanto a manifestare un dissenso, quanto ad un " su questo punto non capisco Marco quando dice…", e finiva lì, perché poi Marco precisava e tutto tornava nell'ordine tolemaico o copernicano che fosse. Credo, in tutta franchezza, e limitatamente alla mia esperienza di cose radicali, di essere stato l'unico ad averlo fatto. Quando ho letto su Critica Sociale il tuo saggio, ho trovato una chiarezza nella espressione delle posizioni che era stata anche la mia e mi ha interessato molto. A proposito della lealtà voglio dirti che chi scrive nel 1995 era il capogruppo di undici consiglieri del PDS a Campobasso, comune capoluogo della regione Molise, che esprimevano il sindaco della città e la maggioranza dei componenti della giunta. In ragione di un dovere "medievale" di lealtà con i miei convincimenti, fui espulso dal PDS perché, inizialmente da solo, mi misi a raccogliere firme per i referendum e per i quali Pannella stava facendo lo sciopero della sete.

Su alcune questioni da te sollevate.

Prima di entrare nel merito vorrei farti qualche domanda.
Quante e di che tipo sono state le risposte che ti sono venute sul forum?
Di quel testo si è discusso nelle riunioni di Comitato che avete tenuto dopo la sconfitta elettorale?
Pannella è intevenuto su di esso? E la Bonino?
Hai avuto qualche cenno di consenso da qualcuno dei parlamentari europei?
Se riterrai di dare una risposta credo che sarà utile non solo, e non tanto, a me, ma anche a quanti seguono e partecipano al dibattito sul forum.
Ieri ho estratto frettolosamente alcuni punti dal tuo documento, che cito testualmente. Tu dici:


"Soprattutto dobbiamo evitare quell’atteggiamento di pigrizia intellettuale che consiste nel cercare nella realtà solo le conferme alla nostra strategia politica, considerata a priori giusta e immutabile. No all’ “infallibilismo”, perché ci confina in un mondo a parte, dove tutto funziona, solo perché noi lo abbiamo creato così. Il metodo della fallibilità e della falsificazione, il metodo dell’intelligenza laica e liberale, è l’esatto contrario di quella mistica “metodologia dell’inverificabile”, che qualcuno ostinatamente propone dopo ogni sconfitta e che finisce per ammantare atteggiamenti conservatori con una verbigerazione retorico-rivoluzionaria. ".
Perfetto! Chiaro e onesto. Quando dici "noi" dobbiamo evitare etc…, noi chi? Noi poveri militanti, carne da cannone? Ma se è così non è un gran male! L'importante è che si continuino a raccogliere firme. O forse nel "noi" ci metti anche Pannella, Bonino, Cappato and company? Allora caro Cominelli ci vai decisamente pesante, e mi complimento con te per il coraggio! Ricordati però, sempre se lo vuoi, di dirci come l'ha presa Pannella, Bonino etc. Sarebbe per noi una buona notizia e una speranza se su questo punto, come sugli altri, essi si sono pronunciati dicendo qualcosa. E ci potresti svelare chi è quel qualcuno che dopo ogni sconfitta ammanta "atteggiamenti conservatori con una verbigenerazione retorico-rivoluzionaria"? Accidenti non sarà mica Pannella? Bonino? Cappato.., o forse è Giovanni Cominelli, Donato De Renzis, Bepi La Medica, Antonello Marzano, Mario Quaranta, Nicola D'asti, Paolo Spina o chissà altri?
Scrivi ancora;
"Sempre ostaggi della nostra ideologia, continuiamo a ripetere che questo è un bipolarismo fasullo, sia dal punto di vista istituzionale (perché inquinato di proporzionale) sia dal punto di vista politico (perché sarebbe un unico e solo regime-mostro a due teste). E continuiamo a esaltare le delizie del bipartitismo futuribile. Ma intanto avanzano due coalizioni-partito esattamente come negli Stati Uniti, dove ci sono due partiti-coalizione."

"… per quanto le differenze tra i due Poli possano essere sfumate o, viceversa, gonfiate artificiosamente a fini di battaglia elettorale, certo è che ciascuna coalizione rappresenta interessi, culture e, soprattutto, antropologie diverse, mondi diversi, come in tutti gli altri paesi bipolari/bipartitici. Questi mondi si scontrano non per finta. Come in tutto il mondo, esiste una sinistra e una destra. Naturalmente ci sono passaggi al centro, posizioni intercambiabili, ma il sistema economico-sociale del Paese è un’ellisse a due fuochi politico-culturali opposti. Rappresentarlo come un cerchio con un unico centro politico, Polo-Ulivo, è solo nostra cattiva propaganda, della quale alla fine noi rimaniamo le uniche vittime sul terreno, gli elettori no! La categoria di “regime” che viene invocata ad ogni piè sospinto finisce per non essere esplicativa di nulla, è una chiave che apre tutte le porte e quindi nessuna".
Per la miseria Cominelli! Ma che vai dicendo! Come dici? Ah ecco dici proprio così, leggo di nuovo:
" La categoria di “regime” che viene invocata ad ogni piè sospinto finisce per non essere esplicativa di nulla, è una chiave che apre tutte le porte e quindi nessuna".
Ma chi è che invoca la categoria del regime?

"Questo “terzo stato all’italiana” ha un senso dello stato, della legalità, dell’etica pubblica tendenti allo zero. Non si vede nei dintorni nessuna “Sala della Pallacorda”, dove questi ceti abbiano voglia di riunirsi per proclamare “la nazione siamo noi”. E quando lo fanno, nella sede di qualche Associazione industriali, è per chiedere rinnovata protezione. Il trionfo neo-doroteo nel Nord-Est e il crollo della rivoluzione plebea della Lega la dicono lunga al riguardo!
Esce perciò falsificata anche l’idea di sé che i radicali coltivano da qualche anno, l’autocertificazione rivoluzionario-giacobina di una minoranza illuminata, eroica, determinata e, naturalmente, perseguitata e costretta nelle catacombe da un Regime morbido e dolcemente onnipervasivo".

Qui il mio entusiasmo e tanto che mi prendo la licenza di chiamarti Giovanni. Fino adesso sei stato Cominelli.., ma qui sei Giovanni. E allora Giovanni in questo:
"Esce perciò falsificata anche l’idea di sé che i radicali coltivano da qualche anno, l’autocertificazione rivoluzionario-giacobina di una minoranza illuminata, eroica, determinata e, naturalmente, perseguitata e costretta nelle catacombe da un Regime morbido e dolcemente onnipervasivo", c'è la cifra di quello che siamo da qualche anno a questa parte, l'unico dubbio è che per questa confutazione bisogna organizzare una dura battaglia politica, perché essa non è come tu dici, già data.

E poi continui:

"Come per tutti, vale anche per noi, laicamente, che, se abbiamo perso, è perché abbiamo commesso errori. E se perdiamo gravemente è perché abbiamo commesso errori gravi."
Lì nel comitato, l'hai raccontata a qualcuno questa storia? Hanno fatto qualche commento? Se sì di che tipo?

Ci siamo mossi da soli, ci siamo posti nelle condizioni di muoverci da soli e di non potere più stabilire credibilmente dei ponti o con la CDL o con l’Ulivo. E’ una profezia che si autoadempie, del cui esito rimproveriamo, naturalmente, gli interlocutori. I motivi per non fare coalizione sono facilissimi a trovarsi, divergenze programmatiche ce n’è con tutti. Allearsi, viceversa, è questione di decisione e di volontà strategica. Questa è mancata totalmente. Come è andata, in effetti, dal settembre 2000 al febbraio 2001? Contatti volutamente inconcludenti e senza impegno. Appelli lasciati cadere nel disinteresse e poi ripescati solo per farne uso polemico strumentale, quando era troppo tardi. Gioco già fatto con Berlusconi dall’autunno 1999 alla primavera del 2000. Il che ci ha reso inaffidabili non solo agli occhi degli elettori, ma anche a quello dei ceti politici, con i quali, in definitiva, si tratta.

Caro Giovanni qui il coraggio sconfina nella temerarietà. Provo a rileggere:
"Come è andata, in effetti, dal settembre 2000 al febbraio 2001? Contatti volutamente inconcludenti e senza impegno. Appelli lasciati cadere nel disinteresse e poi ripescati solo per farne uso polemico strumentale, quando era troppo tardi. Gioco già fatto con Berlusconi dall’autunno 1999 alla primavera del 2000. Il che ci ha reso inaffidabili non solo agli occhi degli elettori, ma anche a quello dei ceti politici, con i quali, in definitiva, si tratta". Vediamo se ho capito. Stai sostenendo che dal settembre del 2000 al febbraio 2001, "noi", vale a dire chi teneva i rapporti con le altre parti politiche, facevamo finta di voler fare accordi, mentre in realtà avevamo preventivamente stabilito di non volerne concludere alcuno (chissà cosa ne avrebbe pensato Gandhi di un simile metodo, se effettivamente praticato). E che tale sciagurato metodo è stato praticato fino a che siamo apparsi inaffidabili a tutti, agli elettori come alle parti politiche. Ti chiedo:
qualcuno ti ha smentito su questo punto?

Ma vai ancora oltre, e forse nella convinzione di quell'altro Giovanni che raccontava che "ma gli uomini preferirono le tenebre alla luce" , ostinato, perseveri affermando che:
"Quanto alla forma inusuale e drammatica di lotta politica, chiamata “satyagraha”, è stata inefficace, perché essa è coerente con i contenuti e gli interlocutori dei nuovi diritti del 2000, ma assai meno in sintonia culturale e spirituale, proprio come forma “tecnica” di lotta, con i contenuti e gli interlocutori liberisti del Nord-Est".
Sottoscrivo, ma con una ragione diversa dalla tua. Io credo che debba esservi sempre un "modus in rebus". Non si può sparare su un moscerino con un fucile. Non c'è proporzione tra il mezzo e l'obbiettivo. E quando ciò accade si rischia la non credibilità e affidabilità. L'unica cosa che così si manifesta è la propria gratuita irragionevolezza.., e si finisce anche per screditare la nobiltà dello strumento usato. Già, ma l'irragionevolezza è tale proprio perché non v'è consapevolezza e qui davvero le cose diventano difficili…, diventano difficili se qualcuno non riesce a vedere il moscerino perché lo scambia per un ferocissimo mostro. Recentemente mi è capitato di leggere un buon libro. Ogni tanto capita. L'ho trovato in una libreria universitaria di Edinburgo tra i libri che davano al cinquanta per cento di sconto. E' un libro scritto da Bhikhu Parekh, formatosi all'università di Bombay e di Londra, professore di Political Theory alla università di Hull, dal titolo: " Gandhi's Political Philosophy." Dovrebbe essere tradotto in italiano perché è per davvero un libro straordinario, condotto con estremo rigore e che utilizza gli studi di circa cento autori di specifiche monografie sull'opera teorica e pratica di Gandhi, elencati nella bibliografia. In questo testo c'è un capitolo sul Satyagraha, intitolato Satyagraha e Razionalità, in cui tra l'altro si dice (la traduzione è mia e sarà necessariamente approssimativa):
"In aggiunta a tali metodi quali il boicottaggio economico e sociale, la non-cooperazione, il rifiuto di sottoscrivere prestiti governativi, lo sciopero, la disobbedienza civile e il non pagamento delle tasse, che utilizzò in svariate occasioni con esiti di volta in volta differenti, Gandhi introdusse anche l'assai controverso metodo del digiuno. Non è completamente chiaro se egli lo classificasse come Satyagraha Egli raramente si riferiva ad esso come Satyagraha, sebbene esso soddisfacesse a tutti i più importanti criteri da lui stabiliti per il Satyagraha. Egli digiunò in 17 differenti occasioni, nessuno dei suoi digiuni durò più di una settimana, a meno che egli non avesse deciso per una più lunga durata. Di questi tre furono per eliminare il sistema castale fondato sull'intoccabilità, tre per l'unità tra gli indù e i mussulmani, quattro contro la violenza, uno per incoraggiare lo sciopero dei lavoratori di Ahmedabad, tre per l'autopurificazione, e solo tre contro il governo."
Mi chiedo se l'obiettivo dichiarato giustificasse l'assunzione estrema di quella forma di lotta dello sciopero della fame e della sete della Bonino. Dico solo che l'Italia non è l'India sottoposta al dominio britannico, con la tragedia indiana non è quella italiana, e che per la verità, la prima è, antropologicamente e etologicamente, più propensa per il genere comico che tragico.
A proposito, propongo all'editore di radio radicale di curare la traduzione la pubblicazione del libro di Bhikhu Parekh.
Mi fermo qui spero domani, se mi riesce, cercherò di essere un po’ più "politico"
Un saluto a te a tutti quelli che leggerenno.
Ti allego comunque un testo scritto qualche tempo fa.

 


PANNELLA, BONINO, IL COMITATO E NOI.

Questo è un primo testo al quale, se vi saranno dei compagni interessati allo spirito che muove le osservazioni che in esso sono contenute, ne seguiranno degli altri per organizzare una possibile Lista.

Chi scrive è Donato De Renzis 49 anni, insegnante. Forse qualcuno ricorderà il mio nome per via del fatto che nel 1995 venni espulso dal PDS, di cui ero capogruppo consiliare al comune di Campobasso, per aver dato vita alla raccolta di firme per i 20 referendum in un momento assai drammatico, con Marco Pannella in sciopero della fame e della sete.
Penso di aver corrisposto senza riserve, con lealtà e onore, alle iniziative radicali di questi ultimi anni.
E proprio per lealtà vado a dire quello che segue.
La tradizione del linguaggio politico di questo paese è quella della retorica, dell'oscurità e, per meglio dire dell'oscurantismo, a tal proposito Gobetti, nella Rivoluzione Liberale scriveva:
"Il fascismo in Italia è una catastrofe, è un'indicazione d'infanzia decisiva, perché segna il trionfo della facilità, della fiducia, dell'ottimismo, dell'entusiasmo… Ma il Fascismo è stato qualcosa di più: è stato l'autobiografia di una nazione…, una nazione che per pigrizia rinuncia alla lotta politica…. Il Fascismo ha avuto almeno questo merito: di offrire la sintesi, spinta alle estreme conseguenze, delle storiche malattie italiane: retorica, cortigianeria, demagogismo, trasformismo… Il fascismo è legittimo erede della democrazia italiana eternamente ministeriale e conciliante, paurosa delle libere iniziative popolari, oligarchica, parassitaria, paternalistica..". Se volessimo fare l'utobiografia del nostro Paese oggi forse dovremmo continuare a tener conto di quanto rilevava Gobetti.
Lo spirito pubblico del nostro Paese è ancora in questa cifra gobettiana. Penso che quei compagni che leggeranno queste note non avranno difficoltà a consentire con questo giudizio. Ma ciò che mi interessa non è tanto citare un autore che, per la sua autorevolezza e eroismo, ci consoli e rafforzi nei nostri propri convincimenti. Ciò che mi interessa è vedere se nel pensiero e nella prassi politica della storia radicale di questi ultimi anni noi stessi non siamo stati in una qualche forma contaminati dalle connotazioni dell'italico spirito pubblico di cui parlava Gobetti, e se la nostra autobiografia è estranea in parte o in tutto da quella del Paese.. E' Una provocazione? Un'eresia inammissibile? Un attentato che lede qualche maestà? Cartesio diceva che di tanto in tanto per qualche minuto bisogna provare a rovesciare il mondo dei nostri pensieri. Così per esercizio! Magari dopo si constata che il rovesciamento produce incoerenze e paradossi irrisolvibili e non arricchisce le nostre conoscenze per cui se ne conclude il mondo va bene così com'è e che magari, come per il dottor Pangloss di Voltaire, è il migliore dei mondi possibili. Ma il metodo credo sia buono e va comunque perseguito. K.R. Popper ha detto, qualche secolo dopo, qualcosa di analogo anche se in forma diversa. Egli sostiene che un qualsivoglia paradigma conoscitivo è scientifico ( e cioè dotato di senso), solo se è falsificabile, vale a dire se è confutabile. Chiedo: se la politica è tale solo se è, e si fa, cultura e se la cultura è tale solo se è, e si fa, conoscenza, e se la conoscenza deve essere scientifica, nel senso che deve avere senso, allora la politica deve essere falsificabile, quindi confutabile.
La critica popperiana del metodo credo rappresenti il punto teorico più alto e lucido cui è stata spinta la dottrina liberale. Le fondamenta filosofiche liberali si trovano in quel prudente e equilibrato scetticismo, che faceva dire a B: Russell che " liberale non è colui che dice questo è vero, liberale è colui che dice <<nelle attuali circostanze sono incline e credere che questa è probabilmente l'opinione migliore>>. Tempo fa chiesi a Pannella in una lettera aperta cosa ne pensasse, ma non mi ha dato risposta. Potrò sbagliare ma mi è parso di capire che forse le convinzioni alla Croce piuttosto che le opinioni ragionevoli dei Locke, degli Hume e degli Smith e forse anche di Berkeley toccano e segnano alcuni presupposti di natura culturali e teorici del movimento radicale. Croce pensava che se il liberalismo voleva affermarsi doveva hegelianamente costituirsi come una concezione, la cui base valoriale doveva avere la stessa forza di quella della religione. Recentemente Pannella ha ripetuto che salutò con favore l'ascesa al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II perché questi era, ed è, uomo di convinzioni sincere, anche se reazionarie. Insomma un Papa convintamente reazionario è meglio di un non saprei dire che... Forse Marco vuole dire che egli preferisce gli amici e i nemici sinceramente convinti perché così diventa più chiaro e onesto poter distinguere tra amici e nemici, tra alleati e avversari, forse… Pure Mussolini era un convinto e probabilmente lo era anche Hitler. Ma forse più semplicemente sono io che non ci arrivo. Ad ogni modo per parte mia avrei preferito un papa meno convinto di quello che abbiamo e più capace del dubbio e dell'apertura alla ricerca, per cercare di distinguere tra l'errante e l'errore, come era per Giovanni XXIII, visto che lo stesso Cristo sulla croce ebbe a manifestare la sua umana e debole disperazione implorando "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato".
Se la conoscenza non è falsificabile e quindi confutabile allora essa è teologia. A maggior ragione se la politica, che appartiene al regno delle più incerte conoscenze umane, non è confutabile allora essa si fa dogma e teologia. Ciò detto chiedo: ma la politica, la prassi e il pensiero radicali sono confutabili in senso popperiano? Sono cioè soggette a trasformazione e superamento di statuti conoscitivi precedenti per arricchirsi e accrescersi di fronte ai cambiamenti del mondo contemporaneo. Temo che se qualcuno si pone una tale questione finisce per non godere di troppa popolarità nel nostro movimento. Nella nostra tribù radicale ho l'impressione che si parla di storia e tradizione radicali, del carattere peculiare e specifico di quella storia e di quella tradizione né più e nè meno di come i cattolici, i socialisti, i comunisti e tutti gli ex qualcosa che affollano il palcoscenico della politica italiana parlano delle proprie. La cultura teologica è inconfutabile perché epistemologicamente è assiomatica. Vale a dire essa prima costituisce dei principi fondamentali dati per vero in via assoluta e da quelli fa discendere tutte le proposizioni successive. Se noi siamo per definizione i veri liberali, se noi siamo in assoluto gli unici veri democratici, tolleranti, gli esclusivi depositari della consapevolezza della legalità e del diritto, per natura non violenti e così via, è del tutto evidente che diviene pressocchè impossibile riconoscere al nostro interno dei comportamenti che si possono allontanare da quelle verità date per acquisite una volta per tutte come caratteristiche strutturali dei nostri comportamenti. Recentemente si è posto il problema di introdurre un punto di discontinuità nel modo radicale di fare politica. Lo ha posto in forma problematica lo stesso Pannella. Ma chi lo deve proporre come indicazione di progetto e lotta politica? Marco Pannella? (Nell'intervista di quasi un anno fa alla rivista "Ideazione" Pannella disse cose di grande interesse su cui però non si è esercitato nessun serio dibattito critico). Non mi è parso di scorgere che l'attuale gruppo dirigente di deputati europei abbiamo con l'onestà intellettuale necessaria posto la necessità della introduzione di una soluzione di continuità, cimentandosi apertamente nella sfida da Pannella imposta a noi, ma anche a se stesso. Eppure hanno un ruolo autorevole che gli imporrebbe un simile atto di fatica e responsabilità politica e morale. Ricordo al tempo dell'intervista a "Ideazione", che egli tornò a sottolineare della sua solitudine e della necessità di dover traversare il deserto in solitudine. Come pure di quanto disse in una delle ultime assemblee generali dell'area radicale che forse era necessario, di fronte all'assedio del silenzio dei media, "lasciarsi morire". E ricordo un intervento bello e intelligente di Massimo Bordin, che richiamandosi alla drammaticità della questione posta da Pannella, diceva " quello che mi impressione non è il morire, ma quel <<lasciarsi>>". Né sono riuscito a capire quali siano le opinioni di Emma Bonino sul tema di un aggiornamento forte della nostra tattica e strategia politiche. Gli insuccessi ultimi hanno fatto dire a Emma Bonino che essa si considerava dimissionaria, anche se non sapeva bene da cosa dimettersi. Su questo torno tra un attimo. Pannella, dal canto suo, anch'egli si considerava dimissionario, se ricordo bene, e aggiungeva un suo dissenso politico che lo ha portato recentemente a interloquire con il coordinamento radicale via E mail. Io non ho capito quale era, ed è, il punto di dissenso, ma questo forse vale per me, a causa dei miei limiti, ma se qualcuno lo ha capito lo pregherei di darmi qualche chiave di lettura.

IL PARTITO TELEMATICO

I lavori dell' ultimo, o penultimo, coordinamento nazionale hanno avuto al centro il partito telematico. La novità e il futuro radicali si dice e si scrive: INTERNET?
Internet è uno strumento potente ma è solo uno strumento, non può essere un fine. Il futuro della comunicazione non si riduce a internet. La discontinuità di cui abbiamo bisogno non è internet. Anzi credo che tutto il dibattito sul partito telematico abbia di fatto deviato e coperto l'apertura di un serrato confronto sul futuro della politica radicale. E' stata posta troppa enfasi su di esso e trovo insufficiente e pericoloso ridurre la complessità del fatto politico, o di un dibattito politico che cerca la discontinuità, ad una discussione sul partito ridotto alla sola dimensione telematica. E ancora: forse che gli altri non pensano a internet? forse che internet è una nostra scoperta? Forse che non si discute in tutte le sedi politiche, sociologiche e scientifiche sul villaggio globale e sulla rivoluzione in atto nelle relazioni introdotte dai nuovi sistemi di elaborazione e trasmissioni delle informazioni nella cosiddetta "società della conoscenza"? Insomma non sto sostenendo che non ci si debba attrezzare all'uso dei nuovi strumenti che la tecnologia mette a disposizione, dico solo che i problemi relativi ad un salto di qualità nell'invenzione di idee e programmi politici, come alle strategie di lotta politica non possono ridursi al solo uso della telematica nell'organizzazione di una forza politica. Anzi temo che la configurazione telematica, o come si dice con l'orribile neologismo "internettista", finirà per accentuarne il modello rigidamente centralista del movimento radicale.

BONINO: "DIMETTERMI DA CHE COSA"

Già ma da che cosa ?
Io sostengo che il movimento radicale, denominato in vario modo in questi anni, Club, Lista Pannella Lista Bonino, è stato contrassegnato dalla stessa modalità organizzativa. Una modalità paradossalmente leninista-weberiana. Provatevi a leggere il "Che Fare" di Lenin e capirete. Questo lo schema essenziale dell'organizzazione:
1)in testa il Leader carismatico; 2) subito dopo un pugno di superprofessionisti dediti a tempo pieno alla politica e che si identificavano totalmente con il Leader (Lenin li chiamava rivoluzionari di professione); 3)una articolata organizzazione territoriale (Cellule di partiti e Sezioni di partito) che stabilivano il rapporto tra il nucleo d'acciaio della direzione centrale e quindi con il Leader stesso; 4) infine la massa dei militanti. Il modello organizzativo radicale è nella sostanza leninista, tranne che per il punto 3). Infatti il rapporto del leader con i militanti è diretto e assoluto e la possibilità per i dirigenti di intervenire autonomamente nel rapporto con i militanti è nulla, oppure può essere di una qualche efficacia solo se illuminato, per qualche attimo, dal carisma del leader. Lo so purtroppo! Qualcuno della nostra tribù dirà: questo o è scemo o è pazzo! Ma come si può sostenere una tale l'enormità di un Pannella o di una Bonino leninisti? E' come dare dal musulmano ad un cristiano! (Spero che Marco e Emma, se mai gli dovesse capitare di leggere queste note, mi vorranno perdonare la stupidità, ma come le vere stupidità essa è assolutamente in buona fede, e anche se i buoni a volte possono fare un gran male senza saperlo, non credo che questo sia il caso). Già, però io così mi rappresento empiricamente la realtà vissuta e da me sperimentata. Il fatto che la leaderschip di Emma affianchi quella di Marco, o viceversa, non cambia nulla al nostro modulo organizzativo. Il leninismo è una caratteristica che, pur vivendo dissimulata in varie forme caratterizza la tradizione politica e storica del nostro paese: una tradizione tutta clericale e chiesastica. Noi parliamo del mondo anglosassone, ma chiedo: in quale paese di lingua anglosassone esiste una longevità politica comparabile con quella italica? Da quelle parti comuni cittadini si impegnano in politica e dopo qualche anno tornano ad essere comuni cittadini. Nel Regno Unito il potere politico abita al numero 10 di Downing Street, che sembra una casa come tutte le altre e non a Windsor. Da noi la palude del potere politico abita i palazzi della nobiltà romana ed è paludata dei suoi simboli e, come si dice, una volta entrati in politica vi si resta vita natural durante. Del resto la i titoli nobiliari non sono forse ereditari?
Quando Emma ha detto: " dimettermi? Si ma da che cosa?", aveva perfettamente ragione. In fondo lei è solo Emma Bonino. Non è stata eletta da qualcuno ad essere quella che è. Lei è la leader di un movimento ma tra lei e il movimento non vi è assolutamente nulla di costituito e statuito da regole, tali da governare il suo rapporto con i militanti. Non si può essere eletti alla carica di leader. Si può eleggere un presidente o un segretario ma non un leader. O meglio solo in quanto si è leader si può essere eletti presidente o segretario. E quindi Emma l'unica cosa che poteva fare era dimettersi da se stessa! Noi abbiamo un comitato di coordinamento che in realtà non è stato eletto da nessuno. E' nato dalla riunione di un seminario che lanciò l'assemblea dei mille. Questa non fu un congresso e come tale non poteva legittimare alcunchè. L'incostituzionalità del comitato è un dato di fatto. Non mi interessa una diatriba sottilmente giuridica circa la sua legittimità. Mi interessa mettere in chiara evidenza che lo è di fatto in termini di responsabilità politica, rispetto alla massa dei militanti, che credo abbiano diritto ad uno statuto delle regole che dovrebbero governare la vita interna del movimento radicale. Il fondamento della legalità sta nella consapevolezza che per gli uomini e le donne la garanzia del diritto alla vita, al benessere e al perseguimento della propria felicità, non risiede nelle persone individualmente prese, o nella presunta, innata bontà ma solo nella costituzione di giuste leggi capaci di vincolare i comportamenti umani a principi costituzionali aventi validità universale. Allora chiedo: se questo è un principio generale, non dovrebbe il comportamento di un leader essere in qualche modo legato a regole statuite cui egli è tenuto a rispondere? In fondo Emma non poteva dimettersi anche se fosse stato giusto e essa lo avesse voluto, perché la sua è una condizione di assoluta irresponsabilità., la quale tra l'altro non credo lei ami particolarmente. Non amo la parola militante e non starò a spiegare perché. Ma io sono stato un militante che ha speso senza riserve, come tanti compagni che ho conosciuto nel movimento radicale, tanta parte del suo tempo di vita. Quanto vale il tempo di vita di un militante radicale? Ha un militante diritto ad immaginare delle ambizioni per il tempo di vita che egli dedica, che non si esauriscano solo della luce di attenzione che il leader dedica ad essi? Non hanno per esempio diritto a sentirsi riconoscere una particolare identità privilegiata nel movimento che essi animano, piuttosto che sentirsi anonimi signori a cui di tanto in tanto qualcuno chiede di fare qualcosa? (Ad esempio io non so se per l'elezione via internet del 25% del comitato sia stato previsto qualcosa per quei militanti che non hanno internet o hanno scarsa pratica con i PC. Chiedo: un distratto navigatore di internet vale quanto un militante che non sa navigare?). I militanti non dovrebbero godere di una speciale attenzione nella vita dell'organizzazione e avere qualche diritto in più di parola e di scelta rispetto a chi, magari per curiosità o altro, si avvicina a noi per sostenere le ragioni del movimento? Insomma le nostre assemblee sono definite congressi che dovrebbero decidere qualcosa. A volte si invita chiunque capiti a tiro così come il militante di sempre. E il diritto dell'ultimo arrivato a prendere la parola o alzare la mano per una votazione, vale come quello di chi da anni ha sacrificato non genericamente parte del suo tempo, ma parte del suo tempo di vita. Rispettare il tempo di vita offerto e donato da tanti militanti, significa definire regole di vita politica del movimento dentro le quali sia riconoscibile la praticabilità del loro diritto alla parola e alla deliberazione, siano chiare le responsabilità. Il potere politico non è solo quello che si esercita nell'espletamento di una funzione di governo di uno paese. Il potere politico lo si incontra ovunque nella società dove si stabiliscono relazioni umane e, quindi, nei movimenti e nei partiti organizzati. Pannella spesso ripete che il potere senza responsabilità è folle. E' vero! Però bisogna aggiungere che un potere è responsabile solo se la responsabilità è condivisa! O se sono state statuite, e costituite, le condizioni che ne permettono la condivisione.
Una proposta:
Noi abbiamo bisogno di un congresso della area radicale. Di un congresso che abbia al centro tre questioni:
1) quali i contenuti politici e programmatici del soggetto radicale interno;
2) quale la modalità organizzativa del soggetto radicale interno per i prossimi tre anni;
3) quale l'azione del partito radicale transanazionale e quali i rapporti con le altre organizzazioni non governative che agiscono su scala internazionale.
Se qualcuno è interessato allo spirito che muove queste note e si fa avanti invierò altri materiali relativi:
a) problemi di libertà politiche e civili legati alla rivoluzione nel campo delle biotecnologie;
b) osservazioni su radio radicale;
c) liberalismo e fondamentalismo liberista.

PROLOGO NON “POLITICO”
Credo che la politica disgiunta dalla passione e dal sentimento, sia una morta cosa. Una cosa buona per il mestiere della politica e dei suoi “professionisti”, ma non per noi. La razionalità senza spirito è mera razionalizzazione. Per me l’urgenza di ricercare gli obiettivi possibili di un programma politico capace di rilanciare la spinta radicale per la costruzione di relazioni umane più giuste, non si può esaurire in sorta di fredda e astratta ingegneria politica. Prima di questa urgenza, o se si vuole, per rendere quell’urgenza dotata di senso e umana praticabilità, è necessario riguadagnare le ragioni di uno fondamento “spirituale” che sia capace di alimentarla. Non vi può essere impegno nella difesa della vita del diritto alla vita e del diritto alla vita senza, asfissiando l’imperativo che lo muove. Un imperativo che con Bertrand Russell potrebbe essere così espresso:

“Tre passioni, semplici ma straordinariamente forti hanno dominato la mia vita.., il desiderio di amore, la sete di sapere, e un’immensa pietà per le sofferenze umane…, queste passioni.., come venti possenti mi hanno spinto in ogni direzione…, in un volo capriccioso facendomi vagare sopra un profondo oceano di angoscia…, fino a quando ho raggiunto i limiti estremi della disperazione.., ho cercato l’amore perché esso conduce all’estasi…, un’estasi talmente grande che avrei sacrificato il resto della mia vita per poche ore di tale gioia.., e poi l’ho cercato perché mitiga la solitudine.., quella terribile solitudine, nella quale una coscienza tremante vede aldilà dei confini del mondo il freddo e tenebroso abisso senza vita…, e infine l’ho cercato perché nel congiungimento d’amore ho visto come in una mistica miniatura la visione che prefigura quello stesso paradiso che hanno immaginato di vedere i santi e i poeti…, questo è quello che ho cercato.., e per quanto possa sembrare troppo per la vita umana.., questo è quello che ho trovato.., con eguale passione ho cercato la conoscenza.., ho desiderato comprendere i sentimenti degli uomini.., l’amore e la conoscenza per quanto mi è stato dato di goderne.., mi hanno sollevato fino a toccare il paradiso…, ma ogni volta, la pietà mi ha ricondotto sulla terra…, l’eco delle grida di dolore risuonavano nel mio cuore…, bambini affamati.., vittime torturate dai loro oppressori… anziani indifesi considerati come un fardello dai loro figli.., e tutta la solitudine, la povertà e il dolore si facevano beffa di ciò che la vita umana avrebbe dovuto essere.., desidero fortemente alleviare i mali del mondo.., ma non posso farlo., e ne soffro.., questa è stata la mia vita.., l’ho trovata degna di essere vissuta…, se ne avessi la possibilità sarei felice di viverla di nuovo…”

A qualcuno potrà sembrare strano parlare di politica così ma è l’unico modo che mi riesce di vedere. Avevo visto l’anima tra i radicali, ma da un pezzo non mi riesce di trovarla. E comunque, se questa non è politica, chiedo a chi legge con un po’ di pazienza, tra un pò verrò anch’io ad essa.
Dopo la sconfitta nelle ultime elezioni politiche, la cosa più elementare, semplice, dovuta e decente sarebbe dovuta essere quella delle dimissioni del comitato e della direzione. Bisogna avere davvero la pelle dura per rimanere così tristemente e violentemente insensibili. Potrei fermarmi qui e non aggiungere null’altro, tanto è chiara, esplicita, istintivamente e intuitivamente compresa anche dalla più semplici e oneste delle menti la consapevolezza di quanta giustizia resa, si sarebbe contenuta nell’atto di quelle dimissioni. Ma non è stato così. Già!.., potrei, e forse dovrei, fermarmi qui, perché non dovrebbero occorrere altre parole tra chi ha la comune esperienza condivisa di questi anni, fatta di speranze, amicizie, entusiasmi e sofferenze. E poi a che serve! Hanno senso le parole in una tribù che tra gli officianti i suoi riti pare aver smarrito la capacità di riconoscere la “parola” ? Ma la speranza di poterla ritrovare da qualche parte deve comunque sopravvivere. Come si dice: la speranza è sempre l’ultima a morire. Ma fino a quando? Fino a quando ci sarà vita perché, al contrario, come diceva il poeta “anche la speme ultima dea fugge i sepolcri”. Ma pare che alle parole bisogna ancora ricorrere per chiarire e spiegare ciò che è alla luce del sole, anzi ciò su cui il sole non tramonta mai. Gia!.., ma forse è proprio per questo che si diventa ciechi. In qualunque altro luogo della politica italiana nel quale si dovessero sperimentare un limite di praticabilità “democratica” così vistoso come accade da noi, nessuno sarebbe disposto a rimanervi per più di un istante. Ecco la stranezza: ma in queste condizioni perché si continua a rimanere nella tribu? Che cosa fa sì che non ci si allontani, e di gran corsa, da un luogo politico che comincia ad odorare di incenso, e nel quale si incominciano a sentire gli strusci delle tonache e a officiare riti?
Forse perché non c’è luogo politico in questo Paese dove esiste un Forum come questo sul quale uno come me, o altri, può credere di parlare di politica al modo in cui gli piace. Già Ma perché lo fa? Perché crede, o può illudersi, di poter condividere ragioni comuni, e magari interloquire con un leader a cui quelle stesse ragioni non sono estranee, e che proprio per questo quel luogo politico senza quel leader diviene non pensabile. Ma è davvero così? Non so! Trovo il luogo e nessuno manifesta fastidio, c’è una bonaria, e non so quanto benevola, tolleranza. Penso all’esistenza di un leader, al quale credo ragionevolmente poter attribuire una comune ispirazione. Ci sono le attese per ciò che il leader dirà o farà. Ma penso che in questo c’è molta ingenuità. Rischiamo esistenzialmente e psicologicamente di trovarci come Vladimir e Estragon nel waiting for Godot. Inutile aspettare Godot non c’è. E non solo non sta dove crediamo che dovrebbe essere, egli semplicemente non sta da nessuna parte. Ma, ecco di nuovo la stranezza, o forse un’altra stranezza, incredibilmente è proprio grazie a questo inesistente Godot che io posso dilettarmi nello scrivere qualcosa che mi piace, e l’unico luogo in cui posso farlo è qui e, quindi, ancora vi resto. Quello che accade in situazioni siffatte è il determinarsi di uno stato passivo, con cui ci si rapporta rispetto al leader. Si rinuncia così non tanto, e non solo, a pensare, quando ad agire e se si agisce è sempre a seguito della sua sollecitazione. Ma questo è l’atteggiamento che solitamente sarebbe meglio lasciare al nostro rapporto con la divinità. La fede è bene riservarla a dio, agli uomini la fiducia, e quest’ultima si può togliere o restituire a seguito di una ragionata considerazione delle circostanze. Ma le cose non vanno così. E spesso fede e fiducia finiscono per confondersi.
Pannella è il leader dell’area radicale. Questo è un fatto. Nessun altro lo è. Ne Bonino nè nessun altro. Questo è un limite grave per un movimento che ha una storia più che quarantennale. Perfino nell’India di Gandhi, e si trattava di Gandhi, vi erano affianco della sua indiscussa leaderschip spirituale, altri uomini riconoscibili come leader. Io ho un’opinione che esprimo così: credo che sono pochissimi quelli che sottoscrivono per intero le posizioni di Pannella, molti quelli che hanno posizioni critiche rispetto a quelle che il leader esprime, pochi quelli che dissentono in maniera radicale. Se è vera l’opinione da me avanzata siamo in una situazione paradossale: da un lato tutti riconoscono la leaderschip indiscussa di Pannella, dall’altro tutti o quasi tutti dissentono da lui in maniera più o meno rilevante. Situazione questa potenzialmente capace di fecondità proprio per la sua paradossalità, ma questo paradosso genera però scarso interesse e una insufficiente discussione, o almeno una discussione chiara e coraggiosamente esplicita. E non tanto e non solo per il timore che la statura di Pannella incute, ma quanto, forse per il timore che abbiamo di noi stessi. e della nostra inadeguatezza.

LA CAUSA DELLA SCONFITTA NELLE ULTIME ELEZIONI.

Credo che la percezione che abbiamo dato alla pubblica opinione e ai possibili interlocutori politici della nostra totale inaffidabilità politica, sia da mettere nel novero delle ragioni dell'attuale insignificante marginalità politica dei radicali. La presunzione con cui "la classe dirigente radicale" ha commentato l'evento è per un verso irresponsabile per un altro penosa. E' irresponsabile perché, la fecondità che l'originalità radicale aveva saputo introdurre nella vita politica del paese, la sua irriducibilità maieutica, si è mutata in una specie di delirio di onnipotenza che lamenta come "il sale della terra" non potrà più dare sapore alla vita politica e civile del Paese. E' penosa, perché una bella storia va verso un destino che la dissolve nel suo tramonto gruppuscolare. Abbiamo fatto una campagna politica sui temi della libertà della scienza, sulle gravi e epocali questioni etiche sollevate dalla microbiologia, senza aver tentato minimamente di preparare con scienza e coscienza il terreno e gli strumenti con cui condurre una battaglia che è necessariamente di lungo periodo. Siamo passati da tre anni di istupidimento liberista, spinto fino ai limiti del fondamentalismo di mercato, tra l'altro su questioni di riforma economica marginali, che qualsivoglia governo, come è accaduto e sta accadendo, di centrosinistra o di destra, avrebbe dovuto, e ha messo, nella sua agenda politica, da Amato a Berlusconi. Abbiamo evocato il terzo stato delle partite iva, quando avremmo dovuto evocare il terzo stato di una modernizzazione delle relazioni interne all'Italia e internazionali, capace di mettere al centro una nuova spiritualità a cui paradossalmente, solo risponde quel monopolista di sempre che è la chiesa cattolica. Avevamo un bisogno disperato della passione di un "Idealismo", magari romantico, sorretto dal rigore dell'intelligenza di un grande sforzo teorico, e invece ci siamo consegnati al mestiere senz'anima di una "realpolitik", che ha confuso la prassi, con lo schiacciamento su un empirismo senza respiro. E' stato scritto che una prassi senza teoria è cieca e che una teoria senza prassi è vuota. Forse si potrebbe aggiungere che una teoria senza immaginazione è pura tecnica e mero specialismo e una prassi senza passione è triste e tristo agire burocratico. Mi consento un'autocitazione. Nel febbraio del 1999 in un documento dal titolo "Contributo all'assemblea dei Mille" e inviato alla direzione avevo scritto:
"Ci troviamo di fronte ad effetti rivoluzionari nel campo delle tecnologie e delle scienze biologiche che obbligano a ripensare l'istituzione stessa della famiglia e delle relazioni parentali. Una forza che per tradizioni e ambizioni voglia dirsi radicale non può eludere la portata di simili effetti. La mistificazione e la falsificazione che la teologia ha fatto del cristianesimo si trova oggi ad affrontare emergenze per la sua sopravvivenza ben più impegnative di quelle a cui venne costretta da G. Bruno, Galileo e Darwin. Oggi non è possibile allestire roghi, ma si possono imbastire processi inquisitori, con legislazioni che blindano il diritto e i diritti di libertà con i simulacri di un'etica antica di duemila anni. L'ingegneria genetica e le sue applicazioni nella sfera della vita umana, da un lato costringono ad un ripensamento di nuove forme di spiritualità, dall'altro stanno già condizionando le vite concrete e i rapporti interpersonali, che mettono in discussione dalle radici l'istituzione della famiglia, le relazioni parentali, la procreazione e offrono la replicazione della materia biologica in forme inimmaginate, e inimmaginabili. Le ricerche sulla clonazione e le sue applicazioni nel campo della cura di terribili malattie genetiche, la fecondazione assistita, il diritto dei single di poter procreare e adottare, scuotono l'assetto di pregiudizi morali posti a fondamento della "sacralità della nozione di famiglia monogamica". E che questo non sia un discorso campato n aria, viene messo drammaticamente in luce dalla discussione in corso nel parlamento di leggi di regolamentazione della fecondazione assistita e dalla emanazione dei decreti incostituzionali della Bindi, con cui si vieta la ricerca di base nel campo della biologia molecolare applicata alla clonazione. E' assai probabile che se passano gli intendimenti conservatori, illiberali e incostituzionali di gran parte del Parlamento dovremo riprendere la strada referendaria per l'affermazione del diritto e dei diritti in questi ambiti. In tale contesto diviene un dovere, per chi è anche solo men che radicale, lanciare una battaglia per il riconoscimento dell'eutanasia del diritto alla "buona morte", come parte integrante, e oggi non riconosciuta, del rispetto del diritto alla vita. E ciò diviene una urgenza per dare una speranza in più ad una possibile, e più umana felicità. Si tratta di aggredire la legislazione sulla famiglia e le relazioni parentali in tutti i suoi aspetti: legalizzazione delle unioni tra omosessuali, adozioni, rapporti legali genitori-figli, divorzio (oggi si incontrano più problemi in una causa di divorzio di quanti con esso si voleva risolvere). Nuove inquisizioni per vecchi integralismi, combattono la loro battaglia contro il libero pensiero e la ricerca scientifica con metodi assai più raffinati e pericolosi. In questa guerra esse riescono a utilizzare perfino l'opera di quelli, che per la libertà di pensiero furono torturati e emarginati. Non è infrequente trovare laici e chierici illuminati, magari galileiani e volterriani, che non s'avvedono di quanto aristotelismo inquisitorio v'è nel loro progressismo.
Fame, guerre, stermini, genocidi, esodi e migrazioni planetarie sono la conseguenza, se non solo, anche della esplosione demografica. Popper includeva la bomba demografica tra i più grandi pericoli che minacciano la pace e la convivenza tra gli uomini. La battaglia per il controllo delle nascite, non può non divenire uno dei terreni di politica interna e internazionale per tutti noi."
L'esito fu che non riuscii nemmeno a intervenire nel dibattito!
Abbiamo preteso tre mesi prima della campagna elettorale, di sollevare queste questioni pretendendo che potessero farci uscire dal fondo di bottiglia in cui la campagna liberista ci aveva cacciato. Sollevare cosi repentinamente una complessa questione non poteva non apparire meramente strumentale, come strumentale è apparsa tutta la vicenda di Luca Coscioni. E non siamo stati creduti, non perché gli i cittadini sono ignari e vittime del raggiro di un perverso regime di occulti e manifesti persuasori, ma più semplicemente perché non credibili, volubili, capricciosi e immodesti. E così pure la drammaticità di una forma di lotta estrema, ha rischiato di risolversi in esiti tragicomici, se non fosse stata che, con quel gesto sconsiderato, Emma Bonino comunque metteva a rischio inutile la propria salute. Non si spara ad un moscerino con un fucile. Una regola semplice e elementare per determinare il consenso in politica è che il mezzo deve essere coerente e congruente con il fine. C'è stato un grave errore di valutazione dei fatti e chi lo ha compiuto non può far finta che non sia successo niente credendo di rimare al timone di una barca che affonda nell'indifferenza generale.


UN PROBLEMA

Nelle varie forme che di volta in volta il movimento radicale ha assunto vi è stata praticabilità di autentica vita democratica? Se Pannella leggesse queste righe già immagino il suo commento: imbecille!
Lo so !…, e si potrebbe avere ragione se si confondesse la democrazia con il democraticismo. Ma quella distinzione mi è ben chiara. So bene che per Pannella come per noi, la democrazia è tale solo se nel suo concetto include regole condivise di organizzazione. E probabilmente si possono definire “imbecilli” le richieste di spazi di democrazia in un luogo politico, che nella fattispecie non si è dato delle regole che statuiscono, in punta di diritto, i rapporti trai suoi frequentatori (militanti?). In fondo che cos’è la Lista Bonino? Ha degli iscritti? Uno statuto approvato da un’assemblea di iscritti? C’è un gruppo dirigente eletto, a cui un congresso ha conferito un mandato politico? C’è una direzione eletta con compiti e attribuzioni esplicitamente definiti da uno statuto? Mi pare di no. In fondo noi militanti siamo dei “chiamati” ai quali il conferimento dello stato di “eletti” spetta solo al leader. Quindi chi decide di stare in questo luogo politico lo fa in assoluta libera scelta, accettando liberamente, e consapevolmente, la inesistenza di regole, o l’esistenza di quelle che di volta in volta che il leader ritiene di stabilire per il movimento. Non che manchi la discussione solo che questa serve, quando ne ricorre l’occasione, solo a rafforzare, inevitabilmente, il rapporto tra il leader e gli altri. E ciò accade non per imposizione, o occulta persuasione, ma per l’obbiettiva, e universalmente accettata, superiore statura del leader. L’assenza di regole in un luogo politico non può determinare l’esercizio della democrazia, e nemmeno quello di una dittatura, perché una dittatura che si rispetti ha sempre delle regole e un diritto. Che cosa allora può produrre? Due forme possibili: o l’esercizio anarcoide del democraticismo, oppure una forma assai strana che non è neppure delle monarchie assolute ( perché anche queste avevano delle regole a cui i sovrani dovevano attenersi, Machiavelli in questo fu un anticipatore), ma qualcosa che assomiglia ad una leadership che prima di essere di natura pratica, e quindi politica, è essenzialmente spirituale. Questa forma di dominanza spirituale è cosa diversa da quella che caratterizza il rapporto tra il leader religioso e i suoi fedeli, perché in quel caso la natura del vincolo spirituale non deriva dall’interno del rapporto tra leader e che credente, ma all’esterno di esso. Infatti la fonte di quella spiritualità sta tutta nelle opere e nella parola dei profeti di dio. Insomma una forma di relazioni umane che possiede qualcosa di sacro e che nelle sue proposizioni più significative, accanto alle linguaggio discorsivo, utilizza metafore e simboli per potenziare la comunicazione tra la leadership e i membri della comunità. Credo che il significato del volto di Gandhi stampato su uno dei nostri manifesti, stia non solo nella ispirazione della storia radicale al suo pensiero e alla sua opera, ma anche nella somiglianza di stile con quello Mahathma. Le fonti della spiritualità gandhiana sono interne all’opera creatrice del Mahathma (L’anima). E penso che, similmente, e pur nella dovuta considerazione delle proporzioni, la sostanza della leadership di Pannella si contiene in una spiritualità, la cui fonte è tutta interna all’opera che, in condizione diverse, egli ha di fatto introdotto nella vita politica del nostro Paese
Ecco allora quella che secondo me è l’enunciazione vera del problema:
se, per le cose che per l’innanzi ho sostenuto, il rapporto con Pannella non può essere posto in termini di democrazia, perché la natura spirituale della sua dominanza si colloca fuori di essa, la politica che essa produce invece lo è, come lo è il rapporto dei militanti tra di essi e con la cosiddetta “classe dirigente del movimento radicale”.
Il marasma nel quale ci troviamo e l’incapacità di venirne fuori trova nella sovrapposizione dei piani, di cui per innanzi si è detto, una delle loro possibili cause.