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copertina.jpg (18783 byte)Il Partito che non c'era - on line
Storia di un appuntamento mancato

CAPITOLO 5

RADICALI TRA DIVERSITA'E COERENZA

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L'idea di uno scioglimento del partito radicale e della sua sostituzione con uno strumento ancor più docile e congeniale alle iniziative di Pannella fu da questi fatta balenare al congresso straordinario della fine d'estate del 1981 alla "Tenda a Strisce" in Roma. Si erano da poco svolti i referendum per i quali il partito aveva raccolto le firme nell'anno precedente, falcidiati dalla Corte Costituzionale. Insieme ad essi il referendum, di segno opposto a quello radicale, su alcuni articoli della legge sull'aborto proposto da organizzazioni cattoliche.

Malgrado la netta sconfitta del referendum clericale antiabortista, l'esito era stato per i radicali assai pesante, con percentuali per le abrogazioni da loro proposte di leggi e parti di esse (aborto, legge Cossiga, porto d'armi, ergastolo) che andavano dall'11,5 per gli articoli della legge sull'aborto al 22,8% sull'ergastolo.

A parte l'assoluta inadeguatezza a condurre una campagna così vasta di una piccola forza politica senza alcun supporto e senza neppure la benevolenza dei mezzi di informazione, senza alleanze e senza adeguata preparazione, si trattava di uno scontro su temi tutt'altro che semplici (si pensi all'abolizione degli articoli che nella legge sull'aborto istituiscono una sorta di aborto di stato) in contrapposizione ai luoghi comuni correnti e nel momento meno favorevole.

Come se ciò non bastasse, Pannella si era tirato da parte nella conduzione della campagna per il voto referendario (o in quel poco che era possibile farne). La stessa cosa doveva avvenire nel 1987 nella campagna per il referendum sulla responsabilità dei giudici e, soprattutto, nel dibattito parlamentare sulla legge truffa che fece seguito al voto, questa volta, seppur inutilmente, positivo.

I referendum erano stati varati senza nessuna autentica valutazione politica della "presa" del quesito referendario sulla pubblica opinione e tanto meno delle possibilità di gestione della campagna. Si era andati avanti sul presupposto che, una volta indetti i referendum, i partiti di una certa area non avrebbero potuto fare a meno di esserne coinvolti, così come era avvenuto per il divorzio o, in assai minor misura, per la legge Reale (1978), né era pensabile un orientamento positivo spontaneo di larghe masse, come era avvenuto per la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, quesito semplice di grande effetto, in cui era stato sfiorato il successo (43,6%) contro lo schieramento unanime degli altri partiti, con un risultato politico rilevantissimo.

Il risultato dei referendum aveva portato il Partito Radicale ad una conclusione, anch'essa generica ed approssimativa, sull'impraticabilità della "via referendaria". Il Congresso aveva messo una toppa, affermando nella mozione conclusiva che i risultati dei referendum ottenuti da soli contro tutti, facevano del Partito Radicale un partito che aggregava circa tre milioni e mezzo di aderenti sul suo programma, espresso dai quesiti referendari. Proposizione azzardata, non solo, ma che rappresentava l'ammissione di una chiusura in se stesso del partito, oltre che di un uso distorto ed improvvido dei referendum.

Era anche l'epoca dei più pericolosi digiuni di Pannella che, se riuscivano a creare intorno a lui tra i compagni di partito l'impossibilità di discutere o contrastarne le iniziative, non raccoglievano neppure folle di digiunatori disposti a condividerne i rischi fino in fondo.

Così Pannella, lanciando la "rifondazione" del partito, parlò anche di un gruppo di "Teste di Cuoio", cinquecento persone disposte a seguirlo nelle sue lotte, "armate di non violenza" etc.etc.

Insomma parecchi radicali potevano considerarsi di troppo. Parole che avremmo fatto bene a meditare più attentamente e che hanno trovato la loro spiegazione e la loro realizzazione, con orpelli e giustificazioni complicati ed ancor più complicate evoluzioni, in anni recenti.

La "rifondazione" del partito, in realtà non avvenne mai, neppure per ridurlo a quella "compagnia della morte" preconizzata da Pannella: la stessa trasformazione nel cosiddetto transnazionale e transpartitico avvenne, come poi vedremo, sopprimendo semplicemente il partito, ridotto ad una lista di sottoscrittori e ad un manipolo di amministratori dei patrimonio.

Il superamento, bene o male, della prova elettorale del 1983, la notevole ripresa, attorno alla candidatura di Enzo Tortora, alle elezioni europee del 1984, non erano valsi a dissipare una certa atmosfera di malessere del partito, che del resto si proiettava nella sua incapacità di aggregare un numero di iscritti di qualche consistenza e di realizzare una qualche iniziativa politica coerente e non intermittente nel segno e nel senso della lotta alla partitocrazia, che andasse al di là della mera denunzia e delle lagnanze per la gestione dell’informazione radiotelevisiva.

Il partito, malgrado il successo del 1979 ed i risultati elettorali delle successive prove, continuava ad essere privo di ogni presenza attiva, di ogni concreto ancoraggio nelle varie regioni, nelle città, al Sud come al Nord, privo di ogni capacità di espressione di esigenze, stati d’animo, interessi emergenti nei vari luoghi e nelle varie fasce sociali e condannato quindi ad una sorta di astrattezza anche nell'affrontare questioni gravi ed attuali.

Ma soprattutto l'evanescenza dell'aggregato radicale come partito si manifestava nella mancanza di qualsiasi influenza degli iscritti rispetto agli organigrammi (per quel tanto che esistevano) ed alle scelte politiche del partito stesso. Anche l'unica occasione di deliberazione politica, il congresso, proprio perché aperto a tutti gli iscritti, non consentiva alcun effettivo dibattito. I congressi, del resto divenivano sempre più dei monologhi di Pannella ed i deliberati congressuali, benché sempre corrispondenti alle sue indicazioni, non hanno mai rappresentato un dato effettivamente vincolante né per il partito né tanto meno per Pannella.

A sottolineare l'assoluta mancanza di ogni effettiva partecipazione politica degli iscritti alla vita del partito basterebbe del resto la formula d'uso degli annunzi di iscrizione dati da Radio radicale nelle sue campagne di tesseramento: "...Tizio si iscrive per 200 mila lire...". Insomma, una specie di pubblica sottoscrizione.

La mancanza di una vera elaborazione collettiva dell'iniziativa politica e della sua conduzione, così come la mancanza di un effettivo radicamento del partito nelle realtà sociali del Paese, da una parte consentiva una grande agilità di movimento, ma di contro, oltre che determinare la fragilità di ogni mossa, finiva per favorire la discontinuità e la volubilità deflazione politica, al di là delle stesse inclinazioni di Pannella, rendendo meno affidabile il personaggio e la sua formazione Politica.

Per quanto potesse parlarsi di crisi del Partito radicale, si trattava tuttavia di crisi per inadeguatezza ad un ruolo che l'opinione pubblica continuava, malgrado tutto, ad attribuirgli. Crisi, dunque dell’offerta, si potrebbe dire, non della domanda. Una domanda, oltre tutto, destinata a crescere ed intensificarsi per il progredire dello scadimento dei regime, per il montare dell'insofferenza e della protesta per i metodi della partitocrazia, per la corruzione, per il clientelismo.

Comprendere, tutto ciò, adeguare le strutture, le iniziative, l’immagine del partito radicale per soddisfare questa domanda, per svolgere il ruolo alternativo al metodo della partitocrazia giunta al tramonto, allo sfascio, era un compito duro, difficile, perché difficile era resistere, saper aspettare, non mancare all'appuntamento.

Questa capacità di resistere, attendere, comprendere la domanda e saper dare una risposta al momento giusto non l'hanno avuta né Pannella, né il Partito Radicale.

Il discorso sulla mancanza di democrazia in Italia, sul regime, sul "monopartitismo imperfetto", sulla cancellazione di fatto delle forze di opposizione, se non nella loro possibilità di esistenza fisica e giuridica, nella loro immagine reale conoscibile dalla gente, nella possibilità di trasmettere alla pubblica opinione le loro iniziative, le loro valutazioni, le loro prese di posizione, diveniva, col passare del tempo, non più un discorso di protesta, un mezzo per smascherare e combattere il regime, quanto una sorta di giustificazione, la premessa di una resa. E sempre più insistentemente si faceva avanti l'ipotesi di scioglimento, chiusura, cessazione delle attività del partito radicale. Si cominciava anche a parlare di ricercare uno sbocco nella creazione di più ampi schieramenti da perseguire con l'introduzione del sistema elettorale uninominale.

La questione della chiusura del partito fu affrontata al congresso del 1986 in Roma, in mezzo ad equivoci e riserve mentali di quanti erano convinti che si trattasse del solito giuoco d'azzardo di Pannella, inteso a suscitare il dramma intorno al partito per ottenere un'ondata di commozione e di adesioni. Che tale intendimento vi fosse è difficile negarlo. Ma che Pannella non volesse in nessun caso dare per scontata l'esistenza del partito e considerasse la sua soppressione come una carta da giuocare in una qualche operazione politica, era ormai altrettanto difficile escluderlo. La riprova si ebbe nel 1987, quando il congresso si riaprì in una seconda sessione dopo aver chiuso la prima con una deliberazione che subordinava l'esclusione della chiusura al raggiungimento di almeno 10.000 iscritti, obiettivo difficilissimo, data la base di partenza, che tuttavia fu raggiunto e superato, sull'onda, soprattutto, dell'emozione per l'assoluzione di Tortora, che coronava una grande campagna radicale di giustizia.

La campagna per le iscrizioni aveva puntato sui valori di tutte le battaglie radicali per i diritti civili, rinvigorendo l'immagine del partito diverso, moralmente forte nella sua fragilità in un sistema corrotto della partitocrazia e dell'autoconservazione. Si era oramai certi, o quasi, che si sarebbe votato a giugno.

A quel punto le elezioni anticipate potevano servire per suggellare la ripresa di vitalità del partito con un successo elettorale. "E adesso due milioni di voti" sarebbe stato lo slogan con cui chiudere quel congresso. Pannella impedì tutto ciò. Il congresso, ridotto ad una parata di interventi alternati di un italiano ed uno straniero, non affrontò affatto il problema di come sfruttare il successo.

Anzi, Pannella si preoccupò di dare al raggiungimento della condizione posta per la sopravvivenza un carattere del tutto interlocutorio, ponendo una nuova condizione: quella del raggiungimento di tremila iscritti stranieri entro il prossimo congresso ordinario di novembre.

Si andava, oramai, verso il "transnazionale".

Quanto alle oramai prossime elezioni era prevista la convocazione di un ulteriore congresso straordinario che fu effettivamente tenuto il 25/26 aprile '87, quando lo scioglimento anticipato delle Camere era certo. E tuttavia quel congresso non decise la partecipazione, subordinandola al fatto che le Camere fossero sciolte dopo un voto di sfiducia e non invece per il caso in cui il governo uscito dalla crisi avesse ottenuto comunque la fiducia del Parlamento. Era un ulteriore ricorso al "tira e molla" più esasperato, caro a Pannella, ma era anche un modo per ancorare la presenza e la funzione radicale ad un dato tattico ed al braccio di ferro Craxi - De Mita all'interno della partitocrazia e quindi per togliere credibilità al partito quale antagonista della partitocrazia stessa, con i suoi giuochi inconcludenti di potere, oltre che, ovviamente, un modo per sottolineare la persistente precarietà del partito.


CR Critica Radicale - 16/03/13 - E-mail: info@eclettico.org