wpe2.jpg (4456 byte)Capitolo 4: Il nuovo PR: Pannella
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CAPITOLO IV LA SVOLTA:

IL NUOVO PARTITO RADICALE - L’EPOCA PANNELLA

La   sinistra radicale e il nuovo partito

Dopo la crisi del 1962 che, come abbiamo visto, segnò la fine del primo Partito Radicale, l’unica organizzazione del partito che rimase in piedi fu la corrente di sinistra1 che aveva nel gruppo romano il suo nucleo fondamentale2. Tale gruppo si trovò alle prese con notevoli problemi di organizzazione e di immagine; infatti mentre il Partito Radicale di Pannunzio3 aveva un nucleo dirigente formato da nomi prestigiosi e di solida esperienza politica, e poteva contare per di più sull’appoggio di settimanali come "Il Mondo" e L’Espresso, il nuovo gruppo era formato da giovani provenienti soprattutto da associazioni universitarie4, con scarsi legami con il mondo politico-istituzionale e con tecniche di azione politica innovative e profondamente differenti dai predecessori radicali: "Non c’è dubbio che il patrimonio radicale appartenesse appieno alla sinistra radicale non solo sul piano storico-ideale ma su quello politico...ma vi erano stati altri esperimenti ed esperienze...l’esperienza dell’Unione Goliardica italiana e della politica universitaria"5. Gli atteggiamenti e il modo di fare politica del nuovo partito derivavano proprio dalla presenza politica laica nell’Università che sin dal 1949 era stata un fenomeno originale. Da questa esperienza derivarono il senso della concezione dell’autonomia di ciascun momento politico nei confronti di dipendenze e egemonie partitiche ed un senso della politica e delle sue alleanze diverso rispetto ai metodi tradizionali. Per un decennio infatti la politica universitaria aveva rappresentato una sfera fortemente autonoma rispetto agli equilibri politici del paese: "...e in particolare la forza laica dell’UGI non era per nulla stata la trasposizione meccanica dei partiti laici minori (PLI, PRI, PSDI), ma un momento vissuto nella sua specifica esperienza intorno a cui si formavano ragioni di unità, di convergenza e di divisione...la formula che espresse nell’UGI tale metodo, " non unità delle forze laiche ma unità laica delle forze come fondamento della democrazia", simboleggiava la lontananza da qualsiasi concezione terzaforzista dei partiti minori e affermava invece come valore il metodo laico del modo in cui si sta insieme piuttosto che la matrice ideologica"6. L’associazionismo già applicato nell’ambiente universitario dai laici dell’UGI sia con le componenti comuniste che cattoliche, fu infatti per la sinistra radicale, ormai partito politico, una riscoperta cardine, tant’è che il nuovo PR avrebbe ricercato con ostinazione, modalità di unità a sinistra rifiutando formule "frontiste": "Del resto il movimento universitario laico aveva saputo guadagnarsi su queste linee un’effettiva egemonia nella prima metà degli anni ‘50; e tale successo ebbe probabilmente influenza nella convinzione dei nuovi radicali di potere ripetere anche nel paese, ciò che si era verificato nell’Università, e cioè affermare un vigoroso movimento laico e non solo una posizione laica...Un’impostazione assai simile a quello delle associazioni ugine, basata non su criteri organizzativistici o ideologici, ma su forme aperte, si sarebbe quindi ritrovata nei movimenti e leghe promossi dai nuovi radicali"7. I concetti dell’UGI furono dibattuti, ancora minoritari, al momento dello statuto del primo PR nel 1956, e poi avrebbero avuto maggior fortuna giungendo a maturazione definitiva nello statuto che il nuovo PR si dette nel 1966. Il nuovo PR già dai primi mesi di vita si fece interprete di una teoria mirata ad identificare la DC non solo come partito di governo, ma come struttura portante di regime. Cade l’illusione che la situazione italiana possa ancora qualificarsi come tipica di un paese a democrazia liberale fondata sull’ alternanza al potere, che è monopolizzato dalla DC. La soluzione reale era quindi l’alternativa di sinistra: "Questa posizione rappresentò allora un fatto di profonda rottura...ma la novità fu rappresentata dal fatto che a caratterizzarsi su questo discorso era una forza politica non marxistaleninista"8.

Il nuovo Partito Radicale mosse i primi passi nel Consiglio Nazionale, svoltosi a Bologna nei giorni 9 e 10 marzo 1963, quando venne approvata una mozione che prevedeva la riorganizzazione strutturale del partito con caratteri federativi, mozione che ribadì inoltre l’opposizione al centrosinistra e rivendicò l’unità delle sinistre come unica alternativa laica e democratica all’egemonia democristiana9, tant’è che alle politiche del 1963 i radicali non si presentarono con una lista propria ma preferirono dare un’indicazione di voto per i quattro partiti della sinistra10. I primi anni dell’attività radicale furono caratterizzati dalla ricerca di una formula autonoma, e nonostante le difficoltà organizzative, il nuovo partito manifestò subito la sua caratteristica indipendente dagli altri partiti di sinistra: "Il fatto che vi fosse in quei tempi una indicazione di voto comunista costituiva per i radicali la vera novità politica"11. La creazione, il 15 luglio 1963, di un’agenzia di stampa quotidiana, Agenzia Radicale, rispose proprio all’intento di dare voce alla rinnovata presenza del partito: "...uno strumento che si rivelerà insostituibile e tipico del modo di fare politica dei radicali... ciclostilato quotidiano di politica sindacale, unità e rinnovamento della sinistra, antimilitarismo, anticlericalismo, lotta alla corruzione politica e alla baronie economiche.."12. Dal gennaio del 1964 sino al 1967 Agenzia radicale portò avanti importanti campagne di denuncia e di informazione, quali l’inchiesta sull’ENI e sui finanziamenti elargiti dall’ente pubblico a stampa e partiti, nonchè la campagna sull’assistenza pubblica e sulla gestione democristiana dell’INPS e dell’ONMI13. Parallelamente all’azione dell’agenzia di stampa i radicali furono presenti in numerose organizzazioni e iniziative unitarie della sinistra, nelle quali portavano temi, che sin d’allora emergevano come caratteristiche del partito: laicismo e anticlericalismo, pacifismo, antimilitarismo14 e internazionalismo. Questa concezione radicale della politica intesa come intervento sui problemi concreti, nonchè un’organizzazione agile resero questo nuovo partito assai anomalo rispetto ai tradizionali partiti abituati a rigidi apparati e lo videro al centro di vivaci polemiche soprattutto con il PCI: " Il partito doveva essere un gruppo di persone che fanno politica, che si battono per certi obiettivi...partito non di massa, non di élites, ma di militanti, persone che hanno la capacità di pagare alla vita politica, col loro impegno personale, la fedeltà alle loro idee e ai loro programmi".15

In quegli anni si andava sviluppando il dibattito sull’unità delle sinistre: esauritosi rapidamente la spinta riformistica del centrosinistra e le speranze che intorno ad essa erano nate, in alcuni settori della sinistra si poneva il problema di un’alternativa alla DC. Il PR si era espresso in senso contrario sia alla formula del centrosinistra (considerata una gabbia per il PSI), sia all’eventuale unificazione delle sinistre non ritenuta una reale prospettiva di alternativa al potere democristiano: "Le proposte di unificazione delle sinistre vorrebbero porsi come via d’uscita al continuo deterioramento del governo e della politica del centrosinistra...il Partito Radicale ritiene che una proposta di unificazione delle sinistre sia valida solo in quanto si basi sui seguenti punti: a) essere chiaramente posta come reale prospettiva di alternativa b) prevedere una trasformazione degli attuali apparati dei partiti della sinistra... Si pone quindi il recupero di una chiarezza interna alla sinistra italiana..."16. Nel 1966 il PR si presentò alle amministrative17 accordandosi con il partito politicamente più vicino, il PSIUP (nato nel 1964 dalla scissione della sinistra socialista), con il quale strinse alleanze elettorali a Roma e a Genova: "Il PSIUP sembrava costituire il partito della sinistra che più di ogni altro affermava la volontà della contrapposizione frontale al mondo cattolico e della conservazione"18. Il risultato elettorale fu giudicato dal PR assai utile soprattutto per verificare la consistenza dell’elettorato radicale19. Alla vivace attività politica radicale di quegli anni non corrispondeva però una sua crescita organizzativa: il numero degli iscritti non superava il centinaio, il bilancio basato sulle quote degli iscritti e sui contributi dei simpatizzanti era assai modesto20 e per il piccolo partito si poneva seriamente il problema di darsi una struttura pari adeguata agli innumerevoli interessi che portava avanti21. Dal settembre del 1966 il PR, che aveva già come caratteristiche politiche peculiari l’antimilitarismo, il laicismo e i diritti civili, si trovò impegnato nella preparazione del suo congresso di rifondazione22.

Il criterio base seguito dalla commissione23 rispondeva a un quesito fondamentale: come ricostruire un partito, che ormai aveva una sua collocazione politica, capace di suscitare consensi, quali strutture creare per non disperdere il patrimonio acquisito e per essere in grado di affrontare il lavoro futuro. La commissione individuò quattro temi di lavoro: il primo riguardava i diritti civili in cui venivano messi a punto proposte sul divorzio e l’obiezione di coscienza. Il secondo riguardò le istituzioni e le strutture dello stato, mentre il terzo si occupò dei rapporti internazionali e sui modi delle lotte pacifiste e del federalismo europeo. Il quarto infine, che ebbe come argomento il partito moderno e laico, cercò di individuare una forma di partito diversa dai tradizionali partiti burocratici e si pose come obiettivo l’elaborazione " di tesi valide per tutta la sinistra, nella prospettiva della costruzione di una società laica...in vista di una prospettiva politica: l’unità delle sinistre e la costruzione di un’alternativa democratica e socialista."24. Il dibattito preparatorio al Congresso fu lungo e accurato: il nuovo partito doveva essere un modello per tutti i partiti di sinistra, non un partito di elitè ma aperto al contributo diretto e al controllo della gente e autonomo finanziariamente. Si faceva quindi strada l’idea di un partito non solo di militanti, ma anche di associazioni che potessero aderire su specifici temi conservando contemporaneamente la propria autonomia. Altro punto dibattuto era quello riguardante il Congresso, annuale, che doveva impegnare il Partito non su programmi di carattere generale ma su singole battaglie politiche. Ampia autonomia era lasciata alle differenti istanze locali, unità base del partito era infatti considerata la federazione regionale25. Il III Congresso radicale26 si tenne a Bologna nel maggio 1967, aperto anche a non iscritti e a militanti delle altre organizzazioni della sinistra. Inaugurato con il titolo significativo " I radicali per l’alternativa laica ", nella mozione politica finale ribadiva i temi principali dell’anticlericalismo, dell’antimilitarismo, della lotta per i diritti civili27. Lo statuto uscito dal Congresso28 dava le caratteristiche al partito: una federazione di autonomi partiti regionali, autofinanziamento, autonomia delle federazioni di base, pubblicità dei bilanci, cariche non retribuite: "...Il Partito Radicale è un organismo politico costituito dagli iscritti 29 al partito, dagli iscritti nella associazioni non radicali aderenti a livello regionale, dalle associazioni radicali, dai partiti radicali regionali... Gli organi del Partito federale sono il Congresso da tenersi ogni anno (quello ordinario), che decide la linea politica, ed elegge gli altri organi, il consiglio federativo che coordina la politica del partito federale con quella dei partiti regionali, il Segretario che ha la funzione di attuare la politica decisa dal congresso, la giunta, il tesoriere, e il collegio dei revisori dei conti... I Finanziamenti provengono dalle quote individuali degli iscritti, dalle quote delle associazioni ( per le quali non è prevista l’iscrizione al PR) aderenti a livello regionale"30.

Il quinquennio successivo al Congresso di rifondazione vide il Partito Radicale impegnato nella tematica dei diritti civili: "I radicali hanno contribuito a trasformare in politica ciò che politica non era: l’individuo è diventato politico, il bisogno del singolo si è legittimato per se stesso, il represso è divenuto espresso"31. L’impegno radicale su questo fronte si concretizzò in diverse iniziative: giustizia, sessualità, abrogazione del concordato, analisi della condizione della donna (proprio in quell’anno nacque anche la LID)32, obiezione di coscienza: "La scelta culturale dei radicali del ‘66 fu proprio quella di recuperare nel patrimonio teorico e storico della sinistra molto di ciò che era stato liquidato e abbandonato come utopistico...ricercando nelle antiche lotte socialiste quei valori del liberalismo e della democrazia che avevano preso corpo nelle lotte del proletariato contro la borghesia"33 .Tutta l’azione del PR in questi anni tese infatti a costruire una posizione politica autonoma sulla base di singole battaglie e di un rapporto con la sinistra tradizionale esclusivamente misurato sull’adesione ai contenuti delle stesse battaglie e basato su una unificazione politica ma solo a patto che queste battaglie fossero condivise dalle correnti maggioritarie dei comunisti e di socialisti: "La strada scelta dai radicali...fu la strada difficile di una minoranza culturalmente rifiutata e ignorata"34.

Il PR promosse iniziative politiche originali e volte a rendere concreta la sua linea politica dichiarando il 1967 " Anno Anticlericale ", e promuovendo il 12 febbraio del 1967 al teatro Adriano di Roma la prima grande manifestazione pubblica di questa iniziativa radicale: "Sarebbe stata la rivincita morale di uno dei maestri del radicalismo italiano Ernesto Rossi, morto due giorni prima e autore di tante parole anticlericali come queste: "...i dirigenti dei partiti progressisti devono convincersi che la lotta anticlericale è di nuovo, oggi in Italia, lotta contro la reazione...occorre che tutti coloro a cui puzza il dominio dei preti siano fermamente decisi a riprendere il cammino sulla strada che nel 1870 ci condusse al trionfo della breccia di Porta Pia"35.

L’iniziativa "1967, anno anticlericale" autofinanziata e organizzata dal PR ebbe vaste adesioni in Italia tra i partiti di sinistra. Tra le tante manifestazioni, quella clamorosa di quell’anno fu la presenza di radicali in Piazza San Pietro, che all’udienza domenicale del Papa riuscirono a portarsi fra le prime file a mostrare cartelli di protesta contro la Chiesa.

Anche sul piano elettorale la volontà autonoma del partito fu confermata dalle elezioni del 1968 in cui i radicali optarono polemicamente per la scheda bianca, poiché le forze nuove della sinistra non avevano alcuna possibilità di essere presenti efficacemente nella competizione elettorale ed erano estromesse dalla informazione politica, soprattutto televisiva, volta a tutto vantaggio dei partiti rappresentati in Parlamento: "Apparve lì per la prima volta la polemica sull’uso dei mass media e sulla loro centralità nel gioco democratico..."36. La contestazione operaia e studentesca di quell’anno vide il PR su una posizione marginale poichè nonostante molti temi, come l’antimilitarismo, fossero comuni, il carattere di massa del movimento contestatore di quell’anno rese difficile la visibilità e la capacità organizzativa del PR: "Durante questo periodo i radicali furono per lo più impegnati nella battaglia per il divorzio, e solo marginalmente si trovarono coinvolti nei movimenti del tempo...I radicali si trovarono in posizione esterna al movimento, pur se l’esistenza stessa del gruppo radicale aveva la sua ragion d’essere proprio in due modi che si ritrovavano alla base dello stesso movimento: la necessità di rompere con lo stagnante equilibrio politico e il rifiuto dei modi burocratici di fare politica con il ricorso all’azione diretta"37. Ma i radicali, pur impossibilitati a superare il salto tra gruppo di minoranza e gruppo di massa, approvarono quel rivolgimento sociale tant’è che proprio due radicali, Carlo Oliva e Aloisio Rendi, scrissero un documentato studio su Il movimento studentesco e le sue lotte, e partecipando con interesse a convegni sul tema come per esempio quello tenutosi a Bologna nel febbraio 1968 dal titolo Credenti o non credenti per una nuova sinistra: "nasceva allora la speranza di una nuova sinistra...i radicali guardarono con interesse a tale aggregazione, sia per il processo di laicizzazione, sia per la forma di organizzazione nuova ipotizzata"38. Il V Congresso del partito, svoltosi a Ravenna nei giorni 24 novembre 1968, lanciò una campagna nazionale per l’abolizione del Concordato che tre anni più tardi porterà a un’assemblea nazionale di laici, tenuta nel febbraio del’71 a Milano, che deliberò la costituzione della LIAC (Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato). Quando agli inizi del 1968 il problema dell’obiezione di coscienza venne alla ribalta il PR si impegnò per ottenere una legge, che riconoscesse tale principio39, confermando così ancora di più il carattere originale del partito concentrato sui diritti civili e su tematiche ritenute eretiche e inutili dai grandi partiti tradizionali. Malgrado la vivace attività nei vari settori, la situazione organizzativa del gruppo in quegli anni era insufficiente: una discreta area di simpatizzanti ma un esiguo numero di iscritti, bilanci modesti, scarsa presenza territoriale. Il X Congresso di Roma del 1971, in cui fu introdotto il principio della doppia tessera per i militanti, si aprì con l’ipotesi di terminare la vicenda radicale: provato dalle lotte di quegli anni il PR lasciava al Congresso e specialmente ai militanti non radicali la verifica della sua esperienza: "La nozione dell’esistenza dl partito radicale è legata ad alcuni fatti singolari. Presso la più vasta opinione pubblica i radicali sono quelli del divorzio...hanno un leader Pannella che rischia di andare in galera..."40. Lo stesso Congresso introdusse il diritto e la pratica delle iscrizioni dei militanti laici nell’arco dei partiti di sinistra, denominata "doppia tessera" che rimarrà una caratteristica di questo partito. Nell’estate del 1972 il partito lanciò un appello all’opinione pubblica per raggiungere almeno la soglia dei 1000 iscritti necessari alla sopravvivenza. All’undicesimo Congresso di Torino che si svolse nei giorni 13 novembre del 1972, gli iscritti risultarono circa 1300 ciò permise di votare una mozione, importante perché confermava l’importanza dello statuto e gettava le basi del programma per gli anni futuri: "Il Partito Radicale veniva rilanciato con l’afflusso di nuove energie: si iscrissero liberali e repubblicani, presero la doppia tessera socialisti e comunisti..."41. La scelta referendaria uscita da Torino (confermata dal Congresso straordinario di Roma nel 1973) costituiva per i radicali la risposta necessaria a quello, che sempre più, secondo la analisi radicale, era diventato un regime assai simile a quello fascista: "La strada del referendum assumeva un valore che trascendeva le singole proposte abrogative. Stava a significare l’indicazione di uno strumento partecipativo e deliberativo attraverso cui cittadini provenienti da diverso orientamenti politici e ideologici potevano convergere e formare uno schieramento maggioritario...i diritti civili dovevano essere il terreno adatto per nuove aggregazioni..."42. La raccolta per le firme per gli otto referendum43 per una repubblica veramente costituzionale, doveva essere un modo per sviluppare un vasto dibattito e partecipazione nel paese, e per rompere il tradizionale equilibrio tra le forze politiche: due referendum riguardavano il Concordato nel 1929 tra Italia e Vaticano, il primo intendeva abrogare l’articolo 1 della legge 27 maggio 1929, che rende effettiva l’"esecuzione del trattato e del Concordato, sottoscritti in Roma fra la S. Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929"44, il secondo riguardava gli articoli 17 e 22 della suddetta legge inerente le disposizioni relative al matrimonio, secondo le quali le autorità ecclesiastiche potevano annullare i matrimoni, anche con effetti civili. Due erano i referendum che riguardavano la materia antimilitarista e precisamente l’abrogazione del codice militare di pace e dell’ordinamento giudiziario militare; due si occupavano della libertà d’informazione e intendevano abrogare la legge 3 febbraio 1963 che istituiva l’ordine dei giornalisti e la legge sulla stampa dell’8 febbraio 1948, ritenuta restrittiva. Il settimo referendum rivendicava la libertà di antenna, poichè intendeva colpire le disposizioni legislative del decreto 29 marzo 1973 che prevedevano l’allargamento del monopolio dell’Ente televisivo di stato sulle Tv via cavo. L’ultimo infine chiedeva l’abrogazione di articoli del codice penale che punivano i reati di opinione, e "le norme che riflettono una arcana concezione della vita familiare e avviliscono le condizioni della donna quali il diritto di aborto procurato su donna consenziente...e le norme contravvenzionali in tema di pubblici spettacoli..."45. Il 1974 è stato un anno importante per la storia del PR: fino ad allora malgrado l’apertura di diversi fronti e la vittoria del divorzio, i radicali restavano una minoranza isolata dagli altri partiti. Dalla primavera all’autunno del 1974 il PR, essenzialmente nella persona del suo leader Pannella, condusse una battaglia con digiuni, campagne di stampa ecc. per avere l’accesso alle trasmissioni della RAI, rivendicando per le minoranze, non presenti in Parlamento, il diritto ad usare i canali pubblici di informazione. La novità dello stile delle battaglie radicali aprì una discussione nell’opinione pubblica, che volse l’attenzione verso questo partito anomalo ma soprattutto verso il suo leader carismatico che ora si concentrava su un altro problema scottante: l’aborto. Infatti nel 1975 il PR si concentrò su questo obiettivo importante chiedendo la sua depenalizzazione e il varo di una legge che lo togliesse dal dramma della clandestinità. Già nel 1973 Adele Faccio a Milano aveva fondato il CISA (Centro Informazione e Sterilizzazione Aborto), federato al PR, che aveva assistito numerose donne. Il PR, come vedremo, assunse la responsabilità politica dell’iniziativa (Spadaccia venne arrestato e la Faccio si costituì) iniziando "...una campagna per un referendum abrogativo delle norme penali sull’aborto che proseguì anche con l’appoggio di una parte della stampa ("L’Espresso""Panorama") e terminò positivamente nel luglio 1975 con la raccolta delle firme necessarie"46. Al XV Congresso tenutosi a Firenze nel novembre 1975 il PR riscontrò una cresciuta e irrobustita organizzazione. Infatti era salito il numero degli iscritti a circa 3000, e si cominciavano a delineare quelle strutture periferiche previste dallo Statuto, come i partiti regionali che stavano sorgendo in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia. Questi risultati positivi furono alla base della decisione, presa allo stesso Congresso, di presentarsi per la prima volta da solo alle elezioni politiche: "La volontà di essere presenti in prima persona anche in fase elettorale interrompeva una linea seguita per oltre un decennio. Durante tutti quegli anni i radicali o si erano astenuti dal partecipare alle prove elettorali (politiche 1968, amministrative 1971, politiche 1972) o avevano appoggiato altri partiti della sinistra (politiche 1963: indicazione per tutte le forze della sinistra; regionali 1970: voto PSI con accordo; regionali 1975: appoggio esterno al PSI, al repubblicano Franco De Cataldo a Roma, e ad Avanguardia operaia). In realtà la decisione del 1976 di confrontarsi direttamente con l’elettorato aveva le sue radici anche nell’acquisita consapevolezza del gruppo di aver raggiunto sufficiente forza e ascolto nel paese..."47.

Alle elezioni politiche del giugno 1976 il PR si presentò con liste proprie sia alla Camera che al Senato, non più con il simbolo della dea libertà con il berretto frigio48, ma con la rosa nel pugno, emblema del socialismo libertario e ripreso a imitazione della sinistra unita francese di Mitterrand49. I risultati50 pur esigui numericamente (ottennero infatti l’1,1%, 394.623 voti, al Senato invece ottennero lo 0,8%,265.420 voti, ma nessun seggio) portarono i primi quattro deputati radicali in Parlamento 51. La scelta parlamentare del PR arrivava alla fine di un lungo percorso extraparlamentare: "La scelta parlamentare del PR non era contraddittoria con la natura del gruppo come in apparenza potrebbe sembrare. Nonostante lo stile politico quanto mai inusuale per il nostro paese, la trasgressione di leggi ritenute vessatorie, la continua provocazione, i radicali si sono sempre riconosciuti nella democrazia rappresentativa e nei suoi istituti..."52. Così il nuovo gruppo del PR arrivato alla Camera mantenne sia le caratteristiche di partitomovimento, coniugandolo con il nuovo status, sia trasferì in Parlamento i propri metodi di lotta che susciteranno a volte interesse in settori importanti dei grandi partiti di sinistra, ma si scontreranno spesso con le tradizionali forze politiche: " La cultura dei radicali coniugava elementi tutti estranei ai moduli di cultura esistenti nel paese: un soggettivismo di azione politica che aveva semmai gli antecedenti in una certa tradizione democraticorisorgimentale...unitamente a metodi di azione di derivazione anglosassone, fondati sul coinvolgimento personale, sulla fiducia nell’azione volontaria dei singoli cittadini o di piccoli gruppi, spingendosi fino alle prime sperimentazioni di azioni dirette, e all’uso esteso della disobbedienza civile"53.


LE BATTAGLIE ESEMPLARI: ENI, ONMI, PIANO THIRRING, ANTIMILTARISMO, OBIEZIONE DI COSCIENZA, SCUOLA, ABORTO, LOTTA PER IL DIVORZIO

La fondazione nel 1963 dell’agenzia di stampa Agenzia Radicale, rispose all’intento del nuovo partito, ancora giovane e debole, di creare uno strumento funzionale agli obiettivi dell’azione che i radicali intendevano svolgere e ai metodi stessi connessi con quegli obiettivi. L’agenzia ebbe la funzione importantissima di esaltare i problemi della politica quotidiana e di stigmatizzare singoli episodi: "... le posizioni e le battaglie passarono tutte nell’agenzia di stampa che fungeva al tempo stesso da canale pubblicistico e da punto di riferimento di eventuali aggregazioni di interessi politici intorno alle campagne condotte"54.

Una delle prime battaglie politiche di Agenzia Radicale fu quella iniziata nel gennaio 1964 indirizzata all’ENI e ai suoi dirigenti Cefis, Girotti..., alla sua politica economica e al suo ruolo nella situazione politica di quegli anni. Ma come nacque questa battaglia che il piccolo PR ingaggiò contro il colosso di stato? Nel dicembre del 1963 i radicali ebbero modo di informare le direzioni di tutti i partiti della sinistra di aver raccolto elementi e documenti di estrema gravità riguardanti l’ENI. Questi documenti provavano che l’ENI era divenuto un centro di corruzione e di condizionamento nei confronti del potere politico: "Veniva inoltre documentato l’integrazione dell’ENI al regime doroteo, con le connessioni tra l’allora presidente della repubblica Antonio Segni, i servizi segreti del SIFAR facenti capo ai generali Allavena e De Lorenzo, e il vice presidente dell’Ente, Eugenio Cefis"55.Questi i fatti che Agenzia Radicale denunciò nei primi mesi del 1964: L’AGIP aveva versato circa mezzo miliardo al settimanale di estrema destra "Lo Specchio" che scatenò una campagna contro gli enti di Stato tranne l’ENI. L’ENI aveva distribuito attraverso l’AGIP 20 miliardi per asservire la stampa.

L’ENI aveva ormai trovato una situazione di equilibrio e spesso di accordo con le forze economiche private confindustriali, realizzando una politica di allineamento e di accordi di tipo monopolistico. Si trattava di documentazioni precise ma sulla stampa non passò neppure un rigo: "Questa campagna il cui significato politico fu comunicato in partenza ad alcuni dirigenti dei grandi partiti della sinistra per cercar di coinvolgere forze maggiori di quelle di cui potevano disporre i radicali, finì al contrario per essere proprio il fatto determinante delle ragioni di ostilità al nuovo gruppo da parte delle dirigenze comunista e anche psiuppina"56. I radicali infatti rappresentarono per la prima volta una forza di sinistra che aveva denunciato questi fatti, e toccarono un nodo che la sinistra organizzata non poteva e non voleva attaccare, sia per il coinvolgimento degli stessi partiti di sinistra nel sostegno del centro di potere, sia per un rifiuto di mettere in discussione il significato dell’economia pubblica: "Con lo strumento dell’indagine su una specifica struttura, sulla scia del metodo che era stato proprio di Ernesto Rossi e di Gaetano Salvemini, i radicali erano riusciti a centrare l’attenzione, nella prima metà degli anni sessanta, su una delle istituzioni cruciali del nuovo assetto del potere economico e politico. Uno dei mostri sacri della sinistra intera non veniva risparmiato...Allora si sarebbe individuato nelle partecipazioni statali uno dei principali fatti di crisi del meccanismo economico e del suo corretto rapporto con la vita democratica del Paese..."57. La Procura di Roma aprì un’inchiesta e nel maggio 1964 il Procuratore Giannantonio comunicò ai massimi i dirigenti dell’ENI la convocazione da parte dei sostituti procuratori Saviotti e Bruno: " Da Cefis a Girotti, da Bartolotta a Niutta, a molti personaggi dell’apparato amministrativo dell’AGIP, l’intero stato maggiore del più potente e prepotente ente di stato dovette rispondere alle domande dei magistrati.."58. Ma nonostante l’azione della Procura e il sostegno che venne dato ai radicali da alcuni settori interni all’ENI e dal sindacato CGIL dei lavoratori del petrolio, la campagna rimase senza seguito proprio per il silenzio e la difesa che stampa e partiti assicurarono all’Ente.

Il Partito Radicale attraverso la sua Agenzia Radicale si occupò anche dei problemi dell’assistenza pubblica. I radicali avevano individuato nell’esteso mondo dell’assistenza un elemento portante della costruzione del potere politico. Infatti a partire dal giugno 1965 l’agenzia di stampa iniziò una campagna di denuncia59 e informazione che metteva in luce i metodi di corruzione e di sostegno clericale con i quali si era formata in quegli anni la classe dirigente DC nella capitale: " Il Mondo clericale e ecclesiastico sa di godere , nel suo temporalismo di un’assoluta impunità...Con procedure corruttrici esso ha potuto realizzare in un ventennio un vero e proprio "saccheggio" in settori essenziali della vita del paese...da quello militare a quello della sicurezza sociale..."60. Agenzia Radicale raccolse una cospicua documentazione di sperperi, corruzioni, peculati che coinvolgevano ordini religiosi, enti di assistenza e l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia). Il PR presentò la denuncia nella quale si accusava l’ONMI di essere diventata una macchina elettorale a servizio della DC attraverso vari meccanismi: "...l’utilizzazione a fini elettorali dei cosiddetti "sussidi una tantum"...l’inflazione degli enti religiosi cui venivano riconosciute le caratteristiche di ente assistenziale...l’omissione dei controlli sulle forme di assistenza e sulle attività patrimoniali..,"61. Dopo un anno di indagini fu arrestato Amerigo Petrucci, ex sindaco di Roma e potente DC, reo secondo la Procura di Roma, di reati commessi tra il 1958 e il 1961, epoca in cui Petrucci era commissario dell’ONMI. Questa volta i radicali non furono soli nel condurre questa campagna: "Quell’azione ebbe eco anche sulla stampa di sinistra "L’Espresso", " Il Paese " la quale, per la prima volta dal nuovo corso, dette spazio all’attività radicale..."62.Nel 1964 il PR sempre attraverso Agenzia Radicale concentrò la sua attenzione su una proposta di Hans Thirring, un senatore della sinistra socialdemocratica austriaca, che aveva toccato un altro tema caro ai radicali: l’antimilitarismo. Il senatore aveva proposto un progetto di disarmo unilaterale dell’Austria che prevedeva la smilitarizzazione di una fascia di territorio anche da parte dei territori confinanti. Tale proposta fu pubblicizzata in Italia dal Partito Radicale, che aveva patrocinato per l’occasione la costituzione del Comitato per il Disarmo Atomico e Convenzionale dell’Area Europea. Fu allora concepito e diffuso un appello nel quale si sottolineava l’importanza del senatore, e si metteva in luce come essa poteva rappresentare un’adeguata risposta alla minaccia proveniente dall’autoritarismo militare di De Gaulle (si era nel 1964), dal fascismo portoghese e spagnolo. Furono più di quattrocento i Consigli Comunali che aderirono all’appello, e vi si associarono quali proponenti e firmatari; significativa fu anche l’adesione di Vittorio Vidali e di numerosi esponenti della federazione triestina del PCI. Purtroppo anche in questa occasione i partiti della sinistra si mostrarono completamente sordi all’appello radicale: "il significativo disinteresse di tutta la sinistra ufficiale per la proposta Thirring evidenziava la costante diffidenza del PCI e della sinistra tradizionale nei confronti del pacifismo e delle tesi del disarmo unilaterale..." 63. Non un solo giornale riprese l’appello nè tantomeno spiegò ai lettori il suo contenuto: "quello era stato ritenuto un comportamento settario e discriminatorio dei maggiori partiti di sinistra, accusati di aver ignorato o distorto le informazioni sulle attività del PR, dopo aver parlato della "proposta Thirring"..."64

L’antimilitarismo65 fu uno dei tratti caratteristici del nuovo partito secondo cui le strutture militari non erano altro che possibili veicoli di regimi autoritari. Posizione questa che lo allontanarono e lo resero diverso rispetto alle classiche posizioni della sinistra italiana. Alla posizione antimilitarista radicale contribuivano elementi diversi fra i quali l’avversione ai valori militari e autoritari in contrapposizione a quelli della non violenza e del libertarismo e la lotta alla corsa agli armamenti. Obiettivo della politica radicale era quindi una "progressiva trasformazione delle strutture militari, che rappresentano una costante indiscussa degli stati comunisti non meno che degli altri a diverso regime, in strutture di pace e di servizio civile"66. L’antimilitarismo radicale aveva come motivo peculiare e come bersaglio la militarizzazione della vita civile e le conseguenze del militarismo sulle strutture interne, e inoltre rifiutava la proliferazione atomica sia che fosse promossa da paese capitalisti che comunisti. Il disarmo unilaterale era già stato proposto da una rappresentanza del partito che aveva partecipato alla formazione, avvenuta ad Oxford nel 1963, dell’"International Confederation for Peace and Disarmement"67. Aderente a questa associazione e sotto l’impulso di gruppi di pacifisti e di radicali, venne organizzato nel 1962 un "Comitato per il disarmo atomico e convenzionale dell’area europea" (CDCAE). Attraverso di esso i radicali parteciparono alla Consulta italiana della Pace, realizzando una serie di iniziative specifiche come la marcia della pace tenutasi a Roma nel 196368 e un’altra per il Vietnam nell’aprile 1965. Di queste e di altre iniziative tra gli ispiratori e i principali animatori ci furono i radicali, che si scontrarono negli anni con formazioni extraparlamentari (soprattutto con Lotta Continua69) e con altre organizzazioni pacifiste e in particolare con il Movimento della Pace, che rappresentava l’organizzazione comunista ispirata a una generica pace, che mai doveva entrare in contrasto con la politica internazionale dell’URSS: "Mentre i "partigiani della pace" (così si chiamavano i militanti del Movimento della pace) portavano nell’organismo unitario della Consulta la linea comunista, i radicali proponevano una posizione di disarmo che valesse nei confronti dei due blocchi, e in particolare, una decisa opposizione al riarmo e agli eserciti sia atomici che convenzionali in ogni regione del mondo...con il pacifismo e l’antimilitarismo i radicali si distaccarono dunque nettamente dalla pratica e dalle posizioni della restante sinistra."70.

Con questi temi così controcorrente i nuovi radicali poterono sperimentare metodi di azione diretta71 e nonviolenta che continueranno a caratterizzarlo da qui in avanti: azioni dirette, volantinaggi, sitin divennero strumenti usuali di azione politica radicale72. Nella cronaca delle battaglie pacifiste dei radicali è opportuno ricordare l’arresto degli studenti Lorenzo ed Andrea Strik Lievers, poi assolti73, che il 4 novembre 1965 in occasione della festa delle forze armate, avevano distribuito a Milano, un volantino radicale sui temi del militarismo in cui si chiedeva il diritto a sostituire il servizio militare con un servizio civile alternativo: "Alcuni mesi dopo i due giovani furono arrestati rappresentando così le prime vittime dell’azione diretta nonviolenta radicale in campo antimilitarista..."74. Un ‘altra manifestazione, degna di essere menzionata, in cui fu arrestato Gianfranco Spadaccia all’epoca segretario del partito, è del 24 agosto dello stesso anno davanti alla sede commerciale dell’Ambasciata Greca: fu bruciata una fotografia del Re Costantino, sulla quale era scritto: "Vilipendiamo un capo di stato fascista". Il tema trattato con ostinazione dai radicali portò ad un’importante manifestazione che iniziata nel 1967, si svolse ogni anno fino al 1972. Infatti nell’estate di quell’anno si svolse la Marcia Antimilitarista sul percorso MilanoVenezia, che divenne un momento di ricerca di mobilitazione unitaria dal basso e uno dei classici appuntamenti dell’antimilitarismo italiano. La marcia infatti offrì per la prima volta nel nostro Paese un luogo e uno spazio di incontro, di dibattito per militanti antimilitaristi e provenienti da diverse esperienze e appartenenze ideologiche: "Con le marce, organizzate dai radicali con la partecipazione di anarchici, pacifisti di diverso orientamento, extraparlamentari anche di fede marxista, generici militanti di sinistra poterono costituire al tempo stesso momento di azione e di riflessione collettivo"75. Nel 1972 la marcia annuale mutò percorso per svolgersi tra Trieste e Aviano nel Friuli, e toccò quindi luoghi ritenuti sacri dalla retorica nazionalista e dai miti irredentisti. A questa "provocazione" la destra reagì con i deputati MSI già militari, Birindelli e De Lorenzo, che tentarono senza successo di far vietare la manifestazione. In realtà quella che da più parti era stata considerato un atto pericoloso, non era altro che una volontà di far riguadagnare alla sinistra democratica e pacifista il diritto di rendere ragione alle vittime delle guerre, e non lasciare alle forze eredi di passate responsabilità il monopolio di tali celebrazioni. L’invasione sovietica in Cecoslovacchia nell’estate del 1968 dette modo ai radicali di rivendicare con fermezza la loro ideologia antimilitarista: "Ovunque, anche nel mondo comunista, la funzione degli eserciti è repressiva e totalitaria; il loro compito non è più quello di garantire, nell’epoca della bomba nucleare e dei missili intercontinentali, la difesa di confini nazionali e la sicurezza internazionale, ma di controllare e di reprimere con le armi ogni mutamento democratico dal basso e ogni fermento rivoluzionario"76. Nel settembre di quell’anno i radicali si resero protagonisti di un’azione di protesta, rigorosamente non violenta: Marco Pannella, Marcello Baraghini, Antonio Azzolini e Silvana Leonardi per condannare l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, si recarono nella capitale della Bulgaria, Sofia, inscenando una pacifica distribuzione di volantini. I quattro furono arrestati e rilasciati subito dopo.Se l’antimilitarismo ha rappresentato lungo un decennio per i radicali, viste le condizioni internazionali, un ideale importante ma irraggiungibile, l’obiezione di coscienza ha rappresentato la specifica riforma che il PR ha individuato e perseguito come concreto, imminente e possibile obiettivo di azione. Infatti parallelamente alle marce antimilitariste, si svolse la lunga lotta per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza: "Fino al 1968 gli obiettori di coscienza in Italia erano pochi...Grazie all’azione radicale e al più generale clima del paese, con il ‘68 aumentavano le obiezioni motivate da ragioni politiche sicchè l’azione per il suo riconoscimento divenne uno degli impegni radicali"77. Rivelatasi palesemente insufficiente la legge Pedini dell’8 novembre 1966 che consentiva a qualche decina di laureati e diplomati di svolgere un servizio civile in Paesi del terzo mondo, il Parlamento italiano si trovò a dare attuazione a una risoluzione approvata nel gennaio 1967 dell’assemblea del Consiglio d’Europa, che affermava il principio fondamentale del diritto all’obiezione di coscienza. Tale risoluzione restò lettera morta per il Parlamento78 finché l’obiezione non fu affrontata con serietà fino a quando i radicali, con il loro obiettivo di rendere più ampio e incisivo il dibattito sul problema, furono tra i promotori della "Lega per il Riconoscimento dell’Obiezione di Coscienza" fondata nel 1969 a Roma79. In un’assemblea nazionale della Lega, nei giorni 31 gennaio e primo febbraio del 1970, venne approvato un programma dove si definivano gli obiettivi: "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli...la Lega intende svolgere la sua azione onde ottenere al più presto che il parlamento della repubblica approvi una legge adeguata che collochi l’Italia, in questo campo, al livello dei paesi più progrediti del Mondo"80. Nel sostenere questa posizione, che considerava l’obiezione di coscienza un fatto politico e non solo come fatto privato, e al tempo stesso tendeva a dilatarne il significato nella contestazione delle strutture militari, i radicali si mossero per organizzare obiezioni di gruppo, accelerando così i tempi della riforma. L’iniziativa si basò su diversi strumenti fra i quali il coinvolgimento della pubblica opinione attraverso digiuni di protesta, appelli e manifestazioni, la pressione al Parlamento grazie a migliaia di cartoline alla Commissione difesa della Camera. Nel 1970 vennero presentati alcuni progetti di legge81, e nel luglio del 1971 fu approvato dal Senato un progetto di legge presentato dall’esponente della DC Giovanni Marcora molto restrittivo: non erano infatti ammesse le obiezioni di natura politica, era previsto che il servizio civile alternativo durasse otto mesi, uno più del servizio militare e, infine, i candidati potevano essere sottoposti all’esame di una commissione giudicante per valutarne le reali convinzioni. Continuavano intanto incessanti le dimostrazioni radicali come quella del marzo 1972 in cui Roberto Cicciomessere, ex segretario del PR, si consegnò alle autorità militari insieme a una decina di altri obiettori, proseguendo dall’interno del carcere di Peschiera dove fu rinchiuso, la battaglia con la denuncia delle condizioni e del trattamento degli obiettori. Il ricorso alle elezioni anticipate del 1972 fecero decadere il progetto Marcora approvato solo dal Senato. Il primo ottobre dello stesso anno i radicali iniziarono uno sciopero della fame collettivo82, che portò all’impegno assunto il 4 novembre dall’allora Presidente della Repubblica Pertini di porre rapidamente all’ordine del giorno della Camera la votazione della legge Marcora per gli obiettori, che fu finalmente approvata il 15 dicembre83, con alcuni emendamenti migliorativi rispetto al testo originale che si rivelerà inadeguata alle aspettative radicali: "Cari Compagni...come sapete il 15 dicembre è stata approvata alla Camera la legge per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. La legge è certo inadeguata, repressiva, discriminatrice...ma rappresenta una seria vittoria per tutti noi..."84. Nel gennaio del 1973, ottenuta la riforma con il principio dell’obiezione entrato a far parte dell’ordinamento giuridico, si costituì la LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza) federata al PR85, per affrontare i temi specifici derivanti dal nuovo assetto giuridico, ponendosi come obiettivo la modifica della legge con la creazione di un effettivo servizio civile smilitarizzato e con la possibilità per gli obiettori di scegliere gli enti presso cui prestare servizio, e per continuare l’agitazione antimilitarista dentro e fuori l’esercito. Lo scontro con le istituzioni militari infatti proseguì con processi e condanne agli obiettori tra cui quella di Cicciomessere, segretario della LOC, condannato nell’aprile del 1973 dal tribunale militare di La Spezia a molti mesi di carcere: "Ancora una volta... l’azione dei radicali in sostegno a quella degli obiettori provava quanto difficile fosse la trasformazione di leggi, di norme e di comportamenti, e verificava, proprio sull’obiezione di coscienza, la dura resistenza delle istituzioni all’introduzione di prassi democratiche"86.

Il PR nella intenzione di rinnovare radicalmente la società italiana individuò nella scuola un settore importante e fondamentale per la crescita di un paese. Attraverso organizzazioni studentesche universitarie come l’UGI e il "Comitato promotore del sindacato nazionale della scuola pubblica", formatosi grazie a dei radicali nel 1964, il PR cercò di dare impulso all’attuazione di istanze di rinnovamento quali la libertà di insegnamento e la riforma sindacale della scuola. Per quanto concerne infatti la scuola nel 1963 e negli anni immediatamente successivi il partito prese particolari iniziative, fra cui quella di rivitalizzare la ADESSPI (associazione per la difesa e lo sviluppo della scuola pubblica italiana). Questa associazione il cui congresso costituente si era tenuto a Roma nei giorni 19, 20 e 21 febbraio nel 1960 e che si era avvalsa anche dell’apporto di uomini non appartenenti al mondo scolastico, si rese portavoce della necessità di una effettiva applicazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione, quelli cioè che regolano i problemi dell’istruzione. Al secondo congresso dell’ADESSPI nel 1963 i radicali, ritenendo blando l’apporto di altre associazioni, decisero di promuovere manifestazioni come la "marcia della scuola" del 1964, e convegni, come quello dello stesso anno sul tema "scuola e pace" e fornendo informazioni alla stampa per diffondere i temi del problema scuola. A tre anni dalla sua fondazione l’associazione mancava di una politica organizzativa e un impegno nella lotta politica quotidiana e le componenti maggioritarie erano immobili: "Già nel 1963 il PSI si era praticamente disimpegnato, confinando l’organismo nel dimenticatoio delle vecchie strutture frontiste. Il timore di atteggiamenti ancora più gravi da parte della sinistra di governo portava il PCI a congelare di fatto ogni possibile iniziativa di respiro...e gli altri gruppi della sinistra (sinistra socialista) persistevano in un atteggiamento di indifferenza"87. I radicali, che nella sezione dell’ADESSPI romana godevano della maggioranza, ebbero motivi di dissidio nell’organo nazionale di questa associazione con i socialisti e i comunisti che erano più numerosi, e ben presto i radicali abbandonarono l’ADESSPI accusandoli di anteporre ai problemi della scuola gli interessi partitici. Nel 1964 un’altra iniziativa del PR insieme ad alcune centinaia di insegnanti di sinistra, comunisti, socialisti dette vita ad un Comitato Promotore del SNSP (Sindacato Nazionale della Scuola pubblica); esso doveva servire a imprimere una svolta nella scuola pubblica italiana: "Il comitato promotore invita tutte le forze della scuola a raccogliersi ed operare insieme per esigere la convocazione di un congresso nazionale unitario che superi le attuali divisioni corporative e renda a questo settore che è di primaria importanza per lo Stato la capacità di esercitare efficacemente il proprio ruolo di direzione...afferma che la crisi del sindacalismo scolastico investe sia le strutture sia le stesse idealità, gli obiettivi e i metodi esistenti...le organizzazioni esistenti appaiono cristallizzate...incapaci di raccogliere la volontà di una grande battaglia per la democratizzazione e l’autonomia dell’insegnamento...Il comitato rivendica una organizzazione unica, comune e democratica di tutte le categorie del mondo della scuola..."88. Questa iniziativa non fu incoraggiata dalla CGIL a cui il sindacato pur faceva riferimento, ma gli fu contrapposto un sindacato scuola CGIL, emanazione dei vertici sindacali con la riproduzione al proprio interno dei dosaggi tra le correnti partitiche. Il comitato promotore del Sindacato Nazionale Scuola Pubblica continuò a registrare centinaia di adesioni, ma ben presto si trovò dinanzi alla scelta tra il proseguimento di una iniziativa che nonostante la buona volontà era iniziata sotto i peggiori auspici, o rinunciare ad operare in questa direzione: il PR scelse questa seconda soluzione.

L’aborto, che era già da anni un obiettivo del partito, divenne negli anni settanta un tema centrale di azione radicale e assunse presto il carattere di questione sociale di massa riguardante le donne, e su di esso si affondarono le radici dell’intero movimento femminista. Il PR infatti con i movimenti femministi ingaggiarono un’azione popolare in favore dell’aborto libero, gratuito e autogestito. Il 27 e 28 febbraio del 1971 si svolse a Roma il primo congresso del Movimento della Liberazione della donna in cui si parlò particolarmente del problema aborto. Tale movimento, sorto nel gennaio del 1970, si era prefisso i seguenti obiettivi: " 1) Conquistare alla donna il diritto di disporre liberamente del proprio corpo; 2) Combattere condizionamenti psicologici e modelli di comportamento; 3) Eliminare lo sfruttamento economico della donna perchè essa possa raggiungere attraverso il lavoro non domestico la propria autonomia economica e psicologica"89. Questo congresso decise di iniziare da maggio90 una serie di autodenunce per aborto, e di preparare un progetto di legge d’iniziativa popolare che liberalizzasse l’aborto. Il 5 maggio l’MLD presentò alla stampa il suo progetto di legge sull’aborto che prevedeva anche l’abolizione dell’ONMI: con questo progetto veniva abrogata ogni norma punitiva dell’aborto volontario, mentre veniva punito il procurato aborto su donna non consenziente e chi impediva alla donna di abortire, qualora lo volesse. Veniva inoltre stabilito che: "Gli ospedali, le cliniche, le case di cura gestite da enti pubblici o che ricevono sovvenzioni pubbliche o che siano convenzionate con enti pubblici previdenziali o mutualistici, che abbiano reparti di ostetricia, ginecologia, maternità o comunque compiano prestazioni...debbono assicurare anche il servizio sanitario per l’aborto volontario o per la consulenza circa ogni mezzo anticoncezionale. I medici condotti non possono rifiutare le prestazioni per il conseguimento dell’aborto..."91. Tale progetto non raggiunse però le cinquecentomila firme necessarie per la presentazione in Parlamento, ma un progetto di legge sul tema venne presentato ad opera di deputati socialisti. Il primo, nel giugno 1971, venne depositato dai senatori Arialdo Banfi, Piero Caleffi e Giorgio Fenoaltea: l’aborto veniva ammesso solo qualora fosse pregiudicata la salute della donna o del nascituro, o la donna fosse incinta a causa di violenza carnale, o avesse compiuto i 45 anni, o se avesse avuto già cinque figli92. Il 13 gennaio del 1975 venne arrestato il segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia, in seguito alla sua dichiarazione di corresponsabilità per la clinica di Firenze che aveva praticato migliaia di aborti93, diretta da Giorgio Conciani (anch’egli arrestato) e organizzata dal CISA (Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto): "...il dato prorompente che susciterà clamore è la fondazione a Milano il 20 settembre 1973 del CISA ad opera di Adele Faccio con la funzione di praticare aborti e attività informativa e pedagogica"94. Il segretario affermò la responsabilità politica del PR: "Fin d’ora assumiamo le nostre responsabilità politiche e militanti. Le comunichiamo come CISA, che è federato al Partito Radicale. Le assumiamo come Partito Radicale che appoggia e sostiene l’attività del CISA "95. Con questa assunzione di responsabilità politica, la questione assumeva da questo momento un aspetto di disorganizzata disobbedienza civile del quale si faceva carico un partito: "Si saldavano così, per i radicali, i due aspetti che da tempo contraddistinguevano il metodo del loro intervento: da un lato l’azione di mobilitazione popolare per trasformazioni legislative proposte direttamente...e dall’altro l’azione diretta, appoggiata, se necessario, da atti di aperta trasgressione di leggi ritenute ingiuste..."96. Dal 24 al 26 gennaio si svolse a Roma una conferenza nazionale sull’aborto, promossa dall’MLD e dal Partito Radicale: nella giornata conclusiva venne arrestata Adele Faccio, presidentessa del CISA con l’accusa di associazione a delinquere aggravata e procurato aborto pluriaggravato. Poco prima del suo arresto la stessa Faccio aveva detto nel suo intervento: "Soltanto la donna ha diritto di scegliere se abortire o no proprio perché la maternità è una cosa seria, molto più seria di quello che la Chiesa vuole ammettere"97. Al convegno Loris Fortuna prospettò la necessità di indire un referendum sull’aborto, e il 5 febbraio una delegazione comprendente Pannella e Livio Zanetti, direttore de "L’Espresso", presentò alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum abrogativo degli articoli riguardanti i reati di aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta e di sterilizzazione. Al referendum patrocinato dalla Lega XIII maggio, da "L’Espresso", e naturalmente dal PR, aderirono anche Lotta Continua, Avanguardia Operaia e PDUPManifesto; ma una parte importante la svolse l’MLD che nel suo secondo congresso svoltosi a Roma l’11, 12 e 13 aprile oltre a ribadire l’impegno referendario, precisò di riaffermare "la propria volontà federativa al PR in quanto movimento di liberazione della donna che ha un suo specifico autonomo campo di lotta..."98. Il 15 aprile iniziò la raccolta di firme per il referendum per l’aborto, da indire per la primavera del 1976, che ottenne la ragguardevole cifra di oltre settecentomila firme: Il 30 marzo 1976 viene approvato alla camera l’articolo 1 della nuova legge sull’aborto, e il 2 aprile venne votato e approvato con 298 voti favorevoli sull’asse DCMSI, anche l’articolo 2 che stabiliva che l’aborto era un reato, ma le pene previste non sarebbero stata applicate quando l’aborto era stato commesso per impedire un reale pericolo per la vita. Tutto ciò fu accolto con disapprovazione dal PR sempre più convinto della necessità di un coinvolgimento diretto del popolo sullo specifico obiettivo, ma lo scioglimento delle Camere nell’aprile del 1976 e le conseguenti elezioni politiche allontanarono per il momento il referendum (che si terrà nel 1981) dall’orizzonte politico: "Su quella decisione aveva influito decisamente la volontà di gran parte delle forze politiche di non tenere il referendum sull’aborto..."99.

Un ultimo obiettivo predominante della linea politica del Partito Radicale, perseguito con ostinazione per molti anni, fu affrontato come vedremo con successo nel 1976: il divorzio. " Il primo convegno nazionale del divorzio fu convocato alla fine degli anni ‘50 dal Partito Radicale. Negli anni successivi, sempre, il tema è stato caratterizzante della posizione radicale, e spesso in polemica con tutte le altre forze della sinistra o del centro laico, che sostenevano allora non essere questo problema davvero politico e davvero popolare"100. Questa battaglia risulterà sicuramente il tema politico su cui il partito fonderà o meno, a secondo dei punti di vista, le sue fortune future.3)


 

Un partito carismatico: Marco Pannella

Parlando del Partito Radicale è inevitabile che il discorso cada sull’uomo che ha incarnato più di tutti gli altri il nuovo Partito Radicale, le vittorie, le sconfitte, le decisioni, i digiuni101, i sit-in, gli imbavagliamenti e altre proteste clamorose. La prima apparizione politica di Pannella risale al famoso articolo sul Paese, " La Sinistra democratica e il PCI"102, che pose le basi della sua linea politica di democratizzazione del PCI per creare un vero polo alternativo di sinistra: " Sono le cose in Europa a porre in modo drammatico l’interrogativo: se sia possibile l’alleanza della sinistra democratica e di quella comunista per la difesa e lo sviluppo della democrazia...Da decenni, ormai, poche lotte si sono combattute più aspre e continue di quelle che hanno opposto democratici e comunisti; non furono e non sono dissensi tattici. Chiedetene agli anarchici e ai repubblicani spagnoli...chiedetene ai socialisti di mezza Europa...e sentirete operante il giusto ricordo di Benes, Masaryk, Nagy...sono ricordi ancora vivi nella coscienza dell’antifascismo...Debbono capirlo i comunisti e profondamente...Ma come arrivare a una proposta, come scavalcare le obiezioni, i timori, i ricordi e lo smarrimento...? Per rafforzarci nelle nostre convinzioni...sarebbe sufficiente che i comunisti per il momento mostrassero un più preciso e spontaneo interesse a un’alternativa democratica di governo, cessando di proporre mirabolanti politiche...Sin d’ora chi vota per un’alternativa democratica deve sapere cosa può garantire e promettere...La sinistra democratica e in modo particolare il Partito Radicale, vanno compiendo questo sforzo...Iniziare a discutere una comune politica, fra comunisti e democratici è comunque urgente. Nessuna confluenza, nessuna soluzione è mai scontata nella storia, e nella politica la logica delle cose di per sé non è creatrice: quella degli uomini deve animarla, secondarla, dirigerla."103. Sin dagli inizi Marco Pannella ha quindi rappresentato l’anima, il fulcro della sinistra radicale poi diventata partito: "Si possono individuare quattro fasi della progressiva caratterizzazione carismatica del PR: a) la prima (19591962) corrisponde all’emergere della figura di Marco Pannella nell’ambito del vecchio PR. b) La seconda (19621973) corrisponde all’identificazione interna del PR con il leader, pur nell’ambito di quello che appare un semplice gruppo di pressione. 3) La terza (19731978) corrisponde all’identificazione esterna del PR con il leader e alla proiezione delle sue scelte grazia ai massmedia. d) La quarta coincide con il massimo sviluppo della iniziativa carismatica (culmine il successo elettorale del 1979)..."104. Il suo carisma, la sua indiscussa capacità di leadership e di imprimere svolte (il momento della trasformazione nell’89 del PR da partito politico a partito transnazionale è eloquente) e cambi tattici105 nel corso degli anni ha provocato numerose defezioni e sfilacciamenti all’interno del partito, che alla fine ha assunto per molti l’aspetto di un’entità politica nelle mani di un leader "padrepadrone". Fra le tante persone illustri costrette a emigrare in altri partiti o ad abbandonare la politica, il primo fu il giovane segretario del PR, Geppi Rippa a cui si aggiunsero nel corso degli anni il giornalista Gianni Melega, Mauro Mellini (compagno di tante lotte divorziste), Adelaide Aglietta, Francesco Rutelli, Franco Corleone, Gianfranco Spadaccia, fino a giungere ai recenti abbandoni di Marco Taradash, Elio Vito, Peppino Calderisi. Abbandoni così rilevanti e clamorosi che hanno fatto chiedere a Massimo Teodori, un altro esponente rilevante che ha abbandonato l’avventura radicale: "...Perchè Pannella distrugge tutti i movimenti che crea?"106. Alle frequenti scissioni Pannella non ha mai dato eccessivo peso: "Al giornalista che gli chiedeva come mai Spadaccia, Teodori, Negri, Rutelli e tanti altri amici lo avessero abbandonato, Pannella ha risposto: "La lunghezza delle mie amicizie è la mia fierezza...Teodori aveva quattordici anni quando l’ho conosciuto, cinquantadue quando se n’è andato. La vita separa. E’ già un miracolo che sia andata così. Ci si può stancare"107. Indubbiamente il carisma ha pesato fortemente sulla vita interna del partito, e a volte si è trasformato in un sottile dispotismo che ha generato frequenti scontri dialettici, sempre risoltosi a suo favore. Egli, di fronte al dibattito sulla sua influenza spropositata sul partito, nel corso degli anni si tirò pure indietro dalla prima linea politica del partito (come al Congresso di Verona del 1973); ma tali azioni non hanno mai sminuito la sua influenza politica, che ha mantenuto così un’enorme ascendenza sui vari segretari del partito: "Se davvero crediamo nella libertà come metodo, se siamo dei libertari...se questo è anche il momento della lotta...è anche il momento che io non solo nono sia il leader del partito, ma che addirittura non sia più iscritto al partito. Non siamo degli idealisti. Sappiamo che esistono delle psicodinamiche di gruppo che portano automaticamente a un’unità carismatica..."108. Ma oltre ai dubbi e alle perplessità su questo politico istrionico, egli ha avuto indubbiamente il merito di far vivere in condizioni precarie un soggetto politico, ritenuto da tutti destinato a scomparire, che ha fondato la sua longevità su obiettivi tanto diversi rispetto ai tempi quanto importanti: "Il Pannella liberale è quello che ha rianimato le battaglie per i diritti civili rivendicando per le libertà individuali una funzione centrale nella società italiana..."109. La volontà di fare del partito un soggetto diverso ha preso corpo con la caratteristica di usare oltre, gli usuali strumenti politici, forme di protesta e di proposta inusuali e alternative come digiuni collettivi, tavoli referendari e manifestazioni nonviolente di ispirazione Ghandiana: "Pannella ha recuperato la libertà sessuale, ha sviluppato l’antiproibizionismo sulla droga da contrapporre all’autoritarismo proibizionista, ha avuto attenzione per i diversi, i marginali e le minoranze di ogni tipo e ha libertariamente valorizzato tutti gli autentici anticonformismi in opposizione al potere costituito."110. Pannella ha sempre inseguito il progetto di trasformare la sinistra tradizionale, soprattutto il PCI, (il suo articolo di esordio è esemplificativo) in un movimento aperto, agile attento agli interessi più vari e di cui il Partito Radicale doveva servire da traino e da esempio: "Già alla fine degli anni ‘50 allorchè polemizzò con Togliatti sulla necessità di costruire in Italia un’alternativa europea attraverso la socialdemocratizzazione del PCI, l’indicazione di Pannella per il sistema politico era riassumibile nel trinomio "unità, alternativa e rinnovamento della sinistra"111. Per il leader radicale, unità doveva significare intesa di tutte le forze laiche contro un blocco anticlericale, alternativa una formazione di due blocchi partitici veramente contrapposti che avrebbero fatto funzionare la democrazia e fatto recedere vari consociativismi, e il rinnovamento non era altro che immettere obiettivi liberali e liberistici nella tradizione socialista: "Alternativa alla DC, rinnovamento e unità della sinistra, attraverso una politica radicale di sviluppo dei diritti civili. E’ questa la tesi del Partito Radicale..."112. Il Partito Radicale degli anni sessanta doveva essere quindi motore ideale e politico e doveva fungere da centro autonomo di questo disegno politico originale, e rappresentare l’opposizione liberale a cui dovevano fare riferimento i vari movimenti, come la LID, che non erano altro che gruppi politici federati al PR nati per intraprendere specifiche battaglie: "...Non siamo donne o uomini di chiesa, di setta, di bandiera...e non abbiamo nemmeno voglia o capacità di "servire", non fosse che il popolo. Servitori di nessuno"113. L’attrattiva esercitata dal leader radicale ha costituito per un ventennio per molti intellettuali e non, un richiamo a partecipare a battaglie su temi ritenuti inutili da buona parte dell’opinione pubblica. Leonardo Sciascia e Pier Paolo Pasolini furono indubbiamente attratti dalla capacità di Pannella e da quel piccolo partito capace di smuovere l’opinione pubblica, e di dare fastidio ai partiti tradizionali: passati attraverso un’esperienza deludente nel mondo comunista i due intellettuali infatti trovarono nel partito della dea bendata un rifugio per poter esprimere le proprie idee. Pasolini più di una volta sottolineò con soddisfazione la capacità del PR di rinnovarsi continuamente attraverso le varie battaglie, e seppe subito individuare in questo il "segreto" di questo partitogruppo; la testimonianza che egli avrebbe dovuto rendere al Congresso del PR il 3 novembre, se non fosse stato ucciso la notte prima, è eloquente: "Sono qui come marxista che vota per il PCI...che spera nella nuova generazione di comunisti almeno come spera nei radicali...Siete riusciti a trovare forme alterne e subalterne di cultura dappertutto: al centro della città, e negli angoli più lontani...Non avete avuto nessuna falsa dignità e non siete soggiaciuti ad alcun ricatto...Contro tutto questo voi non dovete fare altro che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa a essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi con i diversi; a scandalizzare; a bestemmiare"114. Dal canto suo, anche Sciascia decise di iniziare l’avventura radicale assumendo presto la funzione dell’intellettuale, che alimentò con originalità il pensiero radicale sul diritto e la giustizia, accettando di militare e diventando nel 1979 parlamentare europeo. Ma oltre a questi due grandi scrittori, molte furono le personalità che entrarono in contatto politico con i radicali e con Pannella, per poi allontanarsene: nel ‘76 Maurizio Costanzo, nel ‘79 oltre a Sciascia, il filosofo Gianni Vattimo, Alfredo Todisco, Barbara Alberti, e dopo personalità dello spettacolo come Modugno e Enzo Tortora, che diventò il simbolo di una giustizia giusta, una delle battaglie più care al PR. Pannella ha condotto per anni la sua politica di stampo profondamente liberale in modo del tutto singolare rispetto ai suoi illustri padri predecessori come Pannunzio, Benedetti ecc. Le sua battaglie si sono sempre dispiegate in maniera diversa e sempre controcorrente rispetto alle ideologie totalizzanti cattoliche e comuniste, dando luogo a campagne apparentemente prive di una strategia d’insieme, nell’obiettivo di trasformare sistematicamente la società italiana: "Il liberalismo di Pannella si è presentato in maniera eccentrica rispetto alle più affermate tradizioni politiche italiane. E’ stato estraneo al moderatismo con cui frequentemente i politici liberali hanno annacquato il loro credo"115.

Ma la politica pannelliana ha avuto anche il tratto fondamentale di un’eticità laica tendente a proiettare nella politica la finalità suprema dell’esistenza umana: la politica prima di tutto quindi, soprattutto una politica personalizzata (come dimostra l’ultima sua creatura politica: la Lista Pannella), la vita privata trasformata in politica. Questo aspetto serve a comprendere la pratica della disobbedienza civile fatta di digiuni della fame e della sete, come legittima resistenza al potere ingiusto: "Del resto quella del digiuno è l’arma più lucida e temibile a disposizione di chi è in minoranza: E’ incredibile la forza spirituale, il vigore dialettico che si acquistano digiunando"116. Di certo il suo ruolo di leader se lo è guadagnato non solo con la dialettica ma soprattutto con la costante presenza nel campo della battaglia politica: "Questo ruolo del leader ha da un lato contribuito a legittimare il suo stesso potere, anche attraverso digiuni, autodenunce, carcere...e dall’altro ha garantito al PR di poter continuare in una politica spregiudicata. Un partito carismatico si muove infatti attraverso quella morale politica conosciuta come "etica della convinzione", tratto caratteristico dello stile politico associato al carisma117, consiste sostanzialmente nel rifiuto pregiudiziale di ogni mediazione per perseguire sino in fondo i propri disegni e obiettivi"118. L’inedito liberalismo radicale di Pannella, originale e con elementi da religione civile e con una particolare attenzione ai diversi e marginali, ha fatto irruzione sulla scena politica italiana suscitando forti contrasti fra le forze politiche tradizionali di sinistra e di destra. Pertanto, le campagne radicali sono rimaste un’eccezione mal tollerata in mezzo al dominio generalizzato dei partiti che avversavano qualunque cosa potesse essere da detonatore della società italiana: di qui il parziale isolamento di questa forza politica.

Pannella ha vissuto la sua azione politica come la forma più nobile di realizzazione della sua stessa personalità condita da una prorompente dialettica: "Quello che non può essere opinabile di lui è la presa d’atto della sua volontà di avvalersi di un movimento personalizzato, che si basa su militanti che non possono che comportarsi da seguaci e rifarsi ad altra regola che non sia la buone esecuzione degli indirizzi del capo"119. All’indomani di ogni mobilitazione politica, Pannella non ha saputo o non ha voluto consolidare in strutture politiche il rapporto tra leadership e sostenitori. Anzi è sembrato che temesse fortemente quello sviluppo organizzato che avrebbe comportato il passaggio dalla gestione carismatica a esplicite regole di funzionamento, non solo formalmente esaltate, ma sostanzialmente rispettate all’interno di un partito o di un raggruppamento che andasse al di là di strutture personalmente controllate. Il motivo per cui Pannella non ha fatto il grande balzo verso una situazione politica più responsabile e istituzionalizzata, sta nella sua avversione per un movimento che trascendesse dalle decisioni del capo e il suo timore di una burocratizzazione del partito, ma più di tutto ha influito il suo impulso a distruggere le creature politiche a cui egli stesso aveva dato vita, rifiutando che queste si costituissero in istituzioni politiche volte a incanalare il liberalismo radicale che invece doveva mantenere la forma di un progetto da perseguire con il movimento, con la specifica mobilitazione su un determinato obiettivo: "Il PR ha costituito l’unico esperimento di struttura politica che abbia resistito per un lungo periodo al ciclo costruttivodistruttivo di Pannella..."120.

Il leader radicale nell’esercitare un’autorità sul partito, ha finito per sminuire la sua stessa leadership, e sotto il suo impulso lo ha reso agli occhi di molti come una comunità o un gruppo parareligioso composto da seguaci destinati, nel nome della libertà e della difesa dei diritti civili, ad obbedire alle direttive del capo: "Il PR deve avere una dimensione laica :"Il suo rischio è un certo angelismo, o meglio la tendenza ad esistere solo secondo la qualità religiosa della ispirazione dei singoli. Diventare un partito significa accettare una rappresentanza, non essere solo guida, ma anche ascolto...vuol dire accettare la libertà dei militanti radicali...tutte cose che il PR non ha consapevolmente fatto..."121.

Quindi per concludere Pannella ha rappresentato nel bene e nel male il Partito Radicale e la sua originalità122, lo ha preso per mano, lo ha fatto conoscere all’opinione pubblica, e nel suo modo infuocato e istrionico di fare politica ne ha rappresentato la forza e la debolezza: "Siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più "radicale" di altri..."123. Egli ha perseguito e persegue tuttora la sua volontà politica di difendere i diritti civili, di creare in Italia un bipartitismo di stampo anglosassone, e di introdurre elementi liberisti, liberali e libertari nella società, e proprio in nome di questi ideali, da ottenere ad ogni costo, ha continuato la sua azione incurante di eventuali scissioni o fallimenti: "Io amo gli obiettori, i fuorilegge del matrimonio, i cecoslovacchi della Primavera, i nonviolenti, i libertari...sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile..."124. Nella contraddizione continua e mai risolta di un partito liberale e libertario guidato da un leader carismatico e per molti autoritario, viene da domandarsi sino a che punto possa essere conciliata la libertà di movimento che vuole Pannella con il partito stesso, e se soprattutto sarebbe potuto esistere un Partito Radicale senza Pannella: "Senza di lui, il Partito Radicale non esisterebbe: se si togliesse al radicalismo italiano Pannella, non vi sarebbe più il Partito Radicale"125. Di certo il PR è sempre riuscito a convivere in questa condizione da molti ritenuta precaria e da altri ritenuta fondamentale dell’esistenza stessa del partito, che ora è presente nella politica nazionale sotto un nome che contraddistingue ancora di più la sua personalizzazione. E’ possibile perciò ottenere una risposta per vedere fino a quando durerà questa condizione voluta dal leader radicale: "Agli ostacoli che si oppongono al liberalismo insiti nella politica italiana, si aggiungono quelli che Pannella porta dentro di sé, che appartengono alla sua natura e alla sua storia. Verrebbe voglia di osservare che il peggior nemico di Pannella, è Pannella medesimo"126.


CR Critica Radicale - 16/03/13 - E-mail: info@eclettico.org